
Potere al Popolo: “Basta con il voto di scambio, serve una rottura radicale per liberare la Calabria”
Per un progetto di rottura del sistema di potere
La consultazione elettorale per l’elezione del Presidente e del Consiglio regionale della Calabria, appena conclusa, conferma in modo inequivocabile la fine della democrazia rappresentativa in Calabria, per lasciare posto definitivamente alla “democrazia do ut des”. Questo dare/avere ha determinato nella nostra regione, la cosiddetta “società elettorale”, che viene sistematicamente alimentata da quella “politica” ed alla quale restituisce consenso e la cui regola fissa è: voto in cambio di favore. Il tutto rigidamente controllato, per buona parte, dalla ‘ndrangheta, dalla massoneria e dalle grandi famiglie della sanità privata. Il voto libero, una testa un voto per intenderci, quello di opinione, quello della scelta politica per convinzione, si sta sempre di più assottigliando. L’elettore oramai da tempo è diventato cliente ed i capibastone ci costruiscono sopra le proprie fortune economiche. Lo dimostrano i “signori” delle preferenze.
Se anche in questa tornata elettorale oltre la metà della popolazione avente diritto al voto non partecipa, poco importa, anzi, il manovratore è contento perché quelli da controllore sono sempre di meno.
Questo sistema di potere, questo consociativismo, tra centro destra e centro sinistra, perverso e deleterio, che da decenni caratterizza questa regione e di cui tutti fanno parte, ha divorato la Calabria.
Il tutto aggravato da una legge elettorale regionale liberticida, in quanto fissa la soglia di sbarramento all’8%.
La situazione attuale si regge fondamentalmente sulla passività della società civile e politica. Il sistema lavora perché il malcontento rimanga lamentela e non si trasformi in forza reale di rottura di questo sistema di potere, in sostanza di farsi progetto di cambiamento radicale. In questo contesto, Occhiuto può tranquillamente dimettersi, ricandidarsi e riconfermarsi presidente ancora più rafforzato. Ricordiamo che le dimissioni non erano state chieste dalla sua maggioranza, ma da buon “piazzista” qual è, si è trasformato da carnefice a vittima. Il carnefice, sia chiaro, è lui, mentre la vittima, era e rimane la popolazione calabrese. Pur di conservare il potere, messo in discussione dai suoi stessi alleati, non ha esitato un attimo a compiere “la mossa del cavallo” per nascondere il suo fallimento e per garantirsi la successione, ma gli unici ad avere subito “scacco matto” sono le condizioni materiali di vita dei calabresi.
Il “grande piazzista” ha fallito perché in questa regione si muore a causa dello smantellamento del servizio sanitario, di cui è corresponsabile assieme al campo largo. Serafino Congi e Carlotta La Croce, di soli 12 anni, sono solo le ultime vittime di una continua strage. Si muore perché non arrivano le ambulanze. Perché nonostante la Calabria è una terra piena d’acqua, a seguito della sua privatizzazione e di assenza di investimenti nelle reti, lascia ancora molte zone e comuni senza.
Perché la mobilità, il trasporto pubblico, il dissesto idrogeologico, la devastazione ambientale, la speculazione energetica dell’eolico, l’avvelenamento dell’aria, del suolo e del mare, rispetto ai quali la Pertusola di Crotone è solo il caso più grave, in questi anni hanno subito una accelerazione verso il peggio.
Il “declino demografico irreversibile”, come sostiene il governo Meloni, la centralità degli interessi del mercato, la collocazione della nostra Regione come un’area dove il lavoro è fortemente svalorizzato, dove i fattori di crescita economica e sociale sono individuati nella
turistificazione selvaggia, nelle Zone Economiche Speciali, nella deregolamentazione dei diritti e nella cementificazione e nello sfruttamento insensato e invasivo dei territori, nella la precarietà, nella la condizione permanente dello sfruttamento dei lavoratori, nell’assenza cronica del lavoro che spinge ogni anno decine di migliaia di giovani, laureati e non, ad emigrare, insomma, sarebbe lungo l’elenco dei problemi irrisolti nella realtà di un sistema di sviluppo predatorio fondato sullo sfruttamento e il saccheggio.
In questo contesto il cosiddetto “campo largo”, subisce l’ennesima e sonora sconfitta, in quanto non ha rappresentato un’autentica e reale alternativa, non trovando di meglio che candidare Tridico, calabrese di origine, ma non ha nulla a che fare con la Calabria. Nulla di nuovo, l’ennesima dimostrazione dell’assenza di classe dirigente in quel campo, per cui si è costretti a scegliere al di fuori della Calabria, nella doppia funzione salvifica e di servizio.
Questa doppia funzione non è condizione sufficiente per vincere, come il risultato ha dimostrato, in assenza di una rottura con il sistema di potere di cui si fa parte. Infatti, se sei per la difesa ed il rilancio della Servizio Sanitario Nazionale, non puoi candidare la figlia della più potente famiglia che ha in mano la sanità privata, oppure scendere nelle piazze per manifestare contro il genocidio e candidare chi è per il sionismo.
La sinistra istituzionale si schianta, non eleggendo nessuno, perché ritenuta, a ragione, parte del sistema di potere.
Vogliamo aria nuova e scelte politiche chiare e nette.
Siamo stanchi della politica del “meno peggio”, che non ha mai impedito gli affondi antisociali o che si determinassero i disastri che sono sotto gli occhi di tutte e tutti noi. Anzi – consapevolmente o inconsapevolmente – ha prodotto disorientamento politico, passivizzazione sociale e ulteriore frammentazione sociale.
Vogliamo e dobbiamo necessariamente costruire un orizzonte di autonomia e indipendenza ben piantato su elementi di rottura col quadro esistente, rappresentato da questo sistema di potere. Mai più sostegno alla sanità privata quando si dice di voler difendere quella pubblica. Mai più consociativismo con quei soggetti che hanno devastato la nostra terra e, anziché essere cacciati, sono di nuovo in pista, pronti alla spartizione di torte milionarie. Perché se vogliamo metterci alle spalle il deserto prodotto dal centro destra e dal centro sinistra è fondamentale non scendere a patti con le esigenze dei centri di potere che comandano in Regione.
La nostra terra ha bisogno della partecipazione e del protagonismo civile, sindacale, sociale e politico del nostro popolo, di chiunque porti sulla propria pelle i segni della crisi e non voglia arrendersi a un destino che l’attuale classe politica vorrebbe far sembrare ineluttabile. C’è bisogno dei troppi che scelgono l’astensionismo, che lasciano prevalere la rassegnazione. Senza una prospettiva di riscatto collettivo e di rinascita lasceremo la nostra terra sempre nelle mani di cacicchi, capibastone e feudatari.
Ufficio Stampa – Potere al Popolo