Benny Nonasky: Caulonia, paese vuoto di turismo e cultura

Benny Nonasky: Caulonia, paese vuoto di turismo e cultura

lungomare caulonia

Riceviamo dal nostro lettore Benny Nonasky e pubblichiamo:

Cosa resta di noi?

(in risposta all’editoriale di Ciavula: A Caulonia vinceranno loro, ma noi stiamo arrivando di Giovanni Maiolo)

Lavorando con la parola ho scoperto che prima o poi ti fai male. La parola compie un lavoro molto pratico: il nominare rende possibili le cose e le può far accadere. Inoltre compie, con un semplice gioco di prestigio grammaticale, quel processo che ci rende leggermente superiori agl’altri animali: la comunicazione. Comunicare è il nostro modo di esistere e coesistere con gli altri; le nostre basi comunicative creano legami, correlazioni necessarie al nostro vivere quotidiano. Se siamo felici o tristi possiamo dirlo e, molto spesso, qualcuno risponderà al nostro appello d’attenzione. Questa è la parte buona della parola. La parte negativa sta nella sua opacità e falsità, perché la parola può tradire, nascondere, offendere, minare le basi di un rapporto, logorare, minacciare, dividere. La parola, capita, diventa un’arma che può infliggere molti danni sulla scacchiera delle relazioni umane. Perché genera sentimenti e dipendenza, anche a lungo termine. Lavorando con Lei, ho capito che è molto più semplice tenerla sul lato del male, dove le emozioni sono più suscettibili e prive di difesa. Per quanto si voglia dire, scrivere è un mestiere difficile se lo si fa con la parte del cuore indirizzato verso il bene personale o sociale. Quando la scrittura diventa parte del male (che può essere una presa in giro come un discorso qualsiasi di un dittatore), invece, si apre un mondo carico di messaggi e simboli dove il fluire delle parole scorre – fottuta la grammatica e la punteggiatura – e il freno arriva sempre in ritardo perché c’è sempre un rancore, un circolo vizioso, un gioco – spesso – creato su misura. Così per i comuni mortali. Quando parliamo di politica la parola diviene pacata e quasi romantica, ricca di eufemismi e pratiche di orgoglio nazionale, in un’intricata rete di analisi incomprensibili e finti sorrisi col botto finale. Questo fino a poco tempo fa. Poi sono arrivati i social network e i politici, sono tornati ad essere comuni mortali. Ora il male è il male di tutti. Le offese sono pratiche comuni, post dopo post, senza filtro o compostezza. Il raggio d’azione, che fino a un decennio fa si basava su un microfono, il palco e il punto dove finiva la piazza o il tendone o la strada, ora lambisce i confini del mondo e rimbalza ovunque come una mitragliatrice inceppata. Non si fa più attenzione alle parole che si utilizzano. Il becero fa da padrone. Più si scende in basso, più la popolarità sale. E questo lo sa fare bene il Movimento 5 stelle (e questo lo differenzia molto dal linguaggio di Podemos, anche se quest’ultimo mi delude). Anche Salvini non è da meno. Ma oltre questo male, si aggiunge quello dei comuni cittadini che si ritrovano a vivere una vita internauta, carichi di menzogne stampate a convenienza di un uomo o di un altro, senza comunque mai poter raggiungere il posto dove sguazzano gli dei del Parlamento o di un semplice seggio comunale. Di questo passo non esiste più una “figura politica”, indistinguibile nel marasma universale di Internet, dove tutti pensiamo di esser uguali con un click. Anche questo è male. La democrazia diretta non può funzionare in un sistema clientelare ramificato come il nostro né può reggere per competenze le redini di uno Stato o del mondo. Non tutti possiamo esser politici o idraulici o scienziati. Ma adesso tutti siamo tutti. Basta urlare il proprio sdegno sotto copertura. La vita si è spostata dentro un sistema fittizio e irreale, in cui non esiste più la bestia, ma solo la vittima. Tutti siamo vittime: vittime di un sistema corrotto, vittime delle scie chimiche, vittime degli orsi bruni, vittime di una frode, vittime di un robot, vittime e vittime e vittime. Ma come fa una vittima a riscattare la sua posizione? Può mai vincere una vittima? Può mai riscoprire la tecnica che usa il corpo per camminare, scendere in strada, urlare o scioperare? Questa finta vittima di tutto ha ancora il controllo sul suo stato civile e umano? (E questo ci differenzia molto dagli spagnoli). La parola si è svuotata del suo potente carico evocativo. Non diviene più azione. L’unica: premere il tasto INVIO una volta terminata l’omelia strappalacrime. Amici, compagni, gente di questo tempo e di questo giorno che non termina mai, nella ripetitività degli eventi, io dico che noi stiamo arrivando, burberi e senza appetito, carichi di promesse e senza alcuna soluzione oltre lo sfascio delle istituzioni (come il M5S insegna). Noi stiamo arrivando via cavi e router, senza muoverci da una sedia che spinge al diabete e al volgare. Non sono pessimista. Osservo la realtà perché voglio utilizzare bene la parola. Lavoro con quella. E Caulonia non sarà mai Barcellona (anche se il vecchio lungomare tentava di imitarla) né Madrid: Caulonia è un paese vuoto di gente e turismo e cultura. Dove la parola si è fermata al lamento da spiaggia. Dove i campetti e il passeggio serale sono stati bombardati da una guerra che nessuno ha visto. Dove i politici sono sempre gli stessi, inutili al servizio pubblico perché privi di entusiasmo civile – con poca cultura ed esperienza fuori da quest’Italia che li rispecchia e ci identifica. Caulonia ha visto il marcio e se ne è innamorata. Come si fa a smettere di amare qualcosa? Io amo, ma qualcuno mi segue? Solo la morte guarisce? Caro amico, Compagno, gente di tutta questa terra, davvero solo la morte ci attende?

Salva

CATEGORIES
TAGS
Share This