Una bella lezione da Gioiosa: siamo tutti figli dello stesso Dio

Una bella lezione da Gioiosa: siamo tutti figli dello stesso Dio

Maggio è da sempre periodo di Comunioni. File di bimbi vestiti di bianco occupano gioiosamente le Chiese per rapportarsi per la prima volta ad uno degli aspetti più profondi della dottrina cattolica, ossia l’incontro con il corpo di Cristo, che si fa così parte di ogni singolo essere umano.
Anche quest’anno a Gioiosa si è rinnovato questo rito. Con una novità. Impossibile non notare, infatti, in mezzo alla folla di emozionatissimi bambini nei loro abiti candidi i volti di Kennedy, Uche, Kennedy e Kingsley, quattro giovani nigeriani accolti nel progetto Sprar di Gioiosa Ionica.
Le catechiste Eneide, Carmen e Teresa hanno pensato che la Prima Comunione potesse diventare anche un momento attraverso il quale i bambini potessero interagire, conoscere ed imparare a rispettare la multiformità del mondo che li circonda.

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“C’è tanta discriminazione, diciamo la verità – mi dice Eneide, una delle catechiste che ha seguito i bimbi nel loro percorso di catechesi – e se le persone adulte non insegnano ai bambini che non dovrebbe esistere questa discriminazione non faremmo mai nulla. Mi è capitato di vedere un post su un social network dove c’era scritto “il razzismo è una malattia che colpisce i bianchi, ma uccide i neri” e mi ha colpito davvero tanto. Allora da lì è partito tutto, abbiamo parlato tra noi catechiste e abbiamo deciso: vogliamo far capire a bambini che bianco e nero è la stesa cosa, siamo tutti figli dello stesso Dio. I bambini poi hanno reagito benissimo. Giovedì scorso abbiamo fatto il ritiro e abbiamo invitato i quattro ragazzi e quando sono arrivati non puoi immaginare come i bambini li hanno accolti, gli hanno fatto una vera e propria festa. Anche Padre Michele è rimasto sorpreso e contento nel vedere la reazione dei bambini. Ci chiedevano di farli rimanere con loro, hanno giocato e hanno anche mangiato con noi. Ci dispiace solo che siano rimasti poco”.

Mi colpiscono le parole di Eneide perché a volte il sentimento cristiano della fratellanza sembra venire dimenticato, accantonato, per lasciare più spazio al timore o all’indifferenza. Le esprimo questo pensiero: “Noi vogliamo che la religione sia un momento di incontro – mi risponde – anche per superare la diffidenza e le critiche interne, anche per guardare con occhi diversi tutto il contesto. Ti faccio un esempio: la settimana scorsa sono entrati dei bambini in Chiesa e c’erano anche i ragazzi del progetto Sprar che pregavano e un bambino ha detto “ah ci sono anche i neri che pregano!”. Ti giuro, è stato come ricevere uno schiaffo. Ma se ci pensi Gesù Cristo ha accolto sempre, pensa alla Maddalena o ai suoi discepoli. Per questo abbiamo pensato di coinvolgere questi ragazzi, tutto questo deve finire. In un libro ho letto una frase: “non siamo dello stesso colore, siamo dello stesso Amore”, questo è il messaggio che vogliamo arrivi a tutti. Non ci sono differenze, bianchi o neri, dobbiamo stare tutti così” – e mentre mi parla, Eneide stringe le mani, come in un ipotetico abbraccio, come se stesse pregando.
La funzione religiosa inizia e Kennedy, Uche, Kennedy e Kingsley sono seduti in prima fila, proprio di fronte ai bambini che stanno per ricevere la loro prima Comunione. Osservano attenti, cercano di seguire la liturgia e si scambiano occhiate di intesa con i bambini che cercano di rimanere composti, per quanto sia concesso dall’irrequietezza tipica dell’infanzia.

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Al momento dell’offertorio si uniscono ai bambini, uno dei ragazzi nigeriani porta insieme ad uno di loro la “tovaglia della pace” sopra la quale vi sono frasi di fratellanza e speranza scritte dagli stessi bambini, poi gli altri accompagnano, con le loro mani sulle spalle, tre bambini verso l’altare.

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Alla fine della Messa, Padre Michele, le catechiste ed i bambini invitano Kennedy, Uche, Kennedy e Kingsley ad uscire fuori dalla Chiesa e a lanciare in aria dei palloncini. I palloncini, tutti di colori diversi, volano via. Penso sia un immagine adattissima a descrivere questa mattinata.

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Mentre i bambini circondano e Kennedy, Uche, Kennedy e Kingsley per salutarli, mi domando se non sia anche questo il senso della “comunione”, ossia la capacità di instaurare un rapporto tra diverse persone attraverso un vincolo che le unisce, a prescindere da ogni cosa, soprattutto dal colore della pelle. La speranza è che ci siano altri adulti come le catechiste Eneide, Carmen e Teresa che abbiano ancora voglia di raccontare ai bambini quanto valore abbia tutto questo.

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