Pasquale Cavallaro è un eroe? E il Pci ha tradito la “Repubblica di Caulonia” ?  – seconda parte

Pasquale Cavallaro è un eroe? E il Pci ha tradito la “Repubblica di Caulonia” ? – seconda parte

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Addio compagno Vincenzo Taranto

Larga parte dell’analisi di Vincenzo Taranto è basata su una lettera inviatagli dalla Francia l’8 ottobre 1973 da Vincenzo De Guisa, uno dei quattro fondatori del PCI a Caulonia, durante il fascismo. Gli altri erano Fioravante Fameli, Vincenzo Fiorenza e Nicola Frammartino, detto “il commissario”.

Ai tempi della rivolta De Guisa era membro del Comitato Direttivo della sezione comunista e segretario della Camera del Lavoro di Caulonia.

La causa scatenante la rivolta fu l’arresto di Ercole Cavallaro, terzogenito di Pasquale. Per Vincenzo Taranto non si trattò di una provocazione dei signorotti e dei fascisti ma quello perpetrato da Ercole Cavallaro sarebbe stato addirittura “un atto di violenza, spoglio di motivi politici plausibili. Infatti, la sezione comunista, rimarcò subito la sua netta condanna”.

Vediamo come Taranto descrive l’accaduto: “Il 2 novembre 1944, Ercole Cavallaro, alla testa di un gruppo di nove giovani dell’associazione pro-partigiani di Caulonia, di cui egli era il presidente, andò a perquisire arbitrariamente le abitazioni private di due noti ex fascisti: Ocello Antonino, nella frazione Focà di Caulonia, e Prota Nestore nella contrada Favaco di Stignano, poco distante. Ocello e Prota sporgono denuncia e la magistratura emette mandato di cattura contro Ercole Cavallaro e il gruppo dei giovani partigiani”.

Secondo Alessandro Cavallaro, che lo scrive nel libro ferocemente contestato da Taranto: “Da tempo si vociferava in paese che nelle case di due noti fascisti ci fosse un arsenale di armi nascoste. Così il 2 novembre 1944 si andò a fare un controllo. L’arsenale di cui si parlava non c’era e in seguito riflettendo a posteriori, si capì che quelle voci erano state diffuse a bella posta per far cadere il movimento dei lavoratori in una trappola”.

Taranto smentisce questa versione, sostenendo che se fosse stato così la sezione comunista ne avrebbe avuto sentore.

Appena il PCI locale viene a conoscenza della perquisizione si riunisce il Comitato Direttivo (guidato da Pasquale Cavallaro in qualità di segretario, ma quel giorno assente per un malanno) e decide l’immediata espulsione di Ercole, condannando così l’azione di perquisizione contro i due fascisti. La risoluzione viene recapitata per conoscenza a casa di Pasquale Cavallaro, che è anche sindaco. La reazione è rabbiosa. Scrive De Guisa: “(Cavallaro) subito ha mandato un certo Cosimo Buffettino, che non ricordo bene il suo cognome, con un foglio scritto che diceva così: <<Per ragioni di pubblica sicurezza, per ordine del Sindaco, chiudere la camera del Lavoro e consegnare la chiave al portatore>>.

Qui Taranto apre una parentesi ricordando che la Camera del Lavoro si trovava al centro del paese, “in via Vincenzo Niutta, dove oggi si trova l’ufficio postale”. In precedenza quei locali erano occupati dal “Dopolavoro professionisti”, che la gente chiamava comunemente “u circulu di gnuri”, il circolo dei signori.

Alla sezione comunista era venuto il dubbio che in quel luogo si potessero sviluppare trame reazionarie e fasciste. Pertanto Pasquale Cavallaro, nominato commissario prefettizio prima di diventare sindaco, chiama il vigile urbano Luigi Nesci e con lui, “accompagnato da Nicola Frammartino <<il commissario>> alla guida di un gruppo di uomini armati di bastone – manda una missiva al presidente del circolo, tale Ferdinando Campanella, maresciallo in pensione, con la quale gli si chiedeva di chiudere il circolo e di consegnare la chiave al portatore, per porre fine alle trame fasciste. […]. Il maresciallo Campanella, ricevuta la missiva e lettala, con passo marziale entra nei locali del Dopolavoro Professionisti. Il circolo era pieno di soci, seduti attorno ai tavolinetti delle due sale. Raggiunto il centro della sala grande si arresta, rimanendo dritto come una candela e, con voce robusta, un pò elevata e imperativa, da il seguente ordine: <<Signori, at-tenti!>>. Tutti scattano in piedi come una sola persona. Egli prosegue: <<Per ordine del commissario prefettizio, tutti fuori! Sgomberare immediatamente il locale!>> Tutti escono. Il maresciallo Campanella chiude le porte e consegna le chiavi. In quei locali dopo pochissimi giorni viene installata la Camera del lavoro. Ecco perchè Pasquale Cavallaro, per ritorsione alla espulsione del figlio Ercole dal partito comunista, voleva mandare via la Camera del Lavoro dai locali da lui ottenuti e che considerava un proprio possesso. Ma, a dire il vero, anche Nicola Frammartino, sul possesso dei locali, pensava la stessa cosa: fu il suo drappello armato di bastoni che, secondo lui, impose a suo tempo lo sgombero dei locali del circolo”.

A questo punto prosegue il racconto di De Guisa, fermo al punto in cui Pasquale Cavallaro chiede la consegna della chiavi della Camera del Lavoro: “Mi ricordo bene, eravamo quella sera nel locale io e Nicola Frammartino. Quando abbiamo letto il contenuto del foglio, il compagno Frammartino gli ritornò il foglio dicendogli: <<Dinci o sindacu cu stu fogghiu u si stuia u culu>>”.

A quel punto Vincenzo De Guisa pensa sia il caso di andarsi a chiarire con Pasquale Cavallaro e insieme a Vincenzo Leotta, anch’egli membro del Direttivo, si reca a casa del sindaco per spiegare le ragioni che hanno dettato l’espulsione dal partito di Ercole.

Racconta De Guisa: “Quando siamo andati a casa di Cavallaro e abbiamo bussato alla porta, lui era come una belva ferita: non ci ha lasciato pronunciare una parola, si scaglia addosso come un cane sul compagno Leotta, e comincia a dargli calci, schiaffi, pugni. Questo è riuscito ad aprire la porta e fuggire via. Allora Cavallaro si avvicina minaccioso a me, gridando anche tu mi hai tradito, ti sei messo d’accordo con quel delinquente di Frammartino, dovevi sapere ch’io sono il capo. Da allora non ho voluto saperne più di lui, ma sono rimasto comunista”.

Così interpreta i fatti Vincenzo Taranto: “Pasquale Cavallaro grida che lo hanno tradito, che hanno tradito la sua persona. Non gli ideali comunisti, non gli interessi dei lavoratori; non la lotta per il riscatto del popolo oppresso; non la causa del comunismo. Io, Pasquale Cavallaro, costituisco la ragione per cui dovete lottare, anche a sacrificio della vostra vita! Sorge il sospetto che l’adesione al partito comunista, fosse stata per Pasquale Cavallaro una scelta tattica, subordinata al raggiungimento di altre finalità strategiche non dichiarate”.

Taranto fa a pezzi anche il rapporto tra Cavallaro e Togliatti, facendosi forte della lettera di De Guisa che recita: “Un giorno abbiamo mandato Cavallaro a Napoli per parlare con il compagno Togliatti, che a quell’epoca aveva formato il partito a Napoli, a parlarci dell’andamento del nostro partito e a prendere consigli. Lo ha accompagnato nel viaggio il compagno Leotta, e quando sono rientrati a me Leotta mi disse così: Togliatti ci ha ricevuti, e siamo stati bene accolti. Cavallaro si mise a parlare, alla mia presenza per più di mezz’ora, e per ogni argomento metteva sempre avanti la sua persona qualificandosi di povero Crucifisso; alla fine Togliatti gli disse: <<Se ti correggerai sarai un buon compagno>>”.

Per Taranto, “Togliatti non intratteneva nessun rapporto speciale con Cavallaro”.

continua…

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