“Buona Scuola”: aspettando il suono della campanella…

“Buona Scuola”: aspettando il suono della campanella…

Colui che apre le porta di una scuola, chiude una prigione“, affermava Victor Hugo.

Ad una settimana dal suono della prima campanella della “Buona Scuola”, non c’è verità più vera in un’Italia ancora legata alle sue vecchie prigioni. E sempre ad una settimana dall’inizio del nuovo anno scolastico, decido di intervistare me stessa, lontana da qualsiasi forma di presunzione e desiderosa di raccogliere le mie impressioni, quelle di una giovane gioiosana laureata in Lettere come molti, di un’abilitata all’insegnamento come tanti e – ahimè – ancora in attesa di trovare il proprio posto nella scuola, sempre come tanti.

Nel cercare di trarre un pò di ordine tra il disordine generale, nel provare a tirare le somme, mi permetto di usare un pluralia tantum, sperando di rispecchiare il pensiero di molti colleghi o aspiranti tali.

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Da mesi, ormai, aspettiamo un cambiamento epocale. Chi più chi meno ha sentito parlare di “Buona Scuola”, una riforma che, dopo innumerevoli critiche, rinvii e approvazioni, è oggi legge. Ebbene sì, oggi la “Buona Scuola” sembra muovere verso grandi cambiamenti: non più porte da aprire ma fasi da espletare. Obiettivo primario della riforma, infatti, è quello di svuotare le famose GAE, graduatorie ad esaurimento ormai sature da anni e che accolgono docenti precari da altrettanti anni, purtroppo. Di fronte a questo obiettivo entrano in gioco le fasi suddette, tre in tutto, finalizzate a portare a termine il piano straordinario di assunzioni 2015 previsto dal ddl.

Fin qui sembra tutto chiaro. Ma cosa sta accadendo realmente? Soprattutto, con quali modalità? Cercando di rispondere a queste domande non posso non notare che la storia si ripete e, ancora una volta, l’asino continua a cascare. Sicuramente nuove assunzioni, ma a costo di mobilitazioni forzate di insegnanti che, per anni, hanno dato tanto alle scuole della propria regione. Corsi e ricorsi storici anche quando passiamo dal generale al particolare, dall’Italia al Sud. Da cittadina della Locride e di Gioiosa Jonica noto come la “Buona Scuola” è, ancora una volta, quella che accentua la disparità tra Nord e Sud. Se province come Milano e Mantova hanno già pubblicato i calendari per le immissioni in ruolo, nel Mezzogiorno la situazione arranca: nessuna informazione dettagliata e poche, anzi pochissime convocazioni, a causa della ormai cronica mancanza di cattedre, strutture e attrezzature. E se un tempo non molto lontano i giovani guardavano alle scuole del Nord, con la “Buona Scuola”, paradossalmente, accade il contrario: sono molti i neolaureati che scommettono sul Sud ma rimangono a casa, custodendo gelosamente il proprio entusiasmo in attesa di metterlo in pratica. Altrettanti sono i docenti svezzati da anni, in balia di un esodo forzato, tendenzialmente da Sud a Nord, costretti a scegliere tra lavoro e famiglia. Ma gli insegnanti, si sa, sono da sempre pedine scalze di un sistema che vacilla, migranti di ieri e di oggi, alla ricerca di una stabilità che appare ancora lontana.

Eppure non smettiamo di credere nella Buona Scuola, quella vera, impastata di ottimismo ed entusiasmo, gravida di proposte, perfetto connubio tra l’esperienza di chi è maturato negli anni e la voglia di rinnovamento dei giovani docenti. Noi non vogliamo una scuola d’élite, non vogliamo formare eccellenze a tutti i costi; prima di tutto, vogliamo una scuola efficace, in grado di raccogliere e vincere sfide. Sono queste le pretese che avanziamo e, se il cambiamento necessita uno stravolgimento, ben venga, purché aiuti a costruire nuove ambizioni per gli alunni e la scuola.

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Mentre scrivo queste poche righe abbandono il pensiero di tanti e ritorno a me stessa, alla mia ancora povera esperienza da quasi insegnante. Ricordo la mia prima e unica supplenza, quando sono stata catapultata improvvisamente in un paesino della Locride, Cirella di Platì, dove ho sperimentato che quello del docente non è un mestiere come tanti ma una missione. E mi sembra di rivedere quei vicoli che mi portavano a scuola tutte le mattine; i ragazzi che mi hanno accolta un po’ straniti e un po’ curiosi per la mia giovane età; i colleghi, squisiti e da subito ospitali che, spesso, hanno fatto fatica a distinguermi tra gli alunni, strappandomi un sorriso. Questa è quella che definirei la Buona Scuola, forse un po’ troppo semplice ma comunque autentica, pronta a partire dal basso per costruire cose grandi, sfidando continuamente sé stessa e il mondo circostante.

Mi avvio a concludere, evitando di scadere nella demagogia e lasciando questa pagina aperta così come aperta deve essere oggi la scuola. Tuttavia, mi preme lanciare una sfida, rifacendomi alle parole di Don Lorenzo Milani che, in una lettera ad una professoressa, scriveva così: “E voi ve la sentite di fare questa parte nel mondo? Allora richiamate, insistete, ricominciate tutto da capo all’infinito a costo di passar da pazzi.”

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