Fiamme a Strano e Cufò di Caulonia: in cenere non solo i territori, ma anche la speranza

Fiamme a Strano e Cufò di Caulonia: in cenere non solo i territori, ma anche la speranza

di Walter Cavallaro

Siamo nel 2025, era di continui e stratosferici progressi tecnologici, ma in alcune zone della nostra terra sembra di vivere in un eterno ritorno, un incubo che si ripresenta puntuale, feroce, ogni estate e purtroppo a volte questo incubo maledetto diventa realtà: ancora una volta, la Locride brucia. Un vasto incendio, esteso e devastante, partito probabilmente da una frazione di Gioiosa e attraversando anche quelle di Roccella, ha colpito in questi giorni le frazioni di Strano e Cufò di Caulonia.
In una giornata afosissima, quasi attesa con precisione chirurgica da malintenzionati, e con temperature preannunciate di oltre 40 gradi, l’incendio si è mosso rapidamente per poi propagarsi velocemente a causa del vento e delle alte temperature verso Roccella e Caulonia.

Ciò che fa più rabbia è che proprio quei territori – Strano, Cufò e le zone limitrofe – sono da anni bersaglio quasi sistematico delle fiamme. È come un copione che si ripete con una precisione inquietante, quasi con cadenza matematica: ciclicamente ogni 5, 10 o 15 anni, poco importa; puntualmente e inesorabilmente, il fuoco ritorna a devastare. E ogni volta, la risposta resta identica: insufficiente, tardiva, inefficace. Chi avrebbe il dovere istituzionale di sorvegliare, prevenire e proteggere continua a ignorare questo pattern criminale ricorrente, come se tutto ciò fosse normale, inevitabile, tollerabile. Ma non lo è. In poche ore, ettari di campagna, pascoli, uliveti e coltivazioni sono stati divorati dal fuoco, causando danni gravissimi a contadini, allevatori e famiglie che vivono di questa terra. Un altro incendio. L’ennesimo. Un evento che non sorprende più, ma che ogni volta lascia alle sue spalle una scia di distruzione, disperazione e rabbia.

A rendere ancora più drammatica la portata dell’accaduto sono state le terrificanti immagini trasmesse dalla televisione, che ha documentato lo scenario di fuoco e distruzione direttamente da Roccella. Personalmente, sono rimasto allibito nel guardare quei video: lingue di fuoco divorano le colline, fumo denso e nero che oscura il cielo.

Una riflessione obbligatoria riguarda la conformazione stessa del territorio colpito. Il comune di Caulonia in particolare, con i suoi circa 100 chilometri quadrati di superficie, è tra i più estesi della Calabria. Il suo territorio è collinare, montuoso, irregolare, difficile da raggiungere in molti tratti. Questa sua morfologia complessa, che si estende tra vallate, frazioni isolate e aree boscose, giustificherebbe ancora di più la presenza di sistemi locali di monitoraggio e intervento, sia attivi (presidi antincendio, droni, squadre mobili) che passivi (sensori, allarmi precoci, torrette di guardia, mappatura del rischio).
Eppure, nulla di tutto ciò è presente in modo stabile e funzionante. E a ogni incendio, il risultato è lo stesso: attese infinite, mezzi che arrivano tardi, danni incalcolabili.

Alcune abitazioni e coltivazioni sono state messe in salvo grazie all’intervento tempestivo di automezzi dei Vigili del Fuoco, coadiuvati da abitanti del posto, e alla presenza in alcuni casi di più aerei Canadair nello stesso sito (circostanza non scontata). Ma cosa sarebbe successo se tali mezzi non fossero stati disponibili perché impegnati altrove? È inaccettabile che nel 2025, in un mondo moderno e tecnologicamente avanzato, dove l’intelligenza artificiale ridefinisce i confini del possibile, i robot umanoidi entrano nelle nostre case e i veicoli a guida autonoma solcano strade di tutto il globo, non ci sia alcuna infrastruttura di monitoraggio o intervento rapido nelle aree interne della Locride. Non ci sono droni di sorveglianza, sensori termici, né sistemi di allerta automatica: tutti strumenti alla portata dei comuni mortali nel 2025. Solo campi abbandonati, strade malmesse, e la solita telefonata ai Vigili del Fuoco, che devono partire da decine di chilometri di distanza, perdendo minuti preziosi, mentre il fuoco si propaga impietoso.

Non è forse un paradosso che mentre si progettano missioni spaziali su Marte, intere comunità del nostro territorio debbano ancora convivere con l’incubo degli incendi senza alcun mezzo per difendersi? Il progresso, evidentemente, ha scelto da tempo di abbandonare questi luoghi.
Le centrali operative dei Vigili del Fuoco, come ogni estate, si trovano a gestire decine di chiamate in contemporanea, ma la distanza da queste zone rende ogni intervento una corsa contro il tempo persa in partenza. Quando i mezzi arrivano, spesso è già troppo tardi: l’erba è cenere, gli alberi sono carbone, gli animali fuggiti o morti, e gli agricoltori restano a guardare inermi un disastro che si poteva evitare.
Non possiamo continuare a tacere. Non è fatalità, è abbandono. È negligenza. È complicità passiva.

I cittadini delle frazioni di Strano e Cufò, di Roccella e di tanti altri angoli della Locride sono stanchi, arrabbiati, distrutti economicamente e psicologicamente. La mia indignazione è la loro. La nostra.
E mentre tutto lascia pensare a una mano dolosa, all’ennesimo atto vile di piromani senza scrupoli, resta l’amarezza di sapere che nessuno li fermerà, finché queste terre resteranno senza occhi umani ed elettronici, senza presidi stabili, senza dovuta attenzione da parte dello Stato.
Questa volta, però, non ci basta la solidarietà postuma o le sparute dichiarazioni politiche tra le macerie fumanti. Vogliamo fatti.

Vogliamo investimenti reali: stazioni antincendio mobili, infrastrutture tecnologiche, droni di sorveglianza e presidi permanenti sul territorio. Solo così sarà possibile prevenire e spegnere in tempo questi atti criminali, prima che diventino l’ennesimo disastro annunciato. E, infine, che i farabutti che hanno acceso questi incendi – perché è evidente che non si tratta mai solo del caldo o del caso – vengano finalmente individuati, e ne rispondano di fronte alla legge. Senza sconti. Senza rinvii. Con la durezza che si riserva a chi distrugge consapevolmente vite, ambienti e futuro.

Se lo Stato vuole davvero essere presente, lo dimostri ora. Perché la prossima volta potrebbe essere troppo tardi. E noi non siamo più disposti ad aspettare perché ad andare in fumo, oltre ai nostri territori, rischia di essere una cosa ben più preziosa: la nostra speranza.

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