Lucciole di agosto

Lucciole di agosto

lucciole2Già sul finire di agosto, i lidi e gli ombrelloni erano tutti vuotati, i tizzoni spenti dei falò rimasti ad annerire la sabbia con le orme delle danze attorno e le barche tirate in alto al riparo dei cavalloni; parevano i lasciti desolati di gente fuggita repentinamente, di una vita troppo breve svanita nelle lontananze invisibili da dove era venuta con l’ansia di ripartire. In una porzione di spiaggia libera, lei stava distesa supina sul telo, respirava l’immobilità del crepuscolo, e le sue nudità apparivano come spente e inodore. Leggeri cirri di spume dorate sussurravano muti il gorgoglio dei pensieri, sperso laddove il cielo e il mare si tingevano con pennellate dello stesso colore ambrato, e i lineamenti delle colline vibravano nel riverbero delle crespature trasparenti di un fuoco ondulato. Una vela sull’orizzonte indistinto cadeva flaccida sull’albero di maestra, e, poco distanti, le paranze dal fondo, reso un deserto, tiravano su le reti piene di alghe e di fango e delle immondizie umane trasportate dalle correnti, mentre i gabbiani affamati vi roteavano attorno nell’aria impallidita. Un gozzo, dai colori mediterranei bianco e azzurro, costeggiava preceduto dal rumore del diesel che lo sospingeva, rompeva il silenzio sceso sovrano e spartiva con la ruota di prua le acque quiete in scie bianche e sonore; il turbinio dell’elica incideva un solco che, come il vomere fa con la terra, sollevava le onde e le abbandonava esauste nell’incavo del bagnasciuga. Qualche lacrima, spuntata dalle ciglia chiuse, si rifugiava agli angoli degli occhi, scendeva a irrorare le tempie, tracciava rivoli di brillanti appena percettibili al pari delle pietre confitte nei lobi delle orecchie, e si perdeva nelle pieghe dei capelli biondi, lasciati come un riflesso ancora acceso del sole caduto.

lucciole3“E’ finito tutto nel bagliore di un lampo, devo andare oltre il mare per ritrovare me stessa dopo questi giorni di sballo totale.” Disse Sara, con il brusio delle onde che si arrendevano flebili sull’esile battigia, e Michele, che le stava seduto accanto e la guardava, non seppe rispondere e le prese la mano.

Scorrevano davanti ai loro occhi le notti frenetiche dell’età della vita bruciata nell’emulazione precoce del rito ludico degli adulti. La voce stentorea delle discoteche, i ritmi febbrili, ripetitivi e assordanti. Le movenze incalzanti e perpetue del corpo irrequieto, insonne e stracco. E i cocktail. E le droghe. E le allucinate illusioni. Per tirare su l’adrenalina, reggere il ballo nella mischia e il barbaglio dei fasci cromati di luci fendenti. Le tensioni che sfociavano nelle risse violente. E l’amore. L’amore ebbro, confuso, fugace, senza il sapore dei sensi storditi e le emozioni dei sentimenti sconnessi.

Seguì il tempo in cui le sensazioni non seppero trovare le parole. Sul lungomare tremolavano i rami delle palme assieme ai pioppi e agli oleandri, annunciavano l’arrivo delle brezze soffiate dalla terra per portare le ansie e le sofferenze del mondo oltre i confini visibili. Michele si chinò sulla bocca di Sara, indugiò come fosse l’ultima volta, poi portò le labbra sull’areola dei sui suoi seni, morse con dolcezza l coni dei capezzoli inturgiditi, e lei sentì scorrere sotto la pelle un fuoco leggero, mise le dita tra i suoi capelli e i loro corpi furono scossi da un fremito infinito. Il plenilunio si affacciò con l’opale argenteo pieno e ingrandito, sopra le acque tracciò una lunga via di polveri splendenti, dileguò tutto nelle lucciole che, apparse nelle notti stellate di agosto, non giunsero mai a settembre.

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