
Gaza al bivio tra tregua e assalto finale: l’analisi di Pietro Marra, Presidente del M.A.P.
Parlo oggi come osservatore militare: Gaza non è più solo un teatro di operazioni, ma la cerniera viva di una guerra che piega fede, strategia e speranze, e l’operazione Gideon’s Chariots II ne è l’incarnazione cruenta. Israele ha autorizzato la seconda fase dell’offensiva, mobilitando migliaia di riservisti e puntando a prendere il controllo di Gaza City; un nome evocativo, che richiama la figura biblica di Gedeone, ma che oggi acquista senso nell’asfalto e nel franco, nelle mappe militari e negli ospedali bombardati. Scrivo con la consapevolezza che dietro ogni dato strategico—60 000 riservisti chiamati, spedizione verso centro città, inquadramento urbano intensificato—si cela una catena di conseguenze politiche, morali e umanitarie che già ribollono nella diplomazia globale. Israele scommette tutto su un piano chiaro: la resa incondizionata di Hamas, il disarmo, la liberazione di ogni ostaggio e la ristrutturazione del governo di fatto nell’enclave; d’altra parte, il fallimento della prima fase – niente ostaggi liberati, Hamas ancora in piedi, città parzialmente occupata – pesa sull’operazione come un’eredità ostinata Ma la guerra è anche lo scontro tra permanenza e fughe. A Gaza City, molti resistono: non vogliono abbandonare le proprie case, anche per la paura che il sud, promesso rifugio, sia solo deserto dove la vita muore lentamente. Vivono sospesi tra la spada e il tavolo negoziale: Hamas appare disposto – secondo fonti mediatiche – a negoziare una tregua di 60 giorni E l’alternativa c’è, ma per Israele significherebbe ammettere una tregua su cui la sua la sua coalizione interna non sembra disposta a cedere. Io vedo questo passaggio come un punto di svolta: ogni mossa determina non solo l’esito di una battaglia, ma l’orizzonte politico del Medio Oriente. Se l’assalto prosegue, si profila una guerra urbana feroce – tunnel, combattendo ravvicinati, perdite umane. La comunità internazionale già parla di catastrofe umanitaria e di rischi gravissimi per la sicurezza regionale Se invece prevale la tregua, potrebbe aprirsi uno spiraglio diplomatico – ma a costo di fratture interne e di indebolimento dell’Italia israeliana agli occhi dei settori più duri del governo. Come Pietro Marra non posso ignorare l’eco simbolico di questa operazione: un nome biblico trasforma una campagna moderna in un rito di volontà collettiva, dove la spiritualità si fonde con la tattica, la difesa con l’assalto, la strategia con il sacrificio. Ora Gaza è sospesa tra il colpo finale e la tregua possibile, e qualunque scelta sarà storica – non solo per il conflitto israelo-palestinese, ma per l’intero assetto del Vicino Oriente.
Pietro Marra – Presidente M.A.P.