Commodari (PaP): “No al modello americano di Occhiuto”

Commodari (PaP): “No al modello americano di Occhiuto”

Lascia da “re” e…raddoppia da “imperatore”, titolava una testata giornalistica calabrese nei giorni successivi la consultazione elettorale, riferendosi ad Occhiuto ed alla nuova Giunta regionale, perchè ci dice di quanto Occhiuto è uscito rafforzato da questa tornata elettorale.

Ma le recenti elezioni regionali segnano, soprattutto, il punto più basso della democrazia rappresentativa in Calabria, già messa fortemente a rischio da una legge elettorale che abbiamo definito “liberticida”, con la soglia di sbarramento fissata all’8%, e che abbiamo giudicato sproporzionata e fortemente penalizzante. Infatti, non era mai accaduto prima nella storia della regione Calabria che un Presidente, senza che nessuno avesse chiesto le sue dimissioni, si dimette, si ricandida ed esce vincitore più rafforzato di prima.

Sappiamo bene che le sue dimissioni sono state la risposta immediata, che abbiamo definito la classica “mossa del cavallo”, al tentativo di una parte della sua maggioranza di ridurre il suo strapotere. Uno strapotere che è insito nella legge elettorale che elegge direttamente il Presidente della Giunta regionale.

Una mossa, lo ribadiamo ancora una volta, servita anche per mascherare il fallimento dei suoi primi quattro anni da Presidente e che ad aver subito “scacco matto” sono le condizioni materiali di vita dei calabresi.

Nel leggere le sue dichiarazioni programmatiche in Consiglio regionale si ha la conferma di quanto noi abbiamo sostenuto e di come ha preso per i fondelli il popolo calabrese: “Negli ultimi quattro anni con il nostro esecutivo regionale si è assistito a un vero e proprio rovesciamento di paradigma: la Regione oggi è finalmente governata con autorevolezza e visione, ed è capace di sperimentare il cambiamento e di guidarlo”.

Questa sua azione di demolizione della residuale democrazia si è spinta al punto di far approvare nel Consiglio regionale del 20 novembre scorso, prima le modifiche e le integrazioni allo Statuto della Regione Calabria, che aumenta da 7 a 9 il numero degli assessori regionali e reintroduce le figure dei sottosegretari, e successivamente approvare la legge regionale che disciplina il referendum popolare per l’approvazione dello statuto regionale, che impedisce il referendum popolare per le modifiche parziali dello stesso. In sostanza si procede a modificare pezzi dello Statuto, facendo a pezzi lo Statuto stesso, senza alcuna possibilità di indire un referendum popolare.

Una pura operazione di potere, quella di Occhiuto e della sua maggioranza, utile al Presidente per tenere buoni i suoi, i quali sono stati accontentati con gli incarichi e le prebende derivanti da essi, perché remunerati, con un aggravio di spesa per il bilancio regionale e per i cittadini calabresi. Figure istituzionali inutili e dannose per la Calabria ed i calabresi.

La pericolosità sul piano sociale di Occhiuto si manifesta esplicitamente quando dichiara, sempre in Consiglio regionale, che è suo proposito promuovere “un modello di inclusione sociale, ispirato sia all’esperienza americana che alle radici dell’Impero Romano”.

Rammentiamo, che il modello sociale “americano” è basato su servizi privati e assicurazioni: l’accesso a servizi come la sanità e l’istruzione è, sostanzialmente, demandato a compagnie private e alla sottoscrizione di polizze assicurative personali.

Il sistema capitalista americano genera profonde disuguaglianze di classe e sfruttamento. Gramsci descrive l’obiettivo di questo modello: ridurre l’uomo a un “gorilla ammaestrato”, un automa sottomesso alla macchina, attraverso la parcellizzazione e la ripetitività del lavoro.

Come scrivono Karl Marx e Friedrich Engels, nel Manifesto del Partito Comunista, “In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi”.

Questo modello proposto dal presidente Occhiuto, che non ha subito alcuna contestazione da parte delle opposizioni, è il modello della barbarie sociale in una regione nella quale di barbarie n’è tanta.

L’Occhiuto bis non dice nulla sulla determinazione del Governo di portare avanti il progetto di Autonomia differenziata con il Ministro Calderoli che firma pre-intese con quattro regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, che, come abbiamo sempre sostenuto, rappresenta la separazione e frantumazione del nostro Paese, favorendo la secessione delle parti più opulente dal resto dell’Italia. Come non dice nulla sul “declino demografico irreversibile”, come sostiene il governo Meloni, che maschera la cancellazione dei servizi e la precarizzazione di massa.

Si dice d’accordo con la costruzione del ponte sullo stretto che è il simbolo della devastazione ambientale e sociale del nostro territorio, dello spreco di enormi risorse pubbliche e che rappresenta il contrario di un modello sociale e produttivo, che garantisce lavoro sicuro e onesto, servizi pubblici di qualità, che rendano certi ed esigibili il diritto all’acqua, alla salute, alla scuola.

Nelle sue dichiarazioni programmatiche, Occhiuto, continua nel proporre una sua visione della realtà parallela a quella reale.

Non vi è alcuna traccia, e non speravamo che ci fosse, dei nuovi dati diffusi da Eurostat che sono agghiaccianti: la Calabria è la regione d’Europa col più alto tasso di rischio di povertà o esclusione sociale con un incredibile 48,8% della popolazione coinvolta, mentre il 25% si trova in condizioni di grave privazione materiale e sociale, e un quinto dei calabresi impiegato con intensità lavorativa molto bassa, insufficiente a garantire salari dignitosi. Peggio di noi solamente la Guyana francese (59,5%). Questo dato segna il fallimento di un intero modello di sviluppo.

Il reddito pro capite della Calabria si attesta al 57% della media nazionale. Un calabrese su due vive in condizioni di precarietà, marginalità o disagio sociale, in una delle regioni più dimenticate dalla politica e dai grandi investimenti pubblici.

In Calabria l’incidenza della povertà assoluta tra i minori raggiunge il 13,8%, mentre quella della povertà relativa supera il 35%, confermando la regione come quella con il valore più alto d’Italia.

A questi dati si aggiungono quelli del rendiconto sociale dell’INPS del 2024 secondo cui la disoccupazione giovanile raggiunge il 31,4% e crescono le assunzioni a tempo determinato mentre crollano quelle a tempo indeterminato.

Relativamente al mercato del lavoro, il tasso di attività in Calabria è soltanto del 52%, con un divario di 20 punti rispetto al Nord, evidenziando, in particolare, il tasso di occupazione femminile, pari al 36 %, che si attesta tra i più bassi d’Europa.

Si registra la contrazione del 3% nel PIL nel settore agricolo e una perdita del 17% degli occupati tra il 2021 e il 2024, con un rimbalzo parziale nel 2025 che non compensa, tuttavia, il crollo precedente, sottolinea che la perdita demografica è superiore alla media del Sud, con 170.000 giovani emigrati negli ultimi dieci anni.

Dall’analisi della Cgia di Mestre, emerge la Calabria con il 19,6 per cento di lavoratori in nero in rapporto al totale degli occupati e a fronte del dato medio nazionale che è dell’11,3%, la regione dove si registra la presenza più alta di occupazione irregolare (117.400 unità) nel sud.

L’analisi indica in circa 68 miliardi di euro il volume d’affari annuo riconducibile al lavoro irregolare nel Paese, di cui 23,7 miliardi nel Mezzogiorno, 17,3 nel Nordovest, 14,5 nel Centro e 12,4 nel Nordest. In Calabria si parla di 2,5 miliardi di euro.

Nel frattempo, mentre si moltiplicano i profitti di pochi, le lavoratrici e i lavoratori non hanno accesso a un salario dignitoso e un contratto tutelato. Tutto questo non è frutto del caso bensì il prodotto diretto di un sistema che scarica la crisi sul Sud, sui giovani, sui lavoratori mentre chi governa è complice e incapace di garantire diritti e occupazione stabile.

A tutto questo si somma la distruzione del servizio sanitario pubblico, che colpisce più duramente proprio la Calabria.

La sanità, invece di essere un diritto garantito, è sempre più un privilegio geografico. Questa disuguaglianza significa attese più lunghe, servizi insufficienti, migrazioni sanitarie e vite spezzate. Non è solo una mancanza di risorse: è una precisa scelta politica.

E il divario si manifesta anche in altri servizi essenziali che dovrebbero garantire pari diritti sin dall’infanzia. A Reggio Calabria, una città con 170.000 abitanti, ci sono appena 3 asili nido pubblici. A Reggio Emilia, che conta all’incirca gli stessi abitanti, gli asili pubblici sono 63. Una sproporzione scandalosa che racconta tutto: due Italie, due infanzie, due destini.

Non accetteremo che la Calabria resti una terra di sfruttamento, povertà e abbandono. Vogliamo diritti, lavoro, sanità e giustizia sociale. Ora

Vogliamo e dobbiamo necessariamente costruire un orizzonte di autonomia e indipendenza ben piantato su elementi di rottura col quadro esistente, rappresentato da questo sistema di potere. Mai più sostegno alla sanità privata quando si dice di voler difendere quella pubblica. Mai più consociativismo con quei soggetti che hanno devastato la nostra terra e, anziché essere cacciati, sono di nuovo in pista, pronti alla spartizione di torte milionarie.

Perché se vogliamo metterci alle spalle il deserto prodotto dal centro destra e dal centro sinistra è fondamentale non scendere a patti con le esigenze dei centri di potere che comandano in Regione.

La nostra terra ha bisogno della partecipazione e del protagonismo civile, sindacale, sociale e politico del nostro popolo, di chiunque porti sulla propria pelle i segni della crisi e non voglia arrendersi a un destino che l’attuale classe politica vorrebbe far sembrare ineluttabile.

C’è bisogno dei troppi che scelgono l’astensionismo, che lasciano prevalere la rassegnazione. Senza una prospettiva di riscatto collettivo e di rinascita lasceremo la nostra terra sempre nelle mani di cacicchi, capibastone e feudatari.

DOBBIAMO CAMBIARE TUTTO!

Pino Commodari – Potere al Popolo

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