
I simbolismi della Cattolica di Stilo
Di Vincenzo Nadile
Sulla Monade e la creazione, Fozio, un bibliografo bizantino del IX secolo vissuto a Costantinopoli, parlando di essa secondo i modelli pitagorici, afferma:“ I Pitagorei facevano della Monade il principio di tutte le cose, perché – affermavano – il punto è il principio della linea, la linea è il principio della superficie e la superficie è il principio del corpo a tre dimensioni, ossia del solido: ma la Monade precede concettualmente il punto, sicché essa risulta essere il principio dei corpi solidi; tutti i solidi, perciò traggono origine dalla Monade. Con questo, Fozio dice: i Pitagorici affermano che la Monade sta alla base della creazione universale, o meglio che ne è il Principio assoluto dopo Dio, come sostiene anche Platone nel Timeo. Mentre Aristotele afferma: “…sembra che e linea e superficie e punto, siano divisioni del corpo, la linea secondo la larghezza, la superficie secondo la profondità, il punto secondo la lunghezza”. Ed ancora, partendo dal corpo per finire al punto, Aristotele ancora sostiene: “…il corpo è sostanza in minor grado della superficie, e questa in minor grado della linea e la linea in minor grado dell’unità e del punto, infatti, il corpo è determinato da queste; e sembra che queste possano esistere senza corpo, mentre è impossibile che il corpo esista senza queste. La Monade è quindi il principio della creazione, o il contenitore degli elementi, il ricettacolo o “nutrice che li accoglie” come la definisce Platone nella teocosmogonia nel Timeo, parlando di colei che precede concettualmente il punto, la Monade, ovvero colei che è il contenitore degli elementi sensibili precosmici, e che come contenitore di quegli elementi che non giungono mai alla creazione ordinata se non tramite il Demiurgo, sono sempre imperfetti perché non giungeranno ad un equilibrio tra essi. Nella disarmonia cosmica, spiega Platone: tutto avviene in quanto non c’è la causa prima, ovvero il movimento (l’anima universale) che fa azionare i vagli(i ventilatori delle pule di grano del Timeo) che producono vento, dal quale la pula viene separata con la manovra di uno strumento, una macchina. Quando, attraverso l’azione del Demiurgo, lo stato di disequilibrio cessa, e gli elementi sensibili come fuoco, aria, terra e acqua si muovono in una sfera a immagine dell’intellegibile, gli elementi si combinano secondo l’ordine stabilito dalla geometria e dai numeri, ovvero dal pensiero ispirato da Dio attraverso la discesa dell’anima. Da lì si avrà l’inizio del processo dinamico voluto dal Demiurgo, il quale porterà alla creazione del cosmo ordinato, ed una volta usciti dal caos del precosmo, ed entrati nella creazione cosmica(i quattro elementi di cui sopra), modulati secondo la volontà dello stesso Demiurgo, daranno vita alla creazione articolata, e declinata secondo i voleri della divinità celeste della Luce. Questo, per Platone e i Pitagorici è il passaggio dalla fase impercettibile del punto nel cerchio che vediamo raffigurato in molte situazioni, anche greche della Grecia italica o Calabria, in molte situazioni, con aspetti grafici differenti, anche attraverso l’espressione del teriomorfismo: “…creature divine – che -sono entità ibride con caratteristiche antropomorfe e zoomorfe”. Quel cerchio con al centro un punto era il simbolo portante del pensiero orfico e poi platonico rispetto a quest’argomento, difatti, non chiamandoli pitagorici ma italici, Aristotele riconosce nelle scuole pitagoriche italiche, il centro dell’elaborazione di quel processo storico che portò al principio di quelle idee, rifacentesi al culto dei morti della tradizione neolitica, la quale vede nell’infinito il dio Iperboreo della luce e in sua madre, la mitologica Leto, il ricettacolo platonico del principio universale, della Madre(cerchio) che partorisce Apollo(la Luce), dando cos vita al cosmo. L’Illimitato di cui parla Aristotele indicando Platone è proprio questo: il dio della luce: l’ “illimitato”(perché celeste), e il limitato che sta nella madre come ricettacolo e contenitore degli elementi che creano il corpo solido(di cui parla Aristotele sopra), figurativamente il punto che sta nel cerchio. Mi domando realmente chi fossero quest’italici che Aristotele ci indica, quando dice: “Platone, per esempio, pone come principio materiale il grande e il piccolo, invece gli Italici, pongono l’illimitato, mentre Empedocle pone fuoco, terra, acqua e aria…”. Erano forse gli abitanti di una terra, la Calabria, detta grande da alcuni, addirittura prima della guerra di Troia? Una di queste figure geometriche la vediamo nella chiesetta bizantina di Stilo(vedi foto), con un altissimo valore simbolico e contenutistico, e sulle monete dello statere di Caulonia in cui appaiono Apollo e Dioniso. Platone, facendo dire a Timeo nel suo Timeo, afferma che ci sono tre generi: “il primo, quello della forma che è ingenerato e non soggetto a perire, che ne recepisce in sé niente d’altro che nient’altro, né muove mai verso qualcos’altro, ed è invisibile – il punto – e in generale non soggetto a percezione; …. L’altro, omonimo è simile a questo, è invece secondo, soggetto a percezione, generato, sempre soggetto a movimento, che ha generazione in un certo luogo per poi in quel luogo incorrere in distruzione, che si afferra all’opinione accompagnata da percezione”. Il punto impercepibile, come elemento ingenerato sta nella precreazione, mentre quando diviene percepibile come creato, diventa linea retta, percepito, perché ha generazione, ed in quanto generato è soggetto a perire, ovvero morire. Questo è il secondo elemento, ed il passaggio evolutivo dal punto alla retta, ovvero dal non creato per la percezione, al creato rappresentato dalla retta(figurativamente raffigurato sulla mezza colonna all’interno della Cattolica). Egli poi afferma che c’è un terzo genere, quello dello spazio e del tempo all’interno delle quali egli si manifesta, ma che non ammette corruzione, e questo è la Monade, ossia la condizione eterna in cui la materia e gli elementi primari si combinano per dare vita al soggetto in movimento, la materia che si trasforma secondo il tutto scorre(panta rei) di Eraclito, in un certo luogo e in quel luogo va in metamorfosi. Egli ancora afferma: “è necessario che ogni ente sia in un certo luogo e occupi un certo spazio, mentre ciò che non è ne in terra, né in qualche parte del cielo non è nulla”. Per Platone e per i Greci, nulla si crea dal vuoto, come per il cristianesimo, ma tutto si combina secondo le leggi del principio supremo della fisis, alle quali sta anche il Demiurgo. Difatti, con la sua forma sferica, dagli elementi inziali contenuti nel contenitore precosmico del caos, la Monade, incarnata nella figura dell’Ananche, la madre delle Moire, a volte identificata in Temi, ma raffigurata anche col cerchio col punto all’interno, come contenitore universale ed eterno in cui si dà vita alle forme della materia e alla creazione finita, prepara al terzo stadio, quello della retta che con la profondità modella come corpo del creato, gli elementi in movimento, secondo il volere del Demiurgo. Mallinger, a tal proposito afferma: “…al di là del mondo organizzato, esiste un elemento senza forma, infinito, senza determinazione, senza limite e senza numero: è lì che attinge la materia quando prende forma e diviene uno spazio pieno, limitato, determinato e distinto dal vuoto. La materia è un elemento inferiore, negativo, femminile, informe, disarmonico e irregolare”. Ecco il principio dell’illimitato di cui parlava Aristotele dicendo degli italici! Il principio neolitico della creazione che troviamo nella figura della donna adiposa con il figlio, il pulcino-dio in pancia, nel ventre che ha come espressione simbolica del centro del corpo, l’ombelico(il luogo della creazione del feto nel corpo della stessa donna, e nell’estensione del corpo del dio in grembo, mentre il cerchio è lo stesso grembo), lo troviamo nel pensiero delle scuole pitagoriche con la Monade, il cerchio con il suo punto al centro, che vede metaforicamente in Leto(la forma percepibile), la quale con la creazione, ovvero, il principio della percepibilità della materia, passa dal punto impercepibile, alla linea retta, che noi troviamo nell’estensione del corpo del pulcino Apollo, come corpo tridimensionale nella struttura megalitica di Ladi. Aspetti di una tradizione e di un pensiero neolitico espressione del culto dei morti, di civiltà anarie e paleomediterranee che giungono ad una tradizione greco ellenica indoeuropea olimpica del culto della luce, proveniente dall’homeland indoeuropea o protoindoeuropea, attraverso le migrazioni di popoli, che avevano alla base del loro pensiero religioso, il culto del dio del tuono e del cielo luminoso diurno. Tutta la presentazione di quei concetti teologici divinali, interagenti fra di loro, si sono espressi attraverso il teriomorfismo neolitico e storico, che noi troviamo oltre che a Nardodipace e non solo(aspetto molto interessante sull’anima raffigurata come ape, lo troviamo sulle Rocche di Prastarà, ad esempio), ma anche nelle raffigurazioni degli animali teriomorfi di Caulon: drago, delfino e ippocampo, che spiegherò in altra sede. Questi animali inferi divinali così come sono raffigurati e disposti graficamente sembrano essere un’evoluzione della rappresentazione della grande figura adiposa femminile di Ladi di Nardodipace, o delle madri delle civiltà neolitiche dei Vinca dei Sesklo, e delle civiltà matriarcali dell’Europa orientale, con il loro figlio in braccio, simbolo della fecondità e della creazione. Aspetto raffigurato a Ladi con la donna adiposa alta più di sette metri, e con un figlio in pancia o sulle ginocchia(stando ritta in piedi, o seduta) con un feto orizzontalmente adagiato, come se fosse un uovo nella parte centrale della figura femminile, o di neonato posto sulle ginocchia, nella posizione di pre allattamento, prima che la madre lo portasse al petto; metaforicamente raffigurante il concetto di punto embrionale con il concepimento dello sviluppo fetale e della nascita come corpo, espressi concettualmente sul piano filosofico e mitologico dai Pitagorici, da Platone, da Aristotele, da Fozio e altri, con il loro concetto di punto, linea e superfice, perché elementi del pensiero greco anario, ibridati dalla tradizione indoeuropea, come appare. Aspetti di una rappresentazione intuitiva, illusoria, come dice Schopenhauer, e che vediamo rappresentata con le strutture megalitiche, presente nel pensiero greco evoluto, quello delle più grandi menti della storia universale, fari del pensiero umano, ignorato a volte da presunti esperti locali che si ergono a volte di principi insostenibili in nome di una presunta azione scientifica su quelle strutture, e a cultori di quel pensiero storico di cui si parla, senza aver letto(in molti casi) mai un libro di quegli autori. E quando qualcuno di loro lo ha fatto, non né ha compreso molto spesso il significato! Questo è il mondo della cosiddetta intellighenzia calabrese che pretende di dare risposte razionali e scientifiche su quei processi storici che implicano non solo il percorso dell’avanzata della coscienza e dell’io sociale e individuale, rispetto all’indeterminato e inconscio uroborico della madre archetipale, come scrive Neumann. Questi signori vorrebbero, soprattutto chi si interessa di mineralogia, rispondere al posto di archeologi ed etno antropologi(che non hanno mai capito nulla, quest’ultimi, per loro stessa ammissione), o di studiosi del pensiero religioso e misterico delle società neolitiche e successive. Ma anche operatori dei Media, i quali fanno a gara per riportare notizie che nulla hanno a che fare con la verità storica presente sul terreno. Altro che velo di Maya! Principi e aspetti, quelli sopra esposti, che troviamo nella rappresentazione della figura del drago di Kaulon con il suo corpo, se applicata la leggenda di Cleta, la serva e regina Amazzone. Credo, quindi, che il pensiero espresso dalle forme megalitiche di Nardodipace, siano il presupposto sul quale si è sviluppata la civiltà matriarcale che i tardo greci chiamarono la Magna Grecia e che attribuirono allo sviluppo delle comunità greche pitagoriche della Grecia storica, ma che invece è da ricercarsi, come pensiero matrice o fondante, nella tradizione neolitica locale, sia che abbia il nome di Enotri, eredi di Pelasgo e suo figlio Licaone, o altri. Pensiero sociale e religioso dei ceppi etnici indoeuropei, detti Kurgan, che in questo territorio s’incontrarono e scontrarono con una civiltà paleomediterranea dopo il V millennio a.C., potremmo dire indigena, modellandosi a vicenda, fino al sorgere di una nuova civiltà, ibridata, che aveva nelle sue fondamenta il principio di affermazione della Luce e del culto delle divinità celesti come quelle primarie. Al vertice è sicuramente posto il dio alato, che convenzionalmente potremmo chiamare Picus, identificabile con l’alato, e contrapposto al serpente, come quello che vediamo a Monte Pecoraro, espresso nelle sue tre valenze: Zeus padre dominatore dell’universo e del cielo, padrone della luce; Eracle il liberatore e salvatore del mondo nuovo, con l’affermazione del principio del fuoco(il Soter, protettore del mondo italico per Tolomeo), con la sua eterna lotta contro il serpente (di Zungri e Castiglione di Paludi)di Lerna, o il drago Ladone di Ladi di Nardodipace, espressioni della Terra, Gea, ma anche dell’enorme lingua che cerca di portare alla bocca della Dea Terra l’uovo; e Apollo, il dio Sole, principio della luce e della vita sulla terra e nel cielo, che i pitagorici indicavano con il numero uno. Aspetti di un pensiero etno antropologico e religioso che ha prodotto un conflitto eterno tra la visione ispirata al matriarcato con le sue società primitive che la storia ha iniziato a conoscere dalla metà del 1.800 circa, sempre di più fino ad oggi, e quella patriarcale: un conflitto che vediamo ancora presente nel mondo, coi i conflitti di religione. I conflitti tra gruppi etnici oltre a ragioni economiche, hanno alla base una visione sociale e religiosa a volte incompatibile con altri prossimi a loro. Quell’incompatibilità nasce da un percorso storico fatto di contrasti e guerre per la propria affermazione che non si sono mai sopite. E’ la rappresentazione plastica di questo concetto metaforico del principio della Monade, ovvero del principio sacro femminile come fonte della creazione, dominata dalla luce aurorale o del mondo iperboreo, com’era il principio monadico pitagorico e platonico. Ci sono molti aspetti che ci conducono a questa verità filosofica italica, e tra queste ne elenco solo alcune, riservandomi di tornare successivamente sull’argomento: il cerchio con il puntino al centro sullo statere di Caulon con la figura apollinea che domina quella dionisiaca, il quale gli corre sul braccio; le figure dei delfini e dei draghi nella tradizione di Caulon, e quella della tradizione religiosa cristiana con la l’immagine della Dormitio virginis che ascende al cielo, nella tradizione bizantina, disegnata all’interno della Cattolica di Stilo, con il dio agreste Pan, il quale tenta di toccare la veste della stessa Vergine, a cui gli vengono recise le mani con la spada dall’angelo posto al fianco. Un profanatore, un infedele, dicono le cronache moderne, mentre vediamo un essere satiresco, simile al dio greco Pan, con le gambe pelose come un satiro che tenta di accostare le sue mani sacrileghe al corpo della Madonna, e un angelo interviene sguainando la spada e mozza con un fendente le due mani impure(difatti, nel dipinto si vedono le mani tagliate, come se fossero sospese in aria). Letteralmente leggiamo nel dipinto di un essere satiresco, con le gambe pelose come fossero di un capro(lo stesso disegno l’ho trovato sotto la volta di un arco ad Assisi), mentre la storia ufficiale narra di un profano o infedele, per dire musulmano, o eretico, ma la scritta in arabo su una colonna ci dice che non è così, perché voluta in quel contesto, e posta come elemento portate del racconto figurativo del Tutto, il panth di cui si discute, come le cinque mezze colonne del tetto che formano la croce con la più alta al centro, su una base quadrata, simbolo del potere matriarcali nelle tradizioni antiche. Quella scritta e quelle espressioni architettoniche, non sono casuali e nemmeno poste come ornamento, ma sono semplicemente l’espressione e il frutto di un dialogo tra le religioni monoteiste e/o comunque patriarcali del tempo: musulmana, giudaica e ortodossa-latina post pagana greca, che si innestarono sullo spirito religioso del pensiero teologico olimpico greco, presentandolo come quarta direzione del mondo, come fosse uno dei quattro punti cardinali, ritenuto fondamentale nel pensiero religioso e speculativo del Mediterraneo. Aspetto teologico che dev’essere depurato da tutti gli elementi di substrato del pensiero divinale tellurico e titanico di cui ci parlano Esiodo nella sua Teogonia e in parte Omero, con i riferimenti agli dei ctoni e infere adonee, rappresentate dal satiro al quale gli vengono recise le mani, e dal capitello corinzio rovesciato. Questi aspetti figurativi simbolici si basano sul principio dialogante delle tre religioni a carattere patriarcale, le quali rifiutano la componente classica del pensiero greco che si ispira al principio della Dea Madre, ma che includono il pensiero greco olimpico e orfico pitagorico depurato, come d’altronde fece san Paolo e tutto il Cristianesimo antico, rimodulandolo in chiave di messaggio cristiano. Questo, a mio avviso è sostenuto dalla presenza delle quattro colonne, di cui una, quella col capitello corinzio rovesciato, come base di una delle colonne, attesta l’aspetto simbolico legato alle quattro religioni mediterranee. Quel capitello rovesciato sotto la colonna(la stylòs greca, secondo la radice etimologica della parola stylòs, dalla quale deriva il nome della cittadina)non è come dicono alcuni, un pezzo aggiunto per valorizzare una mezza colonna, ma la raffigurazione del principio dionisiaco ctonio infero, espresso dalla figura del dio Pan, il satiro che tenta di toccare la Vergine dormiente. La figura con le gambe pelose e con piedi a forma di zampe, disegnato sulla parete, non soltanto sotto la figura della Madonna, ma soprattutto del Cristo Pantocratore. Una figura che per certi aspetti ci rimanda o ci richiama alla mente il racconto che Dante fa nel descrivere Lucifero tra i due emisferi, con lo stesso Lucifero infilato a testa in giù nell’altro emisfero, e con le gambe in su, in quello da cui erano entrati, perché rimasto così incastrato dopo la caduta, quando dice: “…appigliò sé a le vellute coste – per dire delle costole – di vello in vello giù discese poscia tra il folto pelo…”, riferentesi alla discesa del Maestro. Virgilio, dice Dante, si mosse di pelo in pelo lungo il corpo di Lucifero, e narra ch’era coperto di “folto pelo”, come quello delle gambe del dio Pan che vediamo raffigurato nel dipinto parietale della chiesetta, sotto il dipinto della figura orizzontale della Madonna. La tradizione antica e greca anaria ci racconta della sfera terrestre suddivisa con la parte celeste e la sua volta, dove dimoravano le stelle e in esse gli antenati, e sopra di esse, gli dèi; la parte dell’aria sulla terra dove risiedono gli esseri viventi, i mortali, e il mondo sotterraneo, il regno di Ade e del mondo dei morti, nella direzione opposta agli uomini e agli dei, ovvero un mondo a testa in giù. Quest’aspetto è molto presente nelle raffigurazioni simboliche delle grotte di Zungri, raffigurazioni che celebrano sotto forma di serpenti, gli dei di Zeus ctonio, l’Ade sotterraneo, e sua moglie Persefone, nonché il loro figlio Zagreus con la celebrazione dei Piccoli Misteri Eleusini. Una tradizione religiosa che è passata sincretisticamente nel cristianesimo, e che Dante riprende nel suo trentaquattresimo canto dell’inferno, presentando Lucifero a testa in giù, dice Dante: “Io levai li occhi e credetti vedere Lucifero com’io l’avea lasciato, e vidili le gambe in sù tenere…qual è il punto ch’io avea passato”. Superato il centro della terra, con il punto superato, Dante vede Lucifero con le gambe rovesciate come la testa del capitello e attaccandosi alle zanche pelose come le definisce, risale come gli suggerisce Virgilio, difatti dice: “lo duca, con fatica e con angoscia, volse la testa ov’elli avea le zanche, e aggrappossi al pel com’om che sale, si che’n l’inferno i’ credea tornar anche”. Un simbolismo, quello del capitello a testa rovesciata, che ha su di sé una colonna (lo stylòs), una delle quattro colonne che sorreggono la cupola celeste, segno della semisfera celeste, dove Dio ha il suo regno, come lo Zeus Olimpico, colui che sul piano religioso dominava sul regno sotterraneo del mondo della morte e degli dei legati alla terra, e a quello tellurico dionisiaco, di cui Pan faceva parte. Quella colonna anomala, simbolicamente raffigura il percorso del pensiero religioso greco, composto dagli elementi di sostrato del pensiero anario matriarcale sui quali domina la colonna patriarcale del pensiero religioso olimpico di Zeus, il dio della luce celeste che sta nei cieli, e di suo figlio Apollo. Uno dei principi aurei pitagorici è quello di andare avanti, girare a destra e salire piuttosto che scendere, perché nella loro visione, la parte sinistra del corpo, il camminare all’indietro o rivolto con la testa all’indietro(come fa il piccolo daimon dionisiaco sul braccio della figura apollinea, impressi sullo statere di Caulon), sono negativi e legati agli dei degli inferi, mentre andare avanti, sopra o girare a destra, significa onorare gli dei celesti. Non solo, dicevano anche che scendere, l’andare giù, come (afferma Platone nel decimo capitolo della Repubblica) le anime destinate agli inferi, dopo il processo e la sentenza ultraterrena, prendevano una feritoia nella terra che portava in basso, nel regno di Ade, il mondo caliginoso, e la feritoia era chiusa con una botola pesante, e per mille anni restavano chiusi al buio caliginoso, in un mondo opposto a quello degli dei e degli uomini. Per i costruttori della Cattolica, cristiani di matrice religiosa cristiana, ma vicini al mondo arabo, perché la colonna con la scritta araba non è un riuso o una casualità, ma un principio di condivisione tra le religioni monoteiste dello stesso concetto di Dio, un dio che sta nel cielo, un dio della luce, che sia il dio dei greci, degli ebrei con il loro dio padre di Cristo, e fondamenta del cristianesimo del nuovo testamento con il Vecchio e i suoi Profeti, o dei musulmani con Allah, tutti insieme perché tutti, in forme religiose diverse, testimoniano il dio della Luce che sta in cielo. Quest’aspetto lo troviamo nella fase greca con il tempio dedicato a Zeus Omarios, il dio di tutti, di cui troviamo i resti a Monasterace, sul quale mi fermerò più avanti, nella seconda parte, quella che inserirò nel libro. Come dicevo, il capitello corinzio non è casuale, non è un riciclo, perché un’espressione simbolica di un pensiero religioso profondo, il quale separa, nella tradizione teologica e mitologica greca, Zeus, il dio del cielo, da Demetra o Persefone, le dee legate al principio della Grande Madre Terra e al tellurismo dionisiaco delle divinità agreste e infere legate al dio cretese e primo Dioniso, Zagreus. Non solo non è casuale il capitello, ma non è casuale neanche la scritta in arabo su una delle colonne, la quale riporta due massime della teologia islamica: “Non vi è Dio al di fuori del Dio unico” e “A Dio la lode”. Dunque, una colonna con simbolismi greci come il capitello corinzio capovolto, una con una scritta in arabo, la quale riporta le due massime della summa teologica islamica, e le due che restano, a mio avviso indicano la tradizione giudaica e cristiana (ortodossa e latina), un mondo questo(eccetto l’aspetto greco) che ha un padre comune: Abramo. Sulle quali è posta una semisfera a forma di cupola, concava, come fosse una volta celeste che indica Dio, e qualcuno mi viene a dire che tutto è casuale e non simbolico? Letteralmente, nel dipinto, se noi non facessimo un’analisi storica e non vedessimo la metafora del taglio delle mani come discontinuità tra il pensiero religioso pagano greco degli dei inferi legati al mondo della Grande Madre, con i suoi misteri e i suoi riti agresti, non potremmo vedere il simbolismo del satiro come rifiuto da parte pensiero cristiano, sul piano del sincretismo religioso anche di assorbirne alcuni aspetti. Quell’infedele, come viene tacciato, non è un musulmano o genericamente un impuro, ma il dio Pan, espressione del pensiero greco anario tellurico che il cristianesimo non riconosce se non come figura da collocare nell’inferno, perché non appartiene alla tradizione classica delle divinità olimpiche, ma al mondo della Dea Madre tellurica. Una metafora del rifiuto di quella parte della religiosità greca, come molti sono gli aspetti della metafora del quadro del Caracciolo appena restaurato, che rimandano a Dioniso, colui che come stylòs, donò il nome alla cittadina ionica reggina. In alto, sempre nella Cattolica, invece troviamo l’immagine del Cristo Pantocratore all’interno di una mandorla, dicono gli esperti, metafora della caverna o utero cosmico della Madre universale. Principio non sbagliato ma non proprio calzante, se noi consideriamo la mandorla, figurativamente come tale e non come un’allegoria del principio femminile della creazione, come vediamo nella leggenda di Attis e Agdistis, il principio dell’utero vaginale della creazione o dell’uovo come grembo materno che dona al mondo il dio primigeio Aion, Protogonos. Lo stesso principio dell mandorla, che vediamo nella figura sacrale esposta alla base del culto di Santa maria delle Armi a Cerchiara di Calabria. A Stilo, il principio femminile della Madre universale, sta nella leggenda di Cleta, la regina Amazzone che dà al mondo Caulon, il figlio, per generazioni, con lo stesso nome. Nella stratificazione del pensiero etno e antropologico delle genti del luogo, sta dunque il principio della Madre (vedi il culto della Mamma Nostra a Bivongi)come motore della vita e della creazione, secondo modelli che il pensiero greco definisce pitagorici, perchè appartenenti alle scuole pitagoriche con matrice orfica, e al culto dei morti degli antenati della tradizione neolitica. Una tradizione che supera il tellurismo eterico nel corso del tempo, del pensiero legato alla regina Amazzone, Cleta, proprio con la distruzione di quel regno da parte del figlio Caulon-Apollo eliaco. Tutto questo pensiero speculativo, nella sua evoluzione prima greco-romana orfica, e poi cristiana, sta nel dipinto del Madonna Dormiente sospesa in aria della pittura murale della Cattolica stilese, estremamente simbolica in tutte le sue parti costitutive, secondo il principio della luce solare di Dio, che domina, al vertice, quello generativo della madre contenitrice, come stabilisce Platone nel suo Timeo, parlando di Demiurgo e di ricettacolo o principio creativo con il cerchio e il punto al centro. Aspetto che troviamo dappertutto nelle diverse forme, sotto sembianze di allegorie e metafore, in questo contesto. I Bizantini e il pensiero cristiano non possono accettare il pricipio della Regina Madre e celeste come principio legato al pensiero greco pagano e satiresco del dio Pan, il dio del Tutto, lo devono perciò svestire dai “panni pagani” e portalo con la sua purezza intrinseca nell’alveo del cristianesimo attraverso il sincretismo religioso. La Vergine dormiente che sale al cielo vestita di blu con un mantello pieno di stelle luminose, per conservare la purezza orfica della Madre universale come principio orfico celeste della Monade, deve avera una vestizione cristiana, perchè quel culto così è improponibile, e perciò bisogna recidere i legami diretti col mondo di Pan e della Grande Madre italica e matriarcale.Recidere, in greco sterèo, ha la stessa radice etimologica di ster, la quale a sua volta ha la stessa radice di stilòs, colonna, perché la “l” e la “r” si equivalgono, e del secondo elemento del composto Monasterace, “-sterace”, con ster, perché esso viene dal greco monos e staryxi, con addentellati in altri termini con la stessa radice. Sterèo, che traduce: “essere privato, spogliato, tagliato di qualche cosa. Privare, tagliare qualcosa”, come le mani del satiro tagliate dall’angelo cristiano. La base ideologica orfico pitagorica della madre nella figura della Virginis c’è tutta, e teologicamente ci può stare, ma gli elementi che rimandano alle divinità della terra che si presentano con aspetti teriomorfi vanno eliminati, perché sono elementi teologici pagani che rimandano agli dei inferi, e il cristianesimo non li può accettare. A questo ci pensano sia i teologi bizantini che i pittori che hanno affrescato la Cattolica. Lo fanno, sia con la Madre rappresentata con il suo manto blu pieno di stelle luccicanti, ma tenuamente, perché quella luce proviene dal Sole, il Cristo, dicendo che la figura della Madonna appartiene sì, al mondo celeste, ma anche a quello della luce della notte, perchè è il principio della dea Luna, la dea dalla luce non solare, della luna brillante nella notte del plenilunio. La donna distesa in aria è il corpo della divinità del cielo che sale verso il principio solare, il figlio che stà in alto, raffigurato nella mandorla, ovvero il ventre dell’univero che Cristo illumina e rende vitale, perchè è il dio della luce solare come lo era Apollo per i Greci, il primo dio, che le scuole pitagoriche, numericamente rappresentavano come numero uno. Come il dio orfico Aion che stava all’interno dell’uovo, l’Uno, il principio divino precosmico e dal quale era nato, il quale veniva raffigurato all’interno di un’ellisse a forma di mandorla; aspetto che troviamo nella nascita di Apollo-Elios-Sole nella rappresentazione megalitica di Nardodipace, nella pancia della grande ellissi o uovo mistico, schematizzato con la figura femminile statuaria. Quindi, le figure dell’angelo spadaccino Eracle(il soter o salvatore del mondo e degli uomini mandato da Zeus nella versione pagana) e del dio Pan che tenta di toccare le vesti della dea Madonna è teologicamente l’aspetto figurativo dell’evoluzione del pensiero religioso “cristiano orfico” che si libera della visione delle divinità infere degli dèi agresti, legati alla divinità tellurica della Madre Terra. Così, quel pensiero bizantino ortodosso, colloca quella visione religiosa pagana orfica alla base di quella cristiana, figurativamente tagliando le mani al daimon, la materialità di quel pensiero religioso, recidendole e facendo in modo che non ci sia un legame fisiologico, quasi corporeo, con le divinità greche ispirate alla Grande Madre di derivizaione neolitica e tellurica. Non a caso, il Satiro è posto sotto la Madonna dormiente, come dire che quel daimon greco è impuro perché la donna non è soltanto più materia, ma anche divinità celeste e madre dello stesso Dio, e per questo, la sua destinazione è l’inferno. Gli autori della pittura rifiutano, come aveva già fatto il pitagorismo orfico riformato, l’aspetto tellurico del teologismo greco anario della Grande Madre, riconoscendo il principio lunare della dèa. L’angelo che taglia le mani al Satiro e dio Pan dalle gambe pelose, non è l’impuro dell’Apocalisse(e su questo ci tornerò), ma il pensiero dionisaco sconfitto nelle popolazioni greche di quei territori, come attestano le immagini dello statere di Kaulon, che vedono Dioniso scappare col suo simbolo in mano, il ramo di palma o di ulivo, sul braccio possente della figura apollinea e solare. Questi aspetti simbolici li troviamo anche nella disposizione delle colonne all’interno della Cattolica, e della struttura architettonica della croce a cinque punti del tetto: quattro direzioni più il centro, come il cerchio col punto al centro, simbolo della creazione, operata dalla principio universale femminile sotto l’emblema della luna illuminata di notte, dal Sole; a sua volta brillante nel cielo notturno come fosse la dea, come credevano i Pitagorici, i filosofi del territorio italico, il territorio che ha nella tradizione pitagorica di matrice orfica e del culto dei morti neolitica, la base del pensiero filosofico greco, e quindi occidentale moderno, nonché quello del nome della stessa Nazione: Italia. Aspetto allegorico e metaforico che troviamo nelle raffigurazioni degli animali teriomorfi di Kaulon: drago, delfino e ippocampo. Questi animali inferi divinali così come sono raffigurati e disposti graficamente, sembrano essere un’evoluzione della rappresentazione della grande figura adiposa femminile di Ladi di Nardodipace con l’ellisse del grande uovo orizzontale nella sua pancia, nella parte centrale della figura femminile, metaforicamente rappresentante il concetto di punto embrionale con il concepimento dello sviluppo fetale e della nascita come corpo. Lo stesso aspetto che troviamo nella rappresentazione della figura del drago di Kaulon con il corpo del drago, come pensiero orfico, perché appartiene al pensiero di fondo dell’uccisione del drago Ladone nella struttura megalitica di Nardodipace, e al suo archetipo sulla nascita di Apollo, e il culto dei morti nel mondo degli Iperborei, il mondo di Atlante, come dice Apollodoro, dove Eracle si recò per compiere la sua undicesima fatica: uccidere Ladone per portare le mele esperidee ad Euristeo. Sul piano della rappresentazione artistico e figurativa, tutto è presente nei megaliti di Nardodipace, e lo dimostrerò nel mio libro in uscita. Tutto questo coincide con la leggenda di Cleta, la serva e regina Amazzone e di suo figlio, che ad un certo punto della storia, gli muove guerra e la sconfigge come madre e come regina del regno di Cleta, dando così origine ad una nuova forma sociale di pensiero civile e religioso. Credo, quindi, che la tradizione storica, espressa dalle forme megalitiche di Nardodipace sia il presupposto sul quale si è sviluppata la civiltà matriarcale che i tardo greci chiamarono Magna Grecia e che attribuirono allo sviluppo delle comunità greche pitagoriche della Grecia storica, ma che invece è da ricercarsi nella tradizione neolitica locale e calabrese tutta. Riconoscere quest’aspetto e i resti di quell’antica civiltà matriarcale, significa capire il pensiero sociale e religioso di quelle popolazioni, ma anche la storia di questa terra e darne la giusta dimensione che le spetta nella storia del Mediterraneo e del mondo antico. Purtroppo l’archeologia ufficiale cincischia con ricostruzioni dettate dall’agende dei geologi, e la politica ne ha fatto elemento di un circo equestre, oltre che farmi la guerra. Penso e mi auguro che si possano studiare prima o poi questi megaliti, come quelli sparsi su tutta la Calabria, perché soltanto attraverso di essi potremmo arrivare a comprendere quella “scrittura” con la quale sono incisi quei testi sacri che fino ad oggi non è stato possibile, perché il Comune di Nardodipace, con le sue Amministrazioni e la sua gente, non ha fatto altro che negare il mio lavoro, per banalizzare tutto con la richiesta di quegli stessi amministratori a portare a Nardodipace degli studios ollivudiani, o organizzare la sagra della mangiata di carne di capra e poi la recita di famosi poeti che hanno letto le loro poesie all’ombra delle pietre. Questo è tutto lo sforzo che hanno promosso e sono riusciti a fare a Nardodipace in questi anni, ma anche in tutto il territorio. La storia delle presenze megalitiche di Nardodipace e delle Serre è la costruzione primaria e basilare del pensiero religioso degli indigeni che hanno nel corso del tempo occupato quel territorio nel Neolitico, fino ad arrivare a oggi: la religiosità, i culti, le tradizioni di vario genere, i nomi, gli idronimi come i toponimi, sono tutti espressioni di quella cultura matriarcale ibrida tra mondo italico occidentale e pensiero sociale religioso portato da popolazioni orientali dell’Egeo e dell’Asia Minore, oltre che delle coste occidentali del Mar Nero. Questo lo dissi anche nel 2002 in un convegno, ma agli archeologi presenti non piacque, fatto sta che però questi signori non vollero mai discutere con me di queste cose, anche a distanza; qualcuno di loro ammise le sue colpe, più tardi, dopo che la Soprintendenza riconobbe uno dei siti megalitici di Nardodipace come sito archeologico, perché prettamente artificiale e risalente al secondo millennio a.C., come posso dimostrare con la relazione su carta intestata del Ministero, però nessuno si mosse. Per questo dico che, fino quando gli accademici e gli intellettuali, compresa tutta la classe dirigente non comprenderanno quest’aspetto e guarderanno ai greci storici e ai fondatori del pensiero orfico pitagorico come espressione della tradizione speculativa e filosofica della Grecia storica, guarderanno alle dinamiche storiche di questa terra e del pitagorismo come compartimenti stagni e settoriali, senza riuscire ad andare da nessuna parte, perché la storia scritta nelle pagine litiche dei libri fatti di pietra come pergamene medievali, non racconta questo. Fine prima parte. Riservati tutti i diritti di autore.
