
Che Guevara visto da Calvino
di Pasquale Aiello
In occasione del 58° anniversario della morte di Ernesto ‘che’ Guevara, la proposta è quella di rivedere un testo dello scrittore Italo Calvino dedicato al grande rivoluzionario argentino. Italo Calvino, scrittore e partigiano, intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, fra i narratori italiani più importanti del secondo Novecento.
Calvino, nel Febbraio 1964, era tornato a Cuba dove nacque nell’ottobre del 1923, per sposarsi. Conobbe Che Guevara a L’Avana in occasione del premio letterario Casa de Las Americas dove si incontrarono poiché entrambi parte della giuria. Tre anni dopo, durante un soggiorno a Parigi in Ottobre del 1967, dove Calvino si trovava con la moglie per uno dei suoi viaggi, apprese la notizia che il suo amico Ernesto Guevara è stato ucciso in Bolivia. Invaso dalla tristezza, a pochi giorni dalla morte ha voluto dedicargli un pezzo che fu pubblicato sulla rivista cubana Casa de las Américas, ripreso, in seguito, anche dal ‘Granma’, organo ufficiale del PCC.
Calvino in Italia, mettendo a frutto la sua militanza di Comunista, si impegnò pure come cofondatore dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba.
“Qualsiasi cosa io cerchi di scrivere per esprimere la mia ammirazione per Ernesto Che Guevara, per come visse e per come morì, mi pare fuori tono. Sento la sua risata che mi risponde, piena d’ironia e di commiserazione. Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e finta prosperità dell’Europa, dedico un breve intervallo del mio lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d’un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d’una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sè e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancor maggiori. Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l’avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze. In questo senso egli resterà al centro delle nostre discussioni e dei nostri pensieri, così ieri da vivo come oggi da morto. E’ una presenza che non chiede a noi né consensi superficiali né atti di omaggio formali; essi equivarrebbero a misconoscere, a minimizzare l’estremo rigore della sua lezione. La “linea del Che” esige molto dagli uomini; esige molto sia come metodo di lotta sia come prospettiva della società che deve nascere dalla lotta. Di fronte a tanta coerenza e coraggio nel portare alle ultime conseguenze un pensiero e una vita, mostriamoci innanzitutto modesti e sinceri, coscienti di quello che la “linea del Che” vuol dire – una trasformazione radicale non solo della società ma della “natura umana”, a cominciare da noi stessi – e coscienti di che cosa ci separa dal metterla in pratica. La discussione di Guevara con tutti quelli che lo avvicinarono, la lunga discussione che per la sua non lunga vita (discussione-azione, discussione senza abbandonare mai il fucile), non sarà interrotta dalla morte, continuerà ad allargarsi. Anche per un interlocutore occasionale e sconosciuto (come potevo esser io, in un gruppo d’invitati, un pomeriggio del 1964, nel suo ufficio del Ministero dell’Industria) il suo incontro non poteva restare un episodio marginale. Le discussioni che contano sono quelle che continuano poi silenziosamente, nel pensiero. Nella mia mente la discussione col Che è continuata per tutti questi anni, e più il tempo passava più lui aveva ragione. Anche adesso, morendo nel mettere in moto una lotta che non si fermerà, egli continua ad avere sempre ragione”. Se il ‘Che’ fosse vivo, oggi sarebbe senza ombra di dubbio in terra di Palestina a combattere con i fratelli palestinesi contro questo immane genocidio, per opporsi al più grande progetto colonialista dello stato sionista d’Israele e dell’imperialismo occidentale, nel nome dell’autodeterminazione e dei diritti di tutti i popoli.