Il sindaco di Cinquefrondi: “Il Patto Asilo e Migrazioni rischia di limitare fortemente i diritti fondamentali”

Il sindaco di Cinquefrondi: “Il Patto Asilo e Migrazioni rischia di limitare fortemente i diritti fondamentali”

La mia partecipazione al convegno nazionale “ll futuro del diritto di asilo: diritti veri, comunità responsabili” ,che si è tenuto a Parma lo scorso 17 e 18 ottobre organizzato da Europasilo – Rete nazionale per il diritto d’asilo e da Re. Co. Sol – Rete delle Comunità Solidale, è stata l’occasione per comprendere appieno la portata del Patto e illustrare , nel mio intervento, quali cambiamenti comporta, le sue implicazioni e l’inaccettabile rinnovo del Memorandum Italia –Libia – spiega Michele Conìa, avvocato, sindaco di Cinquefrondi (RC) e consigliere metropolitano della città metropolitana di Reggio Calabria, delegato ai Beni Confiscati, Periferie, Politiche giovanili e Immigrazione e Politiche di pace. Il Patto Asilo e Migrazioni rischia di limitare fortemente i diritti fondamentali infatti chi chiederà asilo in Europa non avrà più alcun diritto effettivo all’esame pieno della domanda di protezione internazionale e potrà essere sistematicamente detenuto alle frontiere esterne dell’Unione. In pratica, all’arrivo nell’UE, le persone migranti possono trovarsi private della libertà di movimento o in condizioni simili alla detenzione. Concordo con ASGI ( Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) – continua Conìa- sul fatto che il Patto sulla Migrazione e l’Asilo non doveva essere approvato dal Parlamento europeo lo scorso 10 aprile 2024. È previsto, infatti, che il Patto entri pienamente in vigore nel giugno 2026, data in cui i singoli Stati membri devono essere in grado di applicarlo. Questo nuovo pacchetto legislativo amplia la possibilità per gli stati membri di espellere e deportare i migranti e apre la strada alla creazione di “centri di rimpatrio” al di fuori dell’Unione, simili al piano del Regno Unito di inviare i migranti in Ruanda o al tentativo dell’Italia di inviare i richiedenti asilo in Albania. Le “procedure di confine” puntano a impedire l’entrata ai cosiddetti “migranti economici” cioè persone che già oggi hanno meno possibilità che la loro richiesta di protezione internazionale sia approvata. Il nuovo patto prevede misure che renderanno più facile espellerle e rimandarle nei loro paesi d’origine: la loro richiesta verrà rifiutata, come è molto probabile in questi casi, e i migranti dovranno essere espulsi verso il loro paese d’origine o un cosiddetto “paese terzo”, fra cui ci sono anche quelli da cui spesso partono per raggiungere i paesi europei: Tunisia, Libia, Turchia. Le persone saranno sottoposte ad accertamenti negli hotspot e alla nuova procedura di asilo di frontiera, non potranno muoversi sul territorio e non potranno avere accesso ad una tutela effettiva dei loro diritti fondamentali. Durante il processo di screening (durata massima: 7 giorni) alle frontiere saranno costretti a fornire le loro impronte digitali e altri dati biometrici; devono essere trasferiti in un altro Stato membro competente per la loro richiesta di asilo; la procedura di asilo alla frontiera (che può durare fino a 12 settimane) è accompagnata da un divieto di ingresso nel territorio; la procedura di rimpatrio prevede , se la loro domanda di asilo viene respinta, che rimangano in attesa di espulsione. Le espulsioni possono durare mesi a seconda della disponibilità del Paese d’origine a riammettere i propri cittadini. Condivido la posizione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni e di Medici senza Frontiere ritenendo che la tutela della salute delle persone migranti richieda un cambiamento: abbandonare l’attuale approccio securitario in favore di politiche basate sui diritti umani e sull’inclusione. Solo promuovendo modelli basati sulla solidarietà reale, l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani si potranno garantire migliori condizioni di vita e di salute per le persone migranti, nel pieno rispetto dell’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani in cui è esplicitato che «ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese». Questo scenario di politiche di esternalizzazione delle frontiere, da esperto di Diritto, mi offre l’occasione per riflettere sul Memorandum Italia-Libia, per denunciare la politica dei respingimenti, la violazione dei diritti umani e schierarmi con chi chiede la fine della cooperazione con la Libia. Entro il 2 novembre 2025 il governo italiano può chiedere la cessazione del Memorandum d’intesa con la Libia. Se non lo farà, il 2 febbraio 2026 l’accordo verrà automaticamente rinnovato per altri tre anni. Infatti fino ad ora il Memorandum si è rinnovato automaticamente senza modifiche, ogni tre anni, dal 2017, anno in cui veniva firmato a Roma fra il governo libico del generale Fayez Mustafa Serraj e il governo italiano a guida del Presidente del Consiglio Gentiloni. Questo accordo prevede che il governo italiano fornisca aiuti economici e supporto tecnico alle autorità libiche per ridurre i flussi migratori, ai quali viene affidato la sorveglianza del Mediterraneo attraverso la fornitura di motovedette, di un centro di coordinamento marittimo e di attività di formazione. Intanto lo scorso 15 ottobre, la maggioranza di governo ha respinto la mozione dell’opposizione che chiedeva di interrompere il Memorandum. Questo ha portato, il successivo 18 ottobre, alla mobilitazione dei militanti di Refugees in Libya, un gruppo di persone, provenienti dal Sudan, dall’Eritrea e da altri Paesi , che sono riuscite a mettersi in salvo dai lager libici dove, in base alle loro testimonianze, sono stati torturati per mesi. Dal 2017 l’accordo si è tradotto nella detenzione arbitraria di migliaia di persone in movimento e nel respingimento forzato di oltre 158.000 persone verso la Libia, dove torture, violenze, tratta di esseri umani sono documentate da Onu, Corte penale internazionale e organizzazioni indipendenti. Secondo dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, dall’inizio del 2025, oltre 20 mila persone sono state intercettate e riportate nei centri di detenzione libici. La campagna Stop Memorandum Italia-Libia, promossa da Refugees in Libya insieme a numerose organizzazioni e reti per i diritti umani, tra cui ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione), MEDU (Medici per i Diritti umani), Amnesty International, Save the Chidren, ha sempre sostenuto che con il sostegno finanziario dell’Italia, dell’Unione Europea e il coordinamento di Frontex, il MoU (Memorandum d’intesa tra Italia e Libia sulla cooperazione migratoria) ha formato, finanziato ed equipaggiato le milizie libiche, che hanno sistematicamente rapito, detenuto arbitrariamente, torturato, ridotto in schiavitù, ucciso e violentato persone migranti e rifugiate. Il 4 giugno 2025 l’Ufficio dell’Alto commissariato Onu per i Diritti umani ha avviato un’inchiesta sulla scoperta di fosse comuni nei pressi di Tripoli. Il Memorandum va fermato anche per la sistematica criminalizzazione delle ong, tra cui Mediterranea Saving Humans e Sea-Watch, e il team del progetto Alarm Phone, impegnate nelle attività di ricerca e soccorso in mare. La violenza resta invisibile e questo è inaccettabile. Nessuno può voltarsi dall’altra parte: il salvataggio delle persone in difficoltà in mare non è solo un obbligo giuridico sancito dal diritto internazionale e dal Codice della Navigazione italiano ma anche un dovere morale, ponendosi l’obiettivo di garantire vie sicure e legali per l’ingresso in Europa.

Michele, Conìa, avvocato, sindaco di Cinquefrondi (RC) e consigliere metropolitano della città metropolitana di Reggio Calabria, delegato ai Beni Confiscati, Periferie, Politiche giovanili e Immigrazione e Politiche di pace.

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