
Nicola Frammartino: “Non si può giudicare la rivolta di Caulonia del 1945 sulla base delle vicende giudiziarie e personali di Pasquale Cavallaro”
Pubblico la terza ed ultima puntata del mio breve scritto di 40 anni fa. “I miei ribelli”. Ringrazio tutti coloro che mi hanno onorato della loro lettura e particolarmente “Ciavula” per averlo ripreso e avergli dato quella minima diffusione che altrimenti non avrebbe avuto.
Poiché penso possa essere utile su argomenti seri, pur non pretendendo di poter scrivere cose importanti, oserò, nelle settimane e mesi che verranno, di buttare giù qualcosa che possa costituire uno stimolo alla riflessione su cose non banali.
Nicola Frammartino
I Miei Ribelli
“Se c’è una pagina della nostra storia di cui avrebbe dovuto aversi motivo di vergogna è proprio questa: la mattanza fredda, feroce e spietata contro gli eroi contadini che non avevano avuto volontà di far scorrere del sangue.
E se sangue di innocenti fu sparso, nei giorni della rivolta, ciò non rientrava in un freddo disegno dei ribelli, che, se si fossero fatti guidare da spirito di vendetta, ben altro sangue avrebbero sparso e non quello di un prete innocente.
I ribelli di Caulonia subirono la violenza prima e la prigione dopo: centinaia di anni di carcere furono loro irrogate; ma uscirono dal carcere con una non domata volontà di lotta e furono protagonisti negli anni immediatamente seguenti delle grandi lotte che animarono Caulonia per il pane, per il lavoro, per la terra.
L’allargamento dell’area dirigente e il radicamento nel nostro Paese dei valori della democrazia sono conquiste dovute anche al sacrificio dei combattenti del 1945.
Mi chiedo a questo punto che valore possano avere le argomentazioni di chi tratta i ribelli da violenti, mafiosi e, peggio ancora, da sciocchi ignoranti : poveri imbecilli.
C’è ormai in mezzo a noi tanta gente che solo perché ha letto qualche libro in più si prende tutte le licenze, per cui, per non rischiare qualche aggressione verbale o cartacea, sto inquattato nel mio, sperando che un giorno si possa discutere, anche tra noi con un po’ più di stile.
C’era nei rivoltosi, ed è questo un dato innegabile, una forte volontà di riscatto e di liberazione in mezzo ai contadini nel primo novecento.
Nessun intellettuale, nessuna forza politica s’era mai posto il problema, a quel che si sa della loro miseria, del loro riscatto, della loro liberazione.
Ma essi avevano bisogno di una guida.
A Caulonia c’era un uomo, di buona cultura, audace, coraggioso, ostinato e, soprattutto dotato di uno spirito ribellistico ed antistatale.
Era inevitabile l’incontro tra lui ed i “cafoni”.
Pasquale Cavallaro, il figlio Ercole e Guido Verdiglione
Fonte: Caulonia, dal Fascismo alla “Repubblica” di Orazio Raffaele Di Landro
Da questo incontro nacque “quel movimento”.
Non è mio intento vestirmi dei panni dell’esperto per dare un giudizio storiografico sulla rivolta, sui suoi limiti, sulle sue possibilità di sviluppo, sul ruolo del suo capo, positivo o negativo che sia stato, sul peso avuto dalla “ndrangheta” e se essa abbia contaminato la rivolta o se essa debba considerarsi espressione della volontà di autonomia dei contadini rispetto alla tirannia dei notabili che erano alla testa di un sistema di potere di inaudita crudeltà e violenza.
Non trovo difficoltà a riconoscere che il movimento non era espressione di una classe che per tutta una serie di situazioni potesse candidarsi a dirigere uno Stato.
Quello che, invece, io non riesco a capire è la pretesa di giudicare la rivolta di Caulonia sulla base della vita delle vicende giudiziarie e, più complessivamente, personali di Pasquale Cavallaro. Di questo passo, infatti, bisognerebbe riscrivere la storia dell’umanità. Gli storici a questo punto dovrebbero chiedersi qual era la fedina penale di quelli che assaltando la Bastiglia nel 1789 diedero inizio alla Rivoluzione Francese, o degli uomini che assaltarono il Palazzo d’Inverno o che seguirono Mao nella lunga Marcia.
Oppure bisognerebbe indagare sulla vita, assai avventurosa, di Garibaldi nell’America Latina, prima che diventasse l’eroe Dei Due Mondi ecc. ecc.
A noi interessa il movimento e poi la figura di Cavallaro in rapporto ad esso.
Né quello che fu prima, né quello che Cavallaro fu dopo, può modificare la sostanza del giudizio sulla rivolta.
Lo so che oggi non ci sono i miei ribelli del 1945. Da allora ad oggi son successe tante cose.
Essi furono sconfitti come gli eroi Troiani che videro bruciate le loro case come loro si sparsero per il mondo, perdendo anche la loro identità culturale e persino l’orgoglio di essere stati protagonisti di un fatto glorioso.
Oggi non c’è più la generosità e la solidarietà umana di quei tempi. Oggi sono sempre più numerosi e, forse prevalenti, quelli che la lotta politica la fanno con altri intenti.
E questo è per me un motivo in più per immortalare le gesta gloriose degli eroi di Caulonia del 1945.”