Profumo d’ infanzia

Profumo d’ infanzia

“Profumo d’ infanzia”. C’ è un tempo in cui dentro di noi si compone un pentagramma sensoriale inizialmente primitivo. Sulle linee e gli spazi si adagiano indelebili rumori, odori e sapori; e ad essi, subito, si aggiungono sempre più nitidi colori e immagini, suoni e parole per alimentare quello scambio fecondo tra l’ io e il mondo che ci accompagnerà per tutta la vita. Il tempo è quello che ha inizio con il primo vagito, e ciò che ci attraversa e si fissa è l’ ambiente in cui siamo immersi: la famiglia e il luogo natio, il binomio indissolubile della crescita e dello sviluppo umano prima che l’ esistenza s’ incammini su strade nuove e indipendenti. In “Profumo d’ infanzia” (Calabria Letteraria Editrice 2015), l’ autrice, Natalina Dimasi, apre il pentagramma delle sue memorie ed esegue le struggenti melodie di un mondo povero e ricco, piccolo ed infinitamente grande, dove l’ indigenza materiale di una vita intimamente legata alla terra e alla natura, piena di fatiche, di stenti e privazioni rafforza gli affetti familiari e fa nascere il più alto dei sentimenti umani: la solidarietà connaturata nella cultura della comunità contadina, quale elemento essenziale alla sopravvivenza individuale e collettiva.

L’ autrice conserva limpidi e vividi gli occhi dell’ infanzia e la sua narrazione tocca i toni alti della rievocazione lirica, è chiara e dettagliata nelle descrizioni, trasmette immagini paesaggistiche, di ambienti naturali e domestici, fa vedere le persone negli abiti dimessi e nei movimenti quotidiani, nella loro operosità scandita dalle fasi lunari e dal volgere delle stagioni, fa sentire delle segrete dolcezze i sapori e gli odori, mostra i frutti del lavoro e della tradizione, le pratiche magiche avvolte nel mistero ancestrale, coglie le diversità di educazione e di costume tra i sessi. Il suo mondo idilliaco, elementare e spontaneo, è profanato dal dramma dell’ emigrazione che vive sulla propria pelle, lacera i suoi sentimenti più intimi, tempra il suo sentire ed il divenire donna.

Il racconto è solo apparentemente autobiografico. In realtà, coinvolge le generazioni dell’ immediato dopoguerra che nella narrazione si rivedono identificati pienamente. Parla di un luogo arcaico, chiuso e isolato ma non privo di valori umani e identitari, emblematico e rappresentativo della Calabria e del meridione.

Sull’ unica strada accidentata di tutto il comune di Caulonia, che allora congiungeva la stazione ferroviaria della marina al centro storico, assieme ai carri e alle carrozzine comparivano più frequenti le ruote gommate, ci giungevano come messaggere straniere della fine di un’ epoca ed annunciavano l’ avvento della nuova civiltà industriale. Presto le rotte dell’ emigrazione avrebbero abbandonati gli oceani per dirigersi in Europa e al settentrione con il continuo dissanguamento di questa terra e il tramonto definitivo di quella società contadina. Ora che tutto si è compiuto ed è lontano nel tempo, sorge spontanea la domanda sulla necessità di questo libro. Credo che la risposta sia stata già data dal nostro più grande autore del novecento, Corrado Alvaro. “Come a contatto dell’ aria le antiche mummie si polverizzano, si polverizzò così questa vita. E’ una civiltà che scompare, e su di essa non c’ è da piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie” Dunque, l’ autrice, Natalina Dimasi, con la sua opera si fa carico dei doveri civili e culturali della trasmissione delle radici di fronte ad una gioventù definita liquida e virale, che insegue le immagini dell’ apparire mentre ha un gran bisogno di approfondire il suo essere e la sua provenienza. A noi tutti spettano i compiti della lettura e della conservazione.

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