I figli della ‘ndrangheta: come offrire loro una reale alternativa

I figli della ‘ndrangheta: come offrire loro una reale alternativa

Bambini a metà. I figli della ‘ndrangheta” è una coraggiosa riflessione pubblica su un tema estremamente delicato: quello dei bambini che crescono nelle loro famiglie di mafia e si trovano poi catapultati in progetti di accoglienza fuori dal loro ambiente d’origine, grazie ad un Protocollo – intitolato “Liberi di scegliere” – messo in campo dal Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria e finalizzato all’allontanamento per legge dai genitori mafiosi.

Iantosca Gioiosa 25 febbraio

L’autrice del libro presentato a Palazzo Amaduri – a cura di “Libera Locride” e dell’Associazione “Don Milani” – è Angela Iantosca, una giovane e brillante giornalista romana che collabora anche con la ben nota trasmissione televisiva La vita in diretta.

L’idea da cui parte la Iantosca è molto semplice: capire se per bambini cresciuti a “pane e violenza” – in contesti familiari assolutamente mafiosi per tradizione storica e per approccio di vita – esiste un’altra possibilità, esiste una strada alternativa. Proprio l’obiettivo che si pone il Protocollo promosso dal Giudice Di Bella (Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria): figli di boss della ‘ndrangheta sottratti per legge ai propri genitori e assegnati per un determinato periodo a enti associativi e comunità educative. Di questo Protocollo, fra l’altro, ne abbiamo accennato parlando dell’ormai famoso articolo de L’Espresso Non crescerai mafioso (leggi QUI).

Un percorso nuovo è stato tracciato. Una procedura assai forte, che incide fortemente su assetti familiari e relazioni affettive, anche criticata per il suo impatto individuale: una scelta di contrasto diretto alle mafie che, al momento, è in fase di sperimentazione soltanto in Calabria (circa 30 i ragazzi sottoposti al Protocollo). Nel libro, questa sperimentazione viene narrata nella sua essenza, attraverso anche la rappresentazione – mai urlata e sempre profondamente rispettosa delle singole esperienze di vita – di questi “bambini a metà”.

La Iantosca spiega le grandi difficoltà gestionali di simili procedure, soprattutto nei primi tempi quando avviene materialmente il distacco fra genitori mafiosi e figli. La prima fase è sempre molto complessa, soprattutto sul piano psicologico ed emotivo. Il passaggio da una vita fatta di violenza e di dolore ad una semplicemente normale – con tutto quel che ne consegue – non è affatto facile. Ma è una strada quasi obbligata, fra le poche che possono consentire ai “figli della mafia” di avere un’alternativa, di poter sfuggire al proprio ineluttabile destino di criminale.

Nel dibattito di Palazzo Amaduri, particolarmente significative sono state le parole di Don Pino De Masi, da sempre impegnato in un’antimafia di fatti concreti in un territorio delicatissimo come quello della Piana di Gioia Tauro. Don Pino, che è assolutamente favorevole all’estensione a tutt’Italia del Protocollo “Liberi di scegliere”, dice subito cose assai dirette e di chiara efficacia comunicativa: la battaglia sui “figli della ‘ndrangheta”, sulle nuove generazioni, non possiamo assolutamente perderla. La mafia è un fenomeno umano, ricorda il sacerdote referente di Libera, e come tale avrà una sua fine: serve assolutamente “sfondare” positivamente sull’educazione dei ragazzi, inserirli in un meccanismo di crescita alternativo alla pedagogia di vita della mafia, riconoscere l’identità dei rampolli della ‘ndrangheta per procedere ad un’effettiva trasformazione della stessa.

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Non casualmente, allora, Don Pino contesta apertamente i mille progetti sulla legalità che si fanno ormai in tutte le scuole. Si tratta di progetti – nella gran parte dei casi – fini a se stessi, autoreferenziali, incapaci di parlare veramente ai ragazzi invischiati in comunità così impregnate di mafiosità. Serve una strategìa d’azione differente, più condivisa, basata su fatti concreti e meno parole: un pò come avvenuto sul finire degli anni ’70, quando Don Pino insieme ad altri docenti – in silenzio e con grande delicatezza d’approccio – hanno lavorato per aiutare ragazzi potenzialmente a rischio ‘ndrangheta e li hanno portati su una strada completamente diversa.

Fra gli altri, vi è stato anche l’intervento di Mario Congiusta, anch’egli un fermo sostenitore del Protocollo del Giudice Di Bella. Perchè non esiste una Calabria irrimediabilmente perduta alle ragioni della civiltà democratica. A partire, magari, dai figli degli assassini di suo figlio Gianluca: le intercettazioni ci ricordano come – anche dal carcere – si possa imporre ai propri figli un’idea di violenza e di illegalità che serve proprio a perpetuare la propria antropologia di mafia.

In conclusione, una bella ed abbondante serata di riflessione, condita anche da una buona partecipazione di pubblico. Probabilmente, se vi fossero più libri e più occasioni pubbliche per parlare di certi temi – con l’intelligenza e la sensibilità dimostrate a Palazzo Amaduri – molta inutile e ridondante antimafia di mestiere sarebbe posta ai margini e si potrebbe dare più spazio ad un’antimafia concreta che rifugge sapientemente inutili sensazionalismi.

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