‘Ndrangheta: la drammatica storia del piccolo Rocco che avrebbe dovuto ammazzare la madre

‘Ndrangheta: la drammatica storia del piccolo Rocco che avrebbe dovuto ammazzare la madre

Notizia tratta da: espresso

«La devi ammazzare. Due colpi nella faccia di quell’infame di tua mamma e chiudiamo ’sta tragedia una volta per tutte. Devi farlo tu. Con l’età che c’hai non andrai in galera». Il padre fissava il piccolo Rocco, da lui si aspettava la stessa determinazione nel tenere lo sguardo alto. Non rimase deluso.

Erano uno di fronte all’altro nella campagna stretta tra l’Aspromonte e il mar Ionio. Seduti su poltroncine di plastica sotto un albero di arance in fiore, protetti da un lungo arbusto di gelsomino, che segnava il confine della tenuta. L’intenso e dolce profumo di gelsomino strideva con il cinico progetto di morte che don Nicola aveva appena consegnato nelle mani del suo erede.

Al racconto shock e inedito è dedicato il primo capitolo del libro appena pubblicato da Laterza dal titolo “Rinnega tuo padre”. Il piccolo Rocco è nato nel 2004, alcuni anni dopo l’ingresso di Nicola nella ’ndrina del paese. Rocco, tuttavia, non è il suo vero nome e sul paese possiamo dire poco. Non per omettere qualcosa, ma solo per tutelare il ragazzo, che oggi vive in una località protetta. Lontano da quel padre che voleva diventasse un killer, battezzato col sangue della madre come nelle più classiche delle tragedie greche. L’inizio di una carriera. Per diventare magari un giorno capomafia.

Rocco non vede più suo padre da oltre un anno. Vive con la mamma e la sorella fuori dalla Calabria. È uno degli ultimi ragazzi allontanati per decreto del Tribunale dal genitore ’ndranghetista. Il termine tecnico della procedura è “decadenza della responsabilità genitoriale”. Finora il presidente del Tribunale, Roberto Di Bella, ha firmato quasi 50 decreti di questo tipo. La decisione di intervenire non è indiscriminata. Si fonda su notizie provenienti da indagini della magistratura da cui emerge il degrado educativo di cui sono vittime questi ragazzi. Degrado educativo inteso come trasmissione di valori mafiosi e perciò trattato alla pari di un maltrattamento fisico. Per comprendere fino in fondo cosa si intenda per trasmissione della cultura ’ndranghetista e come questa venga inculcata nella mente di adolescenti indifesi, è necessario leggere gli atti che sono alla base delle decisioni del Tribunale.

Nelle pagine di Rinnega tuo padre, infatti, troviamo i tratti di una pedagogia parallela, l’educazione di un figlio al crimine. Il più piccolo degli “allontanati” nel 2016 aveva 12 anni. Per Rocco e altri ragazzini come lui, figli di latitanti, di boss, di soldati semplici, il destino familiare aveva riservato un posto nell’organizzazione. La ’ndrangheta, però, non aveva fatto i conti con un giudice altrettanto determinato e coraggioso. Il magistrato che ormai da cinque anni offre una via d’uscita all’obbligatorietà della pena. E che ha cambiato il corso degli eventi. Dimostrando come il destino non sia immutabile.

Rocco aveva impugnato per la prima volta la pistola a 12 anni. Gracile com’era, non era stato facile per lui premere il grilletto e resistere al rinculo. Suo padre aveva improvvisato un poligono artigianale nella campagna del nonno. Su un tavolo piazzato tra due alberi aveva sistemato alcuni barattoli di latta. Rocco aveva preso la mira con l’aiuto del papà. Poi in un attimo il colpo era partito e la tensione che aveva fatto tremare quelle gambe incerte di bambino si era sciolta. La seconda volta aveva sparato con il fucile del nonno. La terza di nuovo con la pistola. In un mese aveva ormai acquisito la sicurezza di un pistolero esperto. Agli occhi di suo padre stava diventando finalmente un uomo. Passavano gli inverni e le estati, e Rocco era pieno di ammirazione per quel padre autoritario e violento.

Rocco respirava ’ndrangheta e piombo. Chissà quale ruolo gli sarebbe toccato. Di certo, un giudice ha impedito che Rocco diventasse un killer bambino. Ha impedito che la vita di sua madre diventasse lo scalpo da portare in dono al capotribù in segno di riconoscenza. L’iniziazione, dopo la quale non è più possibile tornare indietro, non si è ultimata. Ancora qualche anno e avrebbe giurato fedeltà a san Michele Arcangelo con il sangue.

La madre aveva paura, per se stessa e per il figlio. Ecco un passaggio della sua testimonianza contenuta in Rinnega tuo padre: «Io non riesco più a controllare la pericolosità di mio figlio, che è manipolato dal padre e dal nonno, persone pregiudicate e molto pericolose. Dopo la denuncia, il mio ex marito mi ha fatto sapere, tramite mio figlio, che mi brucerà viva. Ho paura […] mio figlio è abituato a usare armi, che gli dà il padre, e temo possa utilizzarle per commettere gravi reati contro noi familiari e sé stesso».

Il dramma di una famiglia, devastata dal senso distorto dell’onore.

Giovanni Tizian

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