Il mondo qui dentro

Il mondo qui dentro

Lalla era stata una bambina bellissima. Quella era la prima cosa che notavi in lei perché era davvero una bambina bellissima. “Come sono bellissimi tutti i bimbi e le bimbe di questo quartiere”, si sentì dire dalla vedova Albenghi, la nonna di tutti. Avrebbe ricordato quelle parole come una delle prime cose che di cui aveva memoria. La pelle olivastra, suoi occhi nerissimi, le sue guance piene, i denti bianchissimi. Un contrasto che sembrava provenire da una tela più che realistica di un maestro dei primi del novecento. Lalla era una bambina bellissima, era ebrea per parte di padre ed era intelligente nella giusta media dell’intelligenza che la sua giovane età non aveva intenzione di forzare.

Il 10 aprile del 1945 era il giorno del suo diciassettesimo compleanno. Lo aveva dimenticato. Dopo la deportazione nel lager di Buchenwald la ricorrenza con sé stessi era una questione quotidiana. L’anagrafe era stata risucchiata dalla maledizione nazista che colpì lei, la sua famiglia, il suo quartiere, la sua città ed il mondo a lei conosciuto, già qualche anno prima. L’inganno di chi si professava essere superiore si era ramificato come solo i peggiori dei virus sanno fare. L’espansione della malattia era stata capace di infrangere ogni regola, scritta o non scritta che fosse, della convivenza tra gli uomini. Non è dato sapere se il regno animale avrebbe sopportato una deriva così contro natura da non avere una chiara collocazione antropologica anche a distanza di un secolo. Frustrazione, ignoranza, insipienza. “Il fascismo è la somma di tutte le reazioni irrazionali del carattere umano medio. La teoria della razza non è una creazione del fascismo. Al contrario: il fascismo è una creazione dell’odio razziale e la sua espressione politicamente organizzata. L’ideologia razziale è una tipica espressione caratteriale biopatica dell’uomo orgasticamente impotente”, sostenne più tardi Wilhelm Reich.

Le teorie che avrebbero provato a spiegare i motivi di questa depravazione dell’essere umano, non la riguardavano. Non alla soglia dei diciassette anni. Lalla era in campo di concentramento. La vita conosciuta come tale era stata sconquassata dall’esplosione di un male che non avrebbe mai smesso di ricordarle quanto il concetto di “essere umano” sia appeso alla capacità di comprendere di essere umano. La vita e la morte concentrate l’una nell’altra, l’una sull’altra. Prigionieri e guardie. Il mondo qui dentro. Il mondo là fuori.

Le esecuzioni continuavano. I corpi ammassati aumentavano. Il giorno dopo sembrava un compleanno lontanissimo all’umanità, intesa aldilà della sua essenza.

L’assenza di luce negli chi Lalla, a causa del colpo di un calcio di fucile di una blokova, non le aveva risparmiato nulla del terrore di un mondo che era troppo brutto per essere vero. La blokova era una donna della sua stessa cittadina alla quale era giunta voce che Lalla avrebbe chiesto come fosse possibile passare dall’altro lato, aggiungendo che se per continuare a vivere avesse dovuto scegliere di tradire la sua intelligenza, a quel punto superiore ad una diciassettenne, avrebbe preferito morire.
Il giorno dopo, all’arrivo delle truppe alleate, il campo si trasformò in un grande urlo di voci miste a spari. Dalle baracche, come fossero dei formicai incendiati, esseri umani correvano in tutte le direzioni senza capacitarsi di cose stesse accadendo. Lalla sbattè sulla spalla di un ragazzo che ricordava di aver visto al fianco di un graduato delle SS. Il crucco conosceva bene il Block. la portò con sé nel tentativo di metterla in salvo. Stretti in un angolo, provarono a nascondersi per qualche secondo. Inaspettatamente lui prese tra la sua testa tra le mani e la baciò tra i colpi di fucile. La sensazione migliore che avesse mai provato in vita sua. Un momento infinito. La resa. La Liberazione.

A seguito delle complicazioni mediche, Lalla divenne cieca 3 anni dopo. Il mondo qui dentro. Il mondo là fuori. Nei tre anni precedenti aveva raccontato più volte, a chiunque glielo avesse chiesto, la sua terribile esperienza. E della sua speranza. E della vedova Albenghi.
Lalla ha una sedia sotto il portico della piazza principale della città di Weimar. Ha deciso di vivere lì. Ha deciso di non dimenticare. Ogni giorno dalla sua sedia annusa l’odore nuovo di un mondo che lei ha intenzione di perdonare. I suoi occhi, ciechi e nerissimi, non hanno smesso di brillare guardando l’infinito. Ai passanti più curiosi racconta la sua storia in cambio di un bacio, in cambio del sapore dolce della Liberazione.

CATEGORIES
TAGS
Share This