«Gli esseri umani non hanno scadenza»

«Gli esseri umani non hanno scadenza»

Fonte: Corriere della Calabria

Autore: Pablo Petrasso

La sliding door del “modello Riace” è la relazione firmata dai funzionari della Prefettura di Reggio Calabria nel dicembre 2016. Un elenco di «situazioni fortemente critiche» preceduto da una serie di elogi. Gli ispettori parlano di un «progetto che assicura la necessaria accoglienza e assistenza nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità degli stranieri presenti». Ci vanno giù duro, ma non prima di aver segnalato «la ricorrenza di elementi positivi, indispensabili per l’integrazione e l’interazione in sintonia con i principi stabiliti dal sistema di protezione (Sprar), in base al quale le persone accolte devono essere protagoniste attive nel proprio percorso di accoglienza e di inclusione sociale».
Roba da far venire l’orticaria ai supporter dell’integrazione impossibile, ai fan dello scontro di civiltà. Riace è un’altra cosa e il dato emerge plasticamente dal confronto tra le accuse degli ispettori e le controdeduzioni firmate da Domenico Lucano. Uno scontro sui regolamenti, l’approccio e l’interpretazione di ciò che accade nel piccolo centro della Locride. Ma anche, forse soprattutto, una contesa tra visioni differenti. Da un lato le valutazioni burocratiche, dall’altro l’applicazione della normativa applicata alla pratica quotidiana. Che può essere caotica e certamente è costretta a inseguire l’emergenza. Le risposte di “Mimmo il curdo” alle durissime contestazioni della Prefettura di Reggio Calabria non indietreggiano di un centimetro. Non possono, però, tenere conto di ciò che a Riace si cerca di realizzare ogni giorno: «Un progetto di solidarietà come valore etico e di crescita culturale ed economica connessa all’integrazione»; la «costruzione di un modello di cittadinanza globale».

IL PREZZO DEL SUCCESSO Non per questo Lucano rinuncia a sottolineare ciò che non lo ha convinto nella visita ispettiva. «I toni e le deduzioni degli ispettori – scrive – appaiono immotivatamente “punitivi” e “ostili” quando si descrive il nostro progetto come “ammantato da un idilliaco alone” paventando una enfatizzazione dei mezzi di comunicazione». Insomma, «l’interesse che Riace ha suscitato non può essere considerato una colpa». Mentre «le considerazioni di presunte inadempienze e diffuse criticità sono il risultato di una visita eseguita in maniera approssimativa e parziale; senza nessuna effettiva verifica alle strutture di accoglienza; senza alcuna previa audizione dei soggetti beneficiari dei progetti i quali, nella loro qualità di fruitori, sono i veri testimoni in grado di attestare la qualità e l’organizzazione dei servizi a loro erogati». Nessuna audizione con gli operatori, nessun incontro con i “vecchi” riacesi, nessuna “intervista” agli operatori economici e gli esercenti delle attività commerciali che ricevono benefici da una gestione diventata un punto di riferimento nel mondo. L’ispezione, la sliding door, è stata soltanto una mera consultazione delle carte. Ma Lucano, come detto, non si sottrae al confronto sui documenti.

AFFIDAMENTI DIRETTI: UN PARADOSSO Una delle contestazioni riguarda l’affidamento diretto dei servizi ai rifugiati – compito di alcune cooperative del luogo –, avvenuto senza passare attraverso procedure di evidenza pubblica. Vero, ma erano il ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria a «formulare continue e impellenti richieste di ulteriori posti straordinari da reperire e attivare con immediatezza onde accogliere quanti più rifugiati possibili». L’assenza di un iter burocratico più trasparente – è quello che gli ispettori imputano al modello Riace – è «una responsabilità condivisa dal Comune di Riace con gli organi superiori ammesso che di effettiva responsabilità si possa parlare dato che, appunto, si agiva, e si continua ad agire, in situazioni di emergenza». Un paradosso: proprio gli enti che hanno richiesto l’aiuto del Comune di Riace in situazioni di emergenza, oggi «contestano l’assenza di procedure di gara a evidenza pubblica per l’individuazione dei soggetti gestori».

SISTEMA SOTTO ACCUSA È sotto accusa anche il sistema delle chiamate fiduciarie all’interno delle strutture che si occupano di assistere i migranti. Lucano snocciola i numeri: sono impiegate circa 80 unità lavorative, di cui circa 12 sono ex beneficiari dei progetti Sprar, «il cui livello di prossimità ed empatia che hanno con l’utenza costituisce un valore aggiunto». Per il sindaco «la chiamata diretta fiduciaria è prevista dalla legge, così come la proroga. Anzi, la proroga garantisce la continuità e la conseguente acquisizione di professionalità che va a beneficio dei destinatari della prestazione». Gli ispettori della Prefettura segnalano anche che «dall’esame della documentazione e dalle informazioni assunte sono emersi numerosi rapporti di parentela tra il personale in organico presso gli enti gestori e i componenti dell’amministrazione comunale». Sul punto, replica il sindaco, «ci si chiede in quale modo sia possibile sfuggire ai legami di parentela in un paese che conta circa 1500 abitanti e le cui relazioni sociali sono quasi del tutto sovrapponibili a quelle famigliari».

GLI ESSERI UMANI NON HANNO SCADENZA C’è un passaggio nel quale le ragioni del progetto sembrano inconciliabili con quelle della burocrazia. La Prefettura contesta al sistema di accoglienza una spesa «non giustificata» per 638mila euro. Dipende dal fatto che almeno il 30% dell’intera popolazione ospitata (150 unità) non avrebbe titolo a continuare la permanenza all’interno del progetto, poiché il periodo massimo previsto (6 mesi) risulta abbondantemente superato, in alcuni casi addirittura da quasi un biennio». Lucano risponde che la «somma è stata regolarmente spesa e contabilizzata nell’ambito del progetto seppur a favore di rifugiati di lungo periodo. Dal punto di vista sostanziale nulla cambia se la spesa viene affrontata a favore dei rifugiati già presenti o a favore dei nuovi arrivati». C’è un «contrasto macroscopico tra la ratio del progetto Sprar (accoglienza e integrazione) con la normativa secondo cui alla naturale scadenza il rifugiato dovrebbe essere messo fuori dal progetto e abbandonato in strada (questo avremmo dovuto fare per evitare la critica mossa dagli ispettori)». «L’accoglienza e l’assistenza ai richiedenti asilo – è uno dei passaggi delle controdeduzioni – non possono, e non devono, essere un valore a orologeria ove, scaduto il termine, il rifugiato viene abbandonato a se stesso. In realtà, l’utilità di dilatare la durata della permanenza è stata la giusta strategia per garantire l’effettivo inserimento, tanto che a oggi almeno 150 rifugiati vivono stabilmente a Riace fuori dai progetti e definitivamente inseriti nel contesto sociale ed economico». È il cuore della contesa. Ciò che propone il sistema studiato nella Locride non prevede che gli esseri umani vadano in scadenza. Il freddo calcolo burocratico sembra suggerire una soluzione diversa. Sembra un bivio piazzato sul futuro dell’accoglienza. Dalla strada imboccata dipende il futuro di centinaia di migliaia di persone.

LUCANO CHIEDE DI ESSERE ASCOLTATO Dalle indagini della Procura di Locri, invece, dipende il futuro del modello che ha ispirato Wim Wenders e attirato l’attenzione del mondo. E Lucano – che è rappresentato dagli avvocati Andrea Daqua e Antonio Mazzone – muove i primi passi per difendersi dalle accuse di truffa e concussione. Lunedì si è rivolto ai magistrati per chiedere di essere ascoltato. E ha fatto qualcosa in più: ha esortato i pm a effettuare un’indagine patrimoniale su di sé e su tutto il suo nucleo familiare, ha prodotto tutta la documentazione riguardante i conti correnti postali che gli sono intestati e ha inoltrato alla magistratura la richiesta, rivolta alla Prefettura di Reggio e mai evasa, delle relazioni prefettizie del gennaio 2017 e del maggio-giugno 2017.

 

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