La “Pietà” dell’Addolorata e la Pasqua gioiosana

La “Pietà” dell’Addolorata e la Pasqua gioiosana

Vi è chi pensa ai sepolcri del giovedì sera, appuntamento imperdibile per le chiese di una Gioiosa malinconicamente affascinante in una notte di inizio primavera. Vi è chi contempla l’emozione della Via Crucis del venerdì sera, il corpo del Cristo già privo della sua vita terrena seguito in processione dalle lacrime infinite di sua madre. Vi è chi immagina subìto la “cunfruntata” domenicale  fra il Gesù Risorto e la Madonna ancora addolorata, la corsa improvvisa per l’abbraccio fra un figlio ed una madre che riempie di festa il cuore del centro storico di Gioiosa Jonica.

Ogni gioiosano, credente o meno che sia, ha la sua immagine della Pasqua. Una fotografia virtuale impressa nelle menti e nei cuori, a condividere il percorso di vita di ciascuno. Una visione parte del patrimonio emotivo e conoscitivo dentro di noi, che riporta alla propria infanzia e alle mani accompagnatrici dei genitori.

Anch’io ho la mia immagine e la mia visione. Un pò diverse da quelle canoniche. La mia idea di Pasqua è indissolubilmente legata ad una statua, così cara eppure così “nascosta” ai gioiosani tutti: quella del complesso ligneo raffigurante la Madonna Addolorata che piange il figlio appena deposto dalla croce, raffigurante in una parola la “Pietà”.

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Opera in legno, realizzata a metà ‘800 a cura di Giuseppe Cavaleri – un brillante scultore originario di Grotteria, conservata in quel gioiello monumentale che è la Chiesa dell’Addolorata. È  la “Pietà” gioiosana, che vuole avvicinarci all’inarrivabile “Pietà” vaticana del Buonarroti, alla sua profondissima immagine di dolore. Perché il dolore, laici razionalisti o ferventi credenti noi siamo, è una delle chiavi di lettura per cogliere l’essenza della nostra umanità: il dolore di chi si sacrifica per gli altri e per ultimi,  il dolore del potere che usa la violenza per sottomettere i deboli, il dolore di una madre che abbraccia i suoi figli per abbracciare il mondo intero, il dolore della malattia e della morte che vili ed ingiuste ci assalgono anzitempo, il dolore di una Chiesa che non riesce a colmare il divario che la divide dal Gesù più vero.

Addolorata3E’ una statua, quella dell’Addolorata, letteralmente impressionante per l’imponenza che la esalta. Mi impressiona la sua forza visiva, la sua efficacia comunicativa, racchiuse nel legno così mirabilmente scolpito. Mi impressiona l’intensità delle espressioni, la compenetrazione fra una Madonna che trasmette un autentico ed indicibile senso di pietà materna ed un Cristo mai così fragilmente umano nel mostrare la sua caducità terrena. Mi impressiona la cura così artistica di ogni dettaglio, di ogni rifinitura, di ogni piccolo elemento di corredo.

E’ la mia immagine pasquale perché mi offre una sensazione ricchissima: quella di poter cogliere il messaggio di vita della Pasqua, ovvero la fiducia incrollabile nell’umanità che guida anche la Passione di Cristo. Perché anche un non credente (come io sono e resto), riconosce l’idea di rinascita collettiva che permea la Pasqua cristiana.

È la mia immagine perché quella statua e quella chiesa (l’Addolorata) sono parte della mia umile esperienza di vita, sono care alla storia di famiglia da cui provengo. Con la mia nonna che citava sempre la sua chiesa del cuore (che stava appena dietro la vecchia casa nel “Lacco”), che mi celebrava la “sua” Madonna più bella  e che mi portava per mano a vederle durante il Giugno dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Con le storie antiche che mi sono state regalate a casa mia: del corteo di festa di tanti anni fa in cui la statua si innalzava nella sua sovrastante bellezza o del miracolo degli occhi che si mossero ad offrire grazia per una donna malata.Addolorata5

E, allora, al netto di ogni polemica su cosa è la Pasqua per i gioiosani e su come debba essere davvero vissuta, io guardo alla “Pietà” della nostra Addolorata: lì intravedo non soltanto parte della mia storia (e la mia nonna che mi starà rimproverando anche da lassù…), vi scorgo anche una parte del nostro futuro insieme. Basta saper aprire le braccia – fisiche e mentali – per accogliere tutti, con il loro seguito di esperienze, idee, prospettive: senza insultare le persone e senza disconoscere la legittimità altrui. Cosa che non è avvenuta in alcune scomposte e volgari reazioni alla satira della “carcarazza” di qualche giorno fa.

Buona Pasqua a tutte le gioiosane e a tutti i gioiosani, quelli di buona volontà.

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