Ilario Ammendolia: “La Locride che non si arrende”

Ilario Ammendolia: “La Locride che non si arrende”

Riceviamo e pubblichiamo:

Il primo dicembre ci siamo dati appuntamento all’hotel President.

Ci sarà Pino Aprile, Mimmo Gangemi e altri, presiederà Mario Filocamo. Ovviamente mi auguro che ci saremo “Noi” e così in tanti da far capire che la Locride non abbassa la testa. Anche perché la nostra iniziativa si svolge in un momento particolarmente grave per la Jonica.

Non porteremo vessilli di parte ma se una bandiera ci dovesse essere sarà quella della nostra Terra e della nostra gente.

Non saremo “neo borbonici”, né nostalgici perché il nostro pensiero è positivo ed è rivolto al futuro.

Perché ci riuniamo?

Provo a dirlo in poche parole: se qualcuno a Torino, Roma o Milano dicesse “Locride” il pensiero corre alla ‘ndrangheta. Il nome Calabria è accostato alle coste più che ai Bronzi di Riace. Oggi più che mai.

Eppure in questo fazzoletto di terra non più grande di un modesto quartiere di una piccola città, nello spazio di pochi chilometri esistono gli scavi di Locri, quelli dell’antica Kaulon, la villa romana di Casignana, tante torri e castelli, la Cattolica di Stilo, San Giovanni Therestri, il mosaico bizantino di San Zaccheria. Un’infinità di stupende Chiese. Centri storici di assoluta eccellenza come Gerace, Stilo, Caulonia, Placanica ecc. L’eremo di Sant’Ilario, il Santuario di Polsi.

Le nostre valli sono un incanto dal Marmarico al Buonamico passando per l’Allaro.

Nel panorama culturale predomina la figura eccezionale di Tommaso Campanella, il filosofo che ancora fa parlare di sè il mondo intero per la sua “Città del Sole” e poi Corrado Alvaro, Mario La Cava, Saverio Strati, Francesco Perri, Nicola Zitara, Pasquino Crupi.

Alle nostre spalle si erge imponente l’Aspromonte declinante verso le Serre, mentre dall’altra parte brilla il mar Jonio.

Qui, il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ha creato un modello di accoglienza che ha avuto riconoscimenti in tutto il mondo fecondando la nostra antica cultura di ospitalità.

Qui – in condizioni difficili – sono stati realizzati telai e fabbriche, aziende agricole di avanguardia.

Qui abbiamo avuto (e abbiamo) ottimi medici anche quando hanno operato in condizioni proibitive, valenti avvocati, famosi latinisti, intellettuali di assoluto riguardo, bravi poeti dialettali, musicisti, artisti. Contadini, artigiani e operai tra i più tenaci e laboriosi di Europa.

Qui i suoni di chitarra e di organetto hanno accompagnato per secoli la tarantella che è stata un ballo di massa. La quadriglia dei poveri! Mi fermo ma potrei continuare per ore.

Quindi, va tutto bene? Assolutamente No!

Alle vecchie malattie si sono aggiunte altre e nuove. È vero: la nostra terra qualche volta trema e altre volte frana verso valle, i nostri torrenti da tranquilli rigagnoli, in poche ore, diventano gonfi e rabbiosi trascinando ogni cosa nella loro folle corsa verso il mare. Tuttavia, siccome non voglio recitare la parte dello “zio” nel film Jonny Stecchino, dirò subito del grave morbo della ‘ndrangheta che ha causato a questa nostra terra lutti, carcere, sofferenze e umiliazioni. Una ferita che si aggiunge ad altre ancora più antiche ma non meno gravi quali le profonde sacche di esclusione sociale, di emarginazione e di ignoranza. Le inaccettabili disuguaglianze e gli anacronistici privilegi dei pochi.

Accanto a tutto ciò, esiste una classe dirigente provinciale e regionale e, molto spesso anche locale che, nel suo complesso, è inadeguata e che non è sicuramente all’altezza dell’attuale momento storico. Composta da pseudo “esponenti” di questo o quel partito che si sentono legittimati a governarci e a rappresentarci in nome di Renzi, di Berlusconi o di Grillo e non per le idee che hanno in testa, per un progetto di governo o per l’impegno verso la propria terra e la propria gente.

In parte siamo responsabili delle cose che non vanno bene, e poco determinati nel combattere ciò che va male.

Solo in piccola parte però! Perché con la scusa di curarci l’influenza sono intervenuti portandoci la lebbra, la rogna e la tigna. Siamo diventati mafiosi al 27%. Non per un errore di scrittura ma perché la cifra del 27% è stata funzionale agli eroi dell’antimafia per trasformare questa terra nel loro palcoscenico.

Sono entrati a gamba tesa per metterci fuori gioco, ferirci e mortificarci. Ci fanno andare in prima pagina dei giornali nazionali con retate che si rivelano sistematicamente dei flop.

All’indomani del delitto “Fortugno” hanno nominato generali e prefetti a reggere l’ospedale di Locri e a riscattarlo dalla presenza mafiosa ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

La verità e che nessun problema verrà risolto finché non riusciremo a svegliare il gigante addormentato.

Non parlo di plebe vociante e qualunquista, ma di un popolo consapevole che riacquisti fiducia in se stesso, si riscatti dal segno criminale che ci è stato imposto sulla fronte, non subisca da agnello mansueto il fatto che siano altri – con la complicità di capi, capetti e ascari locali – a commissariarci, e a governarci a vita. E quel che è peggio, ricavando la loro legittimità nella nostra presunta minorità mentale, nel nostro DNA mafioso, nelle nostre scarse virtù morali, dell’inesistente senso civico.

Tutto qua!

Ritorno all’inizio dell’articolo per ribadire che insieme possiamo fare in modo che si ritorni a parlare della Locride per le sue bellezze, per la fierezza e l’ingegno dei suoi abitanti, per la sua storia, per i sacrifici di popolo testardamente tenace e non meno onesto di altri.

Il primo dicembre sarà una tappa importante e ulteriore per una strategia meridionalista che non si alimenta da fuochi di paglia.

Una strategia in cui trovino il giusto spazio i nostri problemi.

Dobbiamo trovare il coraggio di rifiutare quel tozzo di pane che ci viene gettato a terra e che serve per tenerci alla catena perché ci sono tutte le condizioni per guadagnarci onestamente pane e companatico.

Ilario Ammendolia

Associazione 22 ottobre

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