Noi vi vogliamo bene

Noi vi vogliamo bene

Lunedì

Sono passati 5 mesi da quando ho messo la mia estate in un sacchetto di tela. Il costume boxer nero di quelli che vestono stretti, la mia camicia a quadrettoni bianco-nero-arancio, gli zoccoli, gli occhiali da sole. È tutto dentro una scatola per le scarpe, nel mio armadio. La scatola era di mio nonno, lui era cieco.

Sulla scatola c’è una scritta in braille: RICORDI.


Io sono ancora dentro una scatola poco più grande.

Martedì

Ore 3.33. Filtra un fascio di luce artificiale dai buchi della tapparella. La vista è appannata da un velo di sonno. Penso che tra le cose che ho intenzione di fare c’è imparare a leggere il braille. Ci penso da prima che iniziasse tutto questo. Adesso provo a non pensarci troppo. Mi faccio una sega. Mi riaddormento. Domani è un altro giorno, cara la mia Rossella O’Hara. A noi due!

Mercoledì

Ore 6:33. La luce è naturale, come lo sbadiglio. Ieri non ho imparato a leggere il braille. Neanche ieri ho imparato a leggere il braille. Non sono uno che non mantiene gli impegni. È che i buoni propositi di due capodanni fa li ho portati a termine l’anno scorso. E quest’anno… beh, quest’anno i buoni propositi non me li sono più potuti permettere. Come quando fuori c’è il sole, oggi è una giornata bellissima. Mi alzo. Allargo le braccia per godermela. Le mani mi fanno male, o meglio, le dita mi fanno male. Riprogrammerò al ribasso le ore dedicate all’uso dei dispositivi. Lo segno a penna sull’agenda che ho sul tavolino in mogano, quello del salotto. Segno tutto perché le distrazioni sono tali e tante da impormi ordine, in culo ai sindacati che in osservanza alle regole restano chiusi in casa. L’integrazione è diventata un’interrogazione alla quale chi risponde parla e mente. Serve fare ordine. La disciplina no, quella non si impone. Dovrebbe essere un moto innato. Ma il sistema educativo di questo stato/mondo è allo stadio primitivo. Che stia ad ognuno di noi provare a volersi bene è una bella sfida senza contendenti. Responsabilità non è una parolaccia. Responsabilità non è una parolaccia. Responsabilità è tra le poche parole che ricordo degli insegnamenti di mio nonno. Responsabilità, in braille è:

Giovedì

Dormo in salotto da quando i vicini mi hanno murato la finestra “per proteggersi da me”. L’idea di bucare sul muro per far filtrare i raggi del sole l’alfabeto braille l’ho abortita il secondo dopo essermi reso conto che l’esposizione al sole di quella stanza non mi avrebbe permesso di leggere un cazzo. Mi sono trasferito in salotto e lascio le tapparelle in posizione.

Buongiorno, in braille è:

Venerdì

In accordo con gli spiriti che infestano la mia camera da letto, abbiamo separato gli ambienti. Ho portato con me la scatola con dentro la mia estate. Voglio bene ai miei fantasmi ma mi guardano male per delle deformazioni craniche che non mi hanno mai voluto spiegare. Io le attribuisco alla corrosione che il tempo chiede in pegno all’immortalità. Mi guardano male ma mi vogliono bene. Hanno capito che non è periodo. Hanno capito che non è momento. Hanno capito. Mi alzo, mi lavo, mi guardo allo specchio. Mi saluto e mi auguro buon venerdì. Ci credo pure. Io e fantasmi ci rispettiamo. Rispetto, in braille è:

Sabato

I medici responsabili della salute, della sicurezza, dell’alimentazione, della verifica della struttura abitativa e del controllo decibel dell’impianto di diffusione audio si sono presentati puntuali. Quando entrano in casa mi nascondo nella stanza con i fantasmi, loro sono d’accordo. Al termine del protocollo di ispezione della scatola entro la quale trascorro il mio tempo, mi chiedono di presentarmi in corridoio. Si prendono cura di me. Apro la bocca, nessuna infiammazione delle vie respiratorie. Segnalo piccoli accenni improvvisi di dolori cervicali e vertigini. Mi dicono che è messo in conto. Le piaghe da decubito erano allo stadio iniziale. L’adeguamento degli esercizi e della dieta settimanale imposta lo scorso sabato stanno dando risultati positivi. Mi dicono che dovrei lavare i denti più spesso. Mi rasano i capelli, come ogni terzo sabato del mese. Mi ripuliscono. Chiedo aiuto ai fantasmi, chiedo loro di insegnarmi il braille. Stanotte. Accettano. “Se vuoi imparare devi pensare esattamente come adesso, ma al buio. Devi pensare liberamente. Conosci il concetto di libertà?”

Libertà, in braille è:

Domenica

Filtra dai buchi delle tapparelle una luce naturale. È giorno. La natura ha fatto il suo corso ed io posso capire. Benedetta cultura. So di cosa stiamo parlando. Capisco perfettamente ciò che leggo. Annoto quel retrogusto di vittoria che solo la consapevolezza dello scorrere del tempo ammanta di gioia presente. Avverto odori e sapori che caratterizzano nel mio l’immaginario i risvolti della prima occasione. Non è detto che non ce ne siano altre ma io ho lavorato per farmi trovare pronto. Ora so leggere. Normalità, in braille è

Ora so leggere.

TRADUZIONE

L’idea di mandare i maestri era buona, la terremo. Abbiamo fallito nel pensare di iscrivervi tutti, di diritto alla vostra nascita, alla scuola di formazione “vita”. La vita è una cosa seria. Il nostro maggiordomo ha rubato una parte dell’idea iniziale, quella in cui si dibatteva del libero arbitrio. L’ha usata contro noi. L’ha usata contro di voi. L’ha usata a suo favore. L’individualismo ed il collettivismo. La luce ed il buio. Il dualismo delle certezze dentro le quali sprofondano i dubbi che il microscopio vede ramificarsi e ramificarsi. Il concetto di normalità non esiste. Il concetto di verità non esiste. Se foste in grado di interiorizzare, questo messaggio sarebbe inutile. Invece è. Cosa sia lo devi stabilire tu. La vittoria ed il fallimento sono una marca di frullatori che usano lame Yin e Yang. Girano e sminuzzano. Girano e sminuzzano. Prendere la vita a morsi è un modo di dire per vendervi dentiere dorate. Il pranzo è asservito alla pulizia personale. Leggere e non capire. Vivere e non capire. Morire e non capire. Andare avanti a calci nel culo. Tornare indietro e ripartire dal via. Ogni giorno è un giorno nuovo. La retorica che ha scisso le parole dal proprio significato non permette errori ma accetta nuovi inizi. I margini di miglioramento sono stati allargati. Non è così dura ammettere di avere bisogno. Non è così dura accettare la reciprocità l’uno dell’altro. Siamo qui per questo. Ci riproviamo. Ci riproveremo. Noi vi vogliamo bene.

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