Truffe e ricettazione di merce, le mire delle cosche sul Novarese

Truffe e ricettazione di merce, le mire delle cosche sul Novarese

Fonte: http://www.lastampa.it/2017/03/10/edizioni/novara/truffe-e-ricettazione-di-merce-le-mire-delle-cosche-sul-novarese-n6AAvEB9c7I8vRx4gKyzFK/pagina.html

Si preparavano allo «sbarco» in territorio novarese. Il capannone che avevano affittato qualche settimana fa, nella zona industriale di San Pietro Mosezzo, era destinato ad ammassare merce acquistata illecitamente, con truffe ai danni di imprenditori, utilizzo indebito di carte di credito, aperture di società fittizie che poi venivano chiuse e dichiarate fallite.
Un «modus operandi» che per anni avevano utilizzato in Veneto, dove viveva il gruppo di calabresi. Lì avevano «spremuto» centinaia di persone e raggirato perfino banche e istituti di leasing. Ora avevano deciso di spingersi verso il Nord Ovest. L’incursione in provincia è stata fermata sul nascere perché nel frattempo i carabinieri di Venezia, coordinati dall’Antimafia, hanno concluso l’operazione «Nuova frontiera».
Nelle 60 perquisizioni effettuate in tutto il Paese, i militari si sono spinti anche a San Pietro Mosezzo, dove hanno sequestrato ettolitri di gasolio di dubbia provenienza. Probabilmente sarebbe stato riciclato sul mercato attraverso la fitta rete di contatti, alcuni dei quali attigui alle cosche. Indagini sono in corso anche sul proprietà del capannone: si vuole capire se si sia trattato di un contratto casuale o se ci fosse qualche aggancio novarese della banda.
I reati ipotizzati: associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, uso indebito di carte di credito e di carburante, ricettazione, riciclaggio, violenza privata. Il tutto aggravato, per molti, dal metodo mafioso, anche al fine di agevolare la ‘ndrangheta. In Calabria era diretta gran parte della merce acquistata con l’inganno: generi alimentari, frutta, latticini, materiali per l’edilizia e per l’idraulica, gruppi elettrogeni, container refrigeranti. Si parla di un danno patrimoniale a banche e imprese per 12 milioni di euro.
Mente di tutto il meccanismo erano i due arrestati Michelangelo Garruzzo, 56 anni, calabrese da tempo trapiantato in provincia di Treviso, e Antonio Anello, 63 anni, solito dimorare fra Calabria e Veneto. Proprio loro avevano affittato il capannone a San Pietro Mosezzo. Garruzzo è risultato vicino alla cosca Pesce di Rosarno (Reggio Calabria); Anello alla cosca Fiarè di San Gregorio d’Ippona (Vibo Valentia), alleata del clan Mancuso di Limbadi. Altri cinque fiancheggiatori sono stati sottoposti all’obbligo di firma.
Il metodo mafioso, per gli investigatori, si ritrova in vari episodi. Uno risale all’agosto 2015: il giovane commesso stagionale di un market preso in affitto a Jesolo, gestito attraverso una società asservita al gruppo criminale, era stato minacciato. Aveva preteso, legittimamente, la busta paga. Per tutta risposta era stato trascinato nel retro e malmenato. Poco dopo il negozio era stato svuotato: la merce era stata acquistata con la formula del pagamento a 30, 60 o 90 giorni, tempo sufficiente per mettere a segno le truffe e poi sparire.

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