Invito a pranzo con preghiera

Invito a pranzo con preghiera

Mi ripetevo delle cose e ne facevo della altre. Mi ripetevo delle cose e ne facevo della altre. Mi ripetevo delle cose e, quando era il momento giusto per mettere in pratica l’opera della convinzione ormai più che convincente, ne facevo della altre.

Il sette settembre la tipa della raccolta differenziata aveva preso a schiaffi il mio gatto. Era colpa del gatto, era stato un cazzone. Con il potenziale a disposizione di un gatto, se ti fai prendere a schiaffi dalla tipa della differenziata non me ne frega niente che i resti della signora del secondo piano fossero invitanti, significa che te le meriti. Il resto sono chiacchiere. Quando ci ho parlato gli ho detto proprio così e lui mi ha risposto “Mia…”. Il giorno dopo ha preso schiaffi da un altro gatto. Posso accettarlo. Mi metto nei suoi panni, quello stronzo arancione striato sembra più una tigre che un gatto. Posso accettarlo. Si è difeso. Mi ha detto “Miao!” e ci siamo capiti.

L’otto ottobre ci è ricascato. La signora aveva preparato il pesce stocco più buono che avessi mai immaginato. Il profumo si sentiva forte dalle finestre ancora aperte, affacciate sulla Calabria che non cedeva alla nuova stagione. Il figlio della signora era tornato per festeggiare il compleanno di mamma e meritava quel piatto, il suo preferito. La tipa della differenziata aveva visto il mio gatto intento a banchettare con i resti della festa. Aveva provato a dissuaderlo ma lui se ne è fottuto. Si meritava quegli schiaffi. All’atto delle spiegazioni, questa volta, non ci siamo capiti. Mi si è avvicinato con un “Miao…” intendendo farmi credere che se fossi stato al suo posto avrei fatto lo stesso. Io sono il suo umano e non ho potuto dargli ragione. Si fida di me ma l’ho rimproverato e mi sono preso tutte le ragioni. Ho spiegato le basi dell’errore che gli sono costate gli altri schiaffi. Avevo torto. Ma è fondamentale avere ragione, soprattutto quando si ha torto. Mi ha detto che quantomeno le cose con il gattone andavano meglio. Poi abbiamo dormito tutto il pomeriggio. Ci siamo capiti.

Il nove novembre la figlia della signora ha investito il gattone mentre il padre le stava facendo qualche lezione di scuola guida. Non riusciva a darsi pace, povera piccola. Io e il mio gatto abbiamo provato a spiegarle che era normale e che a bene pensarci quell’esperienza avrebbe assunto i carati della migliore esperienza possibile per il suo futuro al volante. Il padre ci ha guardato male. La ragazza piangeva. Io le ho passato un pacco di fazzolettini perché si asciugasse le lacrime. Il mio gatto le ha fatto le fusa. Il viso disteso del padre mi ha spinto all’azzardo.

“Ma quindi il corpo del gatto va nell’umido?”

Lui si incazzò “Ma come puoi pensare ad una roba del genere?”

La ragazza tornò a piangere.

“Hai preso pure tu qualche schiaffo dalla signora della differenziata?”, le dissi.

Lei mi guardò male. Il mio gatto si incazzò. Non voleva essere messo in ridicolo in quelle circostanza. Con gli estranei è sempre molto attento, lui gatto ruffiano ed ora in debito con la ragazza. Il gattone arancione era il bullo del quartiere e se ne era liberato. Chi se ne frega del come?

Il dieci dicembre c’era sciopero. Non sarebbero passati a ritirare ciò che resta del nostro passaggio su questa Terra. Spazzatura. Se solo ci penso mi sale una rabbia…

Il temporale del dieci dicembre ha risolto un sacco di problemi ai datori di lavoro. Sacchi spazzati via dall’acqua piovana fattasi fiume, lago, mare. Pensai che c’è sempre qualcuno più forte di te pronto a darti schiaffi. Una tizia che in servizio o in sciopero se ne fotte di te, un gattone che si prende cura del suo territorio, una macchina nelle mani di una quasi patentata pronta a metterti sotto, un padre privo di senso dell’umorismo. Pensai anche alla madre ed al pesce stocco che comprai per farmi perdonare. A Natale mi invitarono a pranzo. Accettammo, il gatto ed io. Il figlio era rientrato per le feste. All’atto della preghiera che avrebbe benedetto il cibo che di lì a poco sarebbe stato ridotto a resti del nostro passaggio su questa Terra, stizzito mi alzai da tavola. Tornai a casa mia. Il gatto mi seguì. Aveva capito cosa stava accadendo.

Il ventisei dicembre io e il mio gatto eravamo sotto casa in attesa del passaggio della tipa della raccolta differenziata. Gli facevo da palo. Avevo imparato che le colpe dei padri non devono mai ricadere sui figli. Vidi le luci prima che il furgoncino facesse la curva che portava al nostro androne. Gli feci “Miaaaaao!”. Ci eravamo capiti. Poi, piano piano, misi un piede in mezzo alla strada. Poi l’altro. Attutendo il colpo con le mani, mi feci investire dalla tipa della differenziata.

“Lei è il padrone di quel gatto scostumato che sta sempre a mangiare tra i rifiuti? Ma lei non gli prepara niente? Eh?”

“Ma che cazzo dici? Mi hai investito! Di che parli?”

Ci siamo presi a schiaffi. Due lei a me. Uno, e pure a vuoto, io a lei.

Il giudice stabilì che il match lo avevo perso. Ma sul resto avevo ragione. Fui risarcito con una somma sufficiente per portare il mio gatto nella migliore trattoria della zona. Ordinammo pesce stocco e non ci passò nemmeno per un momento l’idea di fare una preghiera per benedire quel cibo che mi era costato quel che mi era costato.

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