L’antimafia di Bartuccio e la pizza di Bubba, il #Calabriatour di Propaganda Live

L’antimafia di Bartuccio e la pizza di Bubba, il #Calabriatour di Propaganda Live

Notizia tratta da: corrieredellacalabria

LAMEZIA TERME I chilometri di distanza non sono molti. E ci sono due pezzi di Calabria da raccontare. È la puntata di venerdì di Propaganda Live, che si muove tra Gioiosa Jonica e Rizziconi. Tra un centro Sprar e la vita blindata di Nino Bartuccio, ex sindaco che ha denunciato la cosca Crea.

LA PIZZA (O PINSA?) DI BUBBA A Gioiosa Jonica, Zoro (al secolo Diego Bianchi) incontra le esperienze della Rete dei Comuni solidali. E le loro preoccupazioni. Le spiega Giovanni Maiolo, coordinatore dello Sprar: «Il 3 dicembre, quando il Dl sicurezza e immigrazione sarà convertito in legge, ci saranno 15mila posti di lavoro in meno. Di italiani». A Gioiosa rischiano in venti. Una di loro è Alessia Barbiero: «Qui proviamo a tutelare i diritti dei rifugiati – dice –, li aiutiamo a orientarsi nella giungla della giurisprudenza, della sanità. Ci sono figure specifiche che si occupano dell’insegnamento lingua italiana, di assistenza psicologica, della costruzione di un inserimento socio-economico». Il clima politico imposto da Matteo Salvini porterà a una marginalizzazione di questo tipo di accoglienza, «che diventerà residuale, mentre è un sistema garantisce inserimento pacifico. Qualcuno ha trovato casa e lavoro e tante famiglie di Gioiosa hanno trovato opportunità di occupazione in un contesto segnato dalla presenza mafiosa e da un’economia depressa. Opportunità lavorative belle, legali e oneste».

Nelle stanze dello Sprar Diego Bianchi incontra Bubba, che ha 21 anni e viene dal Senegal. Vive in Italia da cinque anni e lavora come pizzaiolo. È un esperto di pinsa e si cimenta in una conversazione sulla tipologia di farine utilizzate. «Spesso prendono in giro la gente – spiega in un momento esilarante della trasmissione – vendono per pinsa quello che non lo è». Il dialogo è surreale, ma serve a spiegare che attraverso gli Sprar si può costruire vera integrazione. «Al lavoro parliamo solo calabrese. Io ho cominciato con una borsa lavoro – evidenzia –. Ma senza Recosol non avrei saputo dove andare, all’inizio mi vergognavo anche a parlare mentre adesso faccio tutto da solo, senza l’aiuto di nessuno».

BARTUCCIO: «LO RIFAREI MILLE VOLTE» Nella Piana di Gioia Tauro, Propaganda Live si ferma a casa di Nino Bartuccio, l’ex sindaco di Rizziconi che vive sotto scorta da più di quattro anni perché ha denunciato la cosca Crea. Bartuccio racconta a Zoro perché ha scelto – all’epoca – di candidarsi a sindaco: «Pochi mesi prima era stato assassinato Francesco Inzitari, un ragazzino di 18 anni figlio di un imprenditore e politico della zona: la comunità era annichilita, azzerata, non c’era stata nessuna reazione della società civile e ho pensato che non potessimo delegare tutto agli altri»
«Non avrei mai immaginato di essere eletto – dice –, l’altra lista è stata esclusa e bisognava raggiungere il quorum del 51% (4.400 voti). Una volta arrivato al comune volevo fare tante cose, soprattutto evitare di far passare per favori i diritti». Subito sono arrivati i primi tentativi di “avvicinamento” da parte della ‘ndrangheta. «Mi sono rivolto alla Prefettura e poi ho trovato il conforto di un grande uomo di Stato, il vicequestore Francesco Rattà». Bartuccio denuncia, fornisce prove. Ma la cosa ha delle conseguenze. La sua amministrazione viene sciolta dalla mafia: «Qualcuno dei consiglieri è stato minacciato e costretto a dimettersi, per far cadere la giunta». Forse il clan ha eliminato il problema Bartuccio. E a quel punto cominciano aggressioni contro la famiglia dell’ormai ex sindaco. «Dopo la caduta dell’amministrazione – continua – il clima di ostilità in paese era palpabile, mio figlio è stato aggredito da 10 minorenni tra i quali i figli di noti pregiudicati». L’operazione Deus cambia tutto: il clan finisce nel mirino della Dda e la vita della famiglia Bartuccio viene sconvolta. «Da 4 anni, 4 mesi e 11 giorni siamo tutti sotto scorta. Dal 4 giugno 2014. Quella mattina alle 6,45 alla mia porta hanno suonato gli agenti di polizia, la prima persona che ho visto è stata Francesco Rattà. Mi ha detto: “La giustizia è lenta ma inesorabile”. Da allora siedo sui sedili posteriori della macchina. Ero diventato un testimone di giustizia, mi dissero che sarei stato trasferito in una località protetta, che tutti avremmo avuto un’altra identità. Risposi: “Io non voglio andare via, voglio rimanere a Rizziconi”, il magistrato quasi esultò: “La proteggeremo a casa sua”».
Da allora Bartuccio ha l’esercito sotto casa. Non è una passeggiata: «Se fossi nelle condizioni di poter rifiutare, da domani mattina riprenderei a guidare la mia macchina. I miei genitori potrebbero godersi meglio la loro vecchiaia dopo una vita di sacrifici, i miei figli sarebbero tranquilli – dice senza nascondere la commozione. Abbandonerei subito la scorta». Ma non può. E ricorda lo strappo politico accompagnato a quella rivoluzione nella sua esistenza: «La mia idea politica è sempre stata di centrodestra, fino al 2014. Poi ho capito tante cose, ho cambiato idea. Ho avuto l’impressione che il mio partito si vergognasse di me. Quando ci sono stati gli arresti non mi è arrivato un attestato di vicinanza ufficiale da Forza Italia, se non dall’assessore regionale alla Cultura del Veneto, Elena Donazzan». Non è facile, ma «lo rifarei senz’altro, non avrei mai potuto deludere i miei figli, lo rifarei mille volte. Certo, avrei preferito che questa cosa non mi fosse mai capitata, ma nel momento in cui capita te la prendi, è il destino».

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