‘Ndrangheta, ucciso un calabrese a Pesaro nel giorno di Natale

‘Ndrangheta, ucciso un calabrese a Pesaro nel giorno di Natale

Notizia tratta da: repubblica

Una pioggia di proiettili sparati per uccidere, un agguato in puro stile mafioso. È morto mentre tornava a casa nella sua auto, nel centro storico di Pesaro, Marcello Bruzzese, 51 anni, padre di due figli, fratello del pentito di ‘ndrangheta Girolamo. Secondo le prime ricostruzioni, attorno alle 18.30 i killer, con i volti coperti da cappelli e sciarpe, lo hanno atteso nei pressi di casa sua, in via Bovio. Hanno aspettato che la sua auto rallentasse per entrare in garage, poi gli hanno sparato decine di colpi con una o due pistole automatiche calibro 9. Bruzzese è morto nell’abitacolo dell’auto, mentre gli assassini si sono dileguati a piedi lungo le strette vie del centro storico di Pesaro.

Sul posto sono arrivati dopo pochi minuti i carabinieri chiamati da abitanti della zona che avevano sentito i colpi. Poco più tardi per coordinare le indagini, sono arrivati i pm Fabrizio Giovanni Narbone e Maria Letizia Fucci e dirigenti della Dda di Ancona. La pista della vendetta di ‘ndrangheta è apparsa subito la più plausibile, sia per le modalità dell’agguato e il numero dei colpi esploso, sia per l’identità della vittima. Bruzzese infatti viveva a Pesaro da circa tre anni non per scelta, ma perché sottoposto a uno speciale programma di protezione: abitava con la famiglia in una casa pagata dal ministero dell’Interno, inserito in un programma di protezione la cui segretezza non è stata evidentemente sufficiente a salvargli la vita.

Qual è stata la falla nel sistema di protezione del Viminale?

Della sicurezza della persona protetta si occupano speciali nuclei di protezione delle forze dell’ordine che dipendono dal Servizio centrale di protezione del Ministero dell’Interno: a seconda del livello di tutela assegnato possono anche essere cambiate le generalità a tutti i familiari compresi i figli affinché dalla loro frequenza nelle scuole non si possa risalire ai genitori.

Ecco come Anacleto Flori – funzionario amministrativo presso il Ministero dell’Interno – descrive questo mondo di ‘invisibili’ in un articolo pubblicato sulla rivista mensile “Polizia Moderna”. “Quei testimoni e quei collaboratori devono diventare da un giorno all’altro uomini e donne senza più un volto. Devono lasciare i luoghi che li hanno visti nascere e crescere, entrare in un protettivo, ma inquietante cono d’ombra che tutto nasconde, ma soprattutto devono imparare a mimetizzarsi con l’ambiente circostante, fino a diventare invisibili, quasi incorporei”.

LE VITE DEVASTATE DEI TESTIMONI DI GIUSTIZIA

“Anche le loro vere identità – aggiunge Flori – devono essere cancellate, cambiate, affidate all’oblio, perché i boss mafiosi difficilmente dimenticano il nome di un ‘infame’. Da quel momento, da quella scelta di rottura con il passato le esistenze dei testimoni, dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari sono appese a un filo. Spetta allora allo Stato, quello stesso Stato che ha avuto un aiuto prezioso nelle indagini, non voltargli le spalle e garantire loro la necessaria protezione e assistenza”.

Le barriere dello Stato che li difendono sono tali e tante da rendere impossibile a chiunque di essere individuati nella loro dimora che a tutti gli effetti è segretissima. La domanda, ora, è: come hanno fatto i due killer a scovare Bruzzese? C’è stata una falla del programma di protezione: un tragico errore o, peggio, una ‘talpa’?

Marcello Bruzzese, fratello di un collaboratore di giustizia

Marcello Bruzzese è il fratello di Girolamo, collaboratore di giustizia dai primi anni Duemila. La loro non è una famiglia di boss, ma nella gerarchia della ‘ndrangheta, fino agli anni Novanta, vantavano un posto di rango. Il padre Domenico, ucciso in un agguato nel ’95 insieme al genero Antonio Madafferi, era il braccio destro del potentissimo boss Teodoro Crea, padrone incontrastato dell’economia, della politica e dell’amministrazione di Rizziconi, nella Piana di Gioia Tauro.

Una posizione privilegiata, in parte ereditata dal figlio Girolamo, che in questo modo ha potuto conoscere molti dei segreti del clan, poi rivelati ai magistrati. Sue le dichiarazioni che in passato hanno permesso di conoscere i politici a disposizione della cosca Crea e hanno portato all’arresto dell’esponente dell’Udc, Pasquale Inzitari.

Marcello invece non aveva seguito lo stesso percorso, anche dopo il pentimento del fratello sarebbe rimasto per anni in Calabria. Tuttavia, secondo indiscrezioni, da qualche tempo avrebbe tentato di distaccarsi dall’asfissiante ambiente della Piana. Dopo un primo tentativo di trasferimento al Nord, da tre anni insieme alla famiglia aveva messo radici a Pesaro, ma questo non sembra essere bastato per metterlo in salvo.

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