Lula, Mimmo Lucano e il potere che schiaccia i giusti

Lula, Mimmo Lucano e il potere che schiaccia i giusti

Notizia tratta da: ilsalto

«Siamo obbligati a credere che esista la giustizia. Se si perde questa speranza non ha senso nulla». Mimmo Lucano arriva a Locri, visibilmente stanco, accolto dall’abbraccio del comitato Undici giugno. In tribunale lo aspetta la prima udienza di un processo che lo tiene lontano dalla sua Riace già da otto mesi. «Il pericolo che il Lucano, nell’esercizio delle sue funzioni di sindaco del Comune di Riace o comunque di componente a qualsiasi titolo del civico consesso locale possa reiterare i reati della stessa specie di quelli per cui si procede» è caduto. Mimmo non è più il sindaco di Riace, non è nemmeno entrato in Consiglio. Insomma il rischio di «reiterazione del reato» non c’è più, eppure i giudici hanno confermato l’esilio (ieri, 10 giugno) respingendo la richiesta dei suoi legali. Nonostante il divieto di dimora a cui è sottoposto riguardi i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e alcune presunte irregolarità nell’appalto del servizio di raccolta dei rifiuti. Accuse legate alla carica di sindaco. 

«Mi difenderò nel processo e non dal processo», aveva detto Mimmo Lucano appena saputo del rinvio a giudizio. E lo farà da esiliato, condizione in cui dovrà rimanere fino alla Cassazione. La procura di Locri gli contesta: associazione a delinquere, truffa con danno patrimoniale per lo Stato, abuso d’ufficio, peculato, concussione, frode in pubbliche forniture, falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il processo politico ha spalancato le porte della Giustizia e ha messo a sedere Mimmo dietro il banco degli imputati. 

E, mentre in Calabria prende corpo il processo all’umanità, dall’altra parte del mondo un altro ‘giusto’ riempie le pagine dei giornali. Quello che in molti scriviamo da tempo, è ora alla luce del sole. Nero su bianco sulle chat di giudice e procuratore brasiliani che hanno spedito Lula dietro le sbarre con l’accusa di aver riscosso come mazzetta un attico sull’Oceano Atlantico. Glenn Greenwald, direttore del sito investigativo The Intercept, ha tirato fuori uno scoop che ha tutta l’aria di una scoperta dell’acqua calda. E, in questo modo, ha tolto anche al peggiore dei sordi la possibilità di ignorare quel che succede in Brasile: dietro la vittoria dell’estrema destra di Jair Bolsonaro c’è il lavorìo nei palazzi della Giustizia

Telefonate e messaggi su Telegram, anni di conversazioni tra giudici e magistrati del pool «Lava Jato» (nome dell’operazione anticorruzione). Tra loro anche Sergio Moro, che dopo aver emesso la condanna per Lula (e non solo) si è visto aprire la porta del ministero della Giustizia da Bolsonaro. Pubblica accusa e giudice, si consultano costantemente su come inchiodare l’ex Presidente. Bloccano interviste, esultano per la caduta di Dilma e per le manifestazione contro la Presidenta. E, no, non è normale, non si può fare. Va contro il diritto penale.

Arrestati, criminalizzati, denigrati. Due uomini che hanno sfidato il potere costituito assumendo il governo della propria comunità – piccola o grande che sia. Che hanno provato ad assumere un pezzo di quel potere per trasformarlo. E se il potere è quella facoltà di fare o di non fare qualcosaLula e Mimmo Lucano hanno provato a fare qualcosa senza divenir padroni.  

Tiziana Barillà

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