
Femminicidio riconosciuto per legge, l’Italia compie un passo epocale
Di Mario Murdolo
La parola femminicidio”, oggi ormai parte del lessico comune, non descrive semplicemente un omicidio: rappresenta l’esito estremo di una violenza strutturale contro le donne — una violenza che affonda le sue radici nella storia del patriarcato, nelle disuguaglianze di genere, nella negazione dell’autonomia e della dignità femminile.
Nel corso dei secoli, le donne sono state spesso trattate come proprietà maschili — prima da padri, poi da mariti — con limitazioni profonde rispetto alla libertà personale, alla scelta, all’identità e all’autodeterminazione. L’emancipazione femminile in Italia, come in molti altri paesi, è arrivata a fatica.
Solo nel XX secolo le donne hanno ottenuto conquiste fondamentali: accesso all’istruzione, al lavoro, pari diritti civili, diritto di voto (nel 1946), la possibilità di disporre dei propri beni e guadagni, l’abolizione di istituti giuridici che formalizzavano la subordinazione come il “delitto d’onore”.
Eppure, proprio in questo lungo percorso di emancipazione, la violenza di genere si è evoluta, spesso assumendo forme meno visibili ma altrettanto pericolose: violenza psicologica, economica, sociale, discriminazioni, limitazioni nelle libertà personali, che in alcuni casi — tragicamente — sfociano nell’uccisione della donna.Negli ultimi decenni, grazie all’impegno del movimento femminista e alla crescente consapevolezza sociale, si è iniziato a riconoscere sempre di più che la violenza contro le donne non era un fatto privato, accidentale o irripetibile, ma un fenomeno strutturale, da contrastare con leggi, istituzioni e cultura.
In Italia, questo percorso ha comportato l’inasprimento delle pene per reati come maltrattamenti, stalking, violenza sessuale, revenge porn, mutilazioni genitali — cioè per quei comportamenti che spesso sono segnali di un’escalation di violenza. Eppure fino al 2025, la morte di una donna per motivi di genere era punita come omicidio comune, senza una qualificazione giuridica specifica che riconoscesse il carattere di genere e discriminazione. Questo rendeva spesso difficile — anche sul piano simbolico — riconoscere il femminicidio nella sua specificità.
Tra le tappe legislative che hanno contribuito a rafforzare la tutela delle donne c’è il cosiddetto “Codice Rosso”. Si tratta di una serie di norme volte a intervenire con maggiore rapidità e severità nei casi di violenza domestica e di genere: maltrattamenti, stalking, violenza sessuale, revenge porn. Il P.M. deve ascoltare personalmente la vittima in tempi rapidi, e vengono previste misure cautelari più efficaci.Il Codice Rosso rappresenta uno strumento molto importante — perché riconosce che la violenza di genere è spesso un problema che si ripete, crescendo progressivamente; e solo intervenendo tempestivamente si possono evitare drammi peggiori. Tuttavia, fino ad oggi, non bastava: la protezione per le donne in pericolo era limitata, e la pena per l’omicidio rimaneva quella prevista per un omicidio “generico”.
Una svolta epocale. Il 25 novembre 2025 — data simbolica, coincidente con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne — la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità il ddl che introduce nel codice penale il reato di “femminicidio” come fattispecie autonoma. L’articolo 577-bis stabilisce che chiunque cagioni la morte di una donna “quando il fatto è commesso come atto di odio o discriminazione in quanto donna, oppure come atto di prevaricazione, dominio, possesso, controllo, o in relazione al rifiuto da parte della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo, o come forma di limitazione delle sue libertà individuali”, sarà punito con ergastolo. questa legge rappresenta “una novità dirompente, non solo giuridica ma anche sul piano sociale.
La decisione di rendere il femminicidio un reato autonomo con pena massima vuole dare un segnale chiaro: l’Italia riconosce che l’uccisione di una donna per motivi di genere non è un tragico incidente o una casualità, ma l’esito di rapporti di potere sbilanciati, radicati in una cultura patriarcale di dominio, controllo e sopraffazione.È un provvedimento che può rappresentare un deterrente — ma solo se accompagnato da misure concrete: prevenzione, educazione, sostegno alle vittime ancora in vita, rete di protezione sociale, ascolto, possibile uscita da relazioni violente. Le leggi possono punire l’atto estremo — ma per fermare le violenze bisogna intervenire prima, quando la donna subisce maltrattamenti, minacce, coercizione.In più — come ricordano esperte e movimenti per i diritti delle donne — la legge serve anche a cambiare la cultura: a rompere il tabù intorno alla violenza di genere, a far emergere una consapevolezza collettiva, a promuovere rispetto, uguaglianza, autonomia.
Il femminicidio non è un caso isolato: è il punto più tragico di una lunga catena di soprusi, discriminazioni, violenze, pregiudizi che le donne hanno subito per secoli. E oggi — con la nuova legge del 25 novembre 2025 — l’Italia compie un passo significativo per riconoscere quel dolore, per dare giustizia alle vittime, per affermare che nessuna donna può essere uccisa solo perché donna.
Ma le leggi, per quanto avanzate, non bastano. Serve un impegno quotidiano di tutta la società: contro il maschilismo, contro la cultura del controllo, per la libertà, il rispetto, la dignità. Serve prevenzione, sostegno, ascolto, protezione. E soprattutto, serve che ogni donna — e ogni persona — si senta libera di vivere senza paura, libera di scegliere, libera di essere. Lo studio legale Chiera e l ass.La Fenice lotta a fianco delle donne.
