Omicidio Caccia, il pentito rivela: “Il procuratore ucciso perché cacciò via i boss che tentavano di avvicinarlo”

Omicidio Caccia, il pentito rivela: “Il procuratore ucciso perché cacciò via i boss che tentavano di avvicinarlo”

Fonte: http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/03/13/news/il_pentito_di_ndrangheta_caccia_fu_ucciso_perche_caccio_via_i_boss_che_tentavano_di_avvicinarlo_-160437488/

“Avevano cercato di avvicinare il procuratore Caccia. Erano entrati nel suo ufficio senza prendere un appuntamento. Ma lui gli aveva sbattuto la porta in faccia, li aveva cacciati in malo modo. Placido Barresi me lo raccontò in carcere: la cosa che più lo faceva arrabbiare era proprio questo, che lui non li avesse neppure fatti parlare. Per questo decisero di ucciderlo, mi disse che avevano deciso il cognato Mimmo e Ciccio Mazzaferro che all’epoca comandavano”. Parla da un’aula protetta, collegato alla Corte d’Assise di Milano, il pentito Domenico Agresta al processo per l’omicidio di Bruno Caccia in cui è imputato, come uno degli esecutori materiali, il panettiere torinese Rocco Schirripa. Agresta è inquadrato alle spalle, accanto a lui c’è l’avvocato che lo assiste. È il “pentito ragazzino” con una condanna già definitiva per omicidio e per associazione mafiosa. Ha solo 28 anni ma le sue dichiarazioni fanno tremare le ‘ndrine del Piemonte. È lui che ha fatto il nome di Francesco D’Onofrio, indicandolo come terzo uomo coinvolto nel delitto del procuratore. D’Onofrio ha già replicato al pm Marcello Tatangelo dicendo di non essere della ‘ndrangheta. Ma Agresta racconta: “Mio padre mi raccontò che era lui che manteneva la famiglia Belfiore mentre Mimmo era in carcere – ha raccontato – D’Onofrio aveva un legame fortissimo con I Belfiore, anche di tipo affettivo”.


Agresta parla con voce sicura. Non esita nel ricostruire la storia personale e della sua famiglia. Tratteggia, attraverso i diversi personaggi che hanno “comandato” in città, trent’anni di ‘ndrangheta torinese. Il pubblico ministero Tatangelo gli chiede di ripercorrere momenti della sua infanzia e soprattutto dei tanti anni trascorsi in carcere. “Che sono un momento fondamentale della formazione del giovane ‘ndraghetista” dice. “Proprio in cella parlammo con Renatino Macrì che era in carcere con me. Era terrorizzato da Schirripa e D’Onofrio – racconta – Gli chiesi: perché? Sapevo che erano molto violenti, erano persone che sparavano, era cosa risaputa. ‘Sparavano ancora prima che tu nascessi’ mi ha risposto. Mi disse che quei due se ne erano ‘fatte’ di persone in passato”.

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