Morti e proteste nei Centri di permanenza per il Rimpatrio: “Chiudiamoli subito”

Morti e proteste nei Centri di permanenza per il Rimpatrio: “Chiudiamoli subito”

Nonostante nel dibattito politico i Centri di permanenza per il Rimpatrio siano del tutto spariti, le proteste che nei lager di stato si susseguono quotidianamente sono lì a ricordarci che il problema della detenzione amministrativa in questo Paese è quanto mai attuale. Spesso il discorso sull’immigrazione si concentra sulle tragedie ai confini marittimi e terrestri, dimenticandosi quasi del tutto, che il proliferare dei confini è interno anche alle nostre città. Emblema di luogo di segregazione e privazione della libertà, di violenze e soprusi, il centro di detenzione per cittadini stranieri considerati dalla legislazione vigente come irregolari, da oltre 20 anni, è lo specchio del fallimento delle politiche sull’immigrazione. All’interno di quelle gabbie si incrociano biografie diverse, vulnerabilità e resilienze spesso comuni, di persone che pur non avendo commesso alcun reato (o di aver già regolato i conti con la giustizia), si ritrovano recluse poiché accomunate dal fatto di essere state rese sans papiers dalle varie leggi che ogni governo ha varato per rendere più complicata la permanenza regolare nel “Bel Paese”, al fine di far diventare più docile e ricattabile la “forza lavoro migrante”. Governi che poi, utilizzando la retorica del “clandestino” come problema di sicurezza e ordine pubblico, ne negano l’emersione dalla irregolarità. Sono passati 22 anni dall’apertura dei CPT (Centri di Permanenza Temporanea) creati dalla Legge Turco-Napolitano, ma nella sostanza poco o nulla è cambiato. 

Domenica 12 gennaio, l’ultima morte di CPR, questa volta a Pian del Lago, CaltanissettaSi chiamava Aymed, aveva 34 anni ed era tunisinoAvevamo ricevuto segnalazioni delle condizioni ignobili in cui versa il centro. Le stanze sono fredde, non hanno finestre, le richieste di assistenza anche sanitaria dei detenuti rimangono senza risposte”.

L’ente gestore del CPR è una R.T.I. formata dall’Essequadro Società Cooperativa Sociale di Caltanissetta e dall’Ad Majora s.r.l., quest’ultima già finita in pesanti inchieste della procura di Catania, insieme a molte altre cooperativa siciliane, per le ignobili condizioni in cui versavano i loro centri d’accoglienza .
Aymed era trattenuto da oltre 9 mesi. Il medico legale ha già detto che è una morte naturale. Come se fosse naturale lo stato di degrado di questi lager, come se fosse naturale la loro esistenza;ormai  all’interno dei centri è impossibile far accedere giornalisti e attivisti.
Riceviamo costanti segnalazioni da reclusi di Torino, Palazzo San Gervasio, Brindisi, Bari, Trapani, Ponte Galeria. Gradisca, riaperto il 16 dicembre, è già sotto la nostra attenzione, ma anche lì ci hanno negato l’accesso. In tutti questi centri la situazione è indegna di un paese che pensa di essere democratico, oltre ai bisogni primari viene negato anche il diritto alla difesa”.

Dopo la morte di Aymed, la rabbia è esplosa e gran parte del centro è stato avvolto dalle fiamme, i bagni resi inagibili. Secondo i testimoni, il giovane tunisino non aveva ricevuto cure adeguate. Su una capienza massima di 96 posti, nel centro ci sono oltre 70 reclusi.

La rivolta di Caltanissetta segue un intenso periodo di proteste. Al CPR di Torino le proteste, gli atti di autolesionismo non sono mai cessati da quando in luglio è morto un ragazzoStessa cosa sta accadendo in tutti gli altri centri, solo che nessuno ne parla e quindi appaiono episodi sporadici, quando invece c’è un’evidente filo che lega queste rivolte. In quello di Roma a Ponte Galeria, nel giro di un mese, dopo la riapertura a fine luglio dell’area maschile, ci sono state tre rivolte che hanno reso la nuova sezione inagibile.

Nel CPR a Trapani – scrive il Dubbio, uno tra i pochi quotidiani a ricostruire una cronologia delle ultime proteste – la sera di giovedì 2 gennaio verso le 23.30 è avvenuta una rivolta che ha portato all’incendio di materassi e coperte in tre padiglioni, rendendo necessario l’intervento dei vigili del fuoco. Non risultano feriti e almeno una sezione del Cpr sembra sia inagibile.

Nei CPR finiscono tante persone vulnerabili, l’ultimo caso paradigmatico di cui siamo riusciti a dare notizia è quello di Omar, cittadino nigerino rimpatriato in NigeriaMa molti dei reclusi non hanno possibilità di mettersi in contatto con nessuno, non hanno fuori dalla mura una rete di assistenza e solidarietà. 

 E’ evidente che non si tratta di casi isolati , ma di un sistema irriformabile. Occorre che il governo prenda atto di questo fallimento, che sia bloccata immediatamente l’apertura di Milano e Macomer, e si chiudano definitivamente questi lager che sono un costo sociale ed economico che non possiamo più permetterci.

No ai CPR- Mai Più lager

Chiudiamoli ovunque!

Campagna LasciateCIEntrare, Borderline Sicilia, Rete Antirazzista Catanese

Photo by NeONBRAND on Unsplash

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