Calabria: per scelta politica gli ultimi non ricevono assistenza

Calabria: per scelta politica gli ultimi non ricevono assistenza

Nella sua prima seduta, il Consiglio Regionale della Calabria, decide di non recepire la Legge Quadro sulla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Cosa istituisce la 328 del 2000 e perché risulta essere un’utopia disarmante per la regione?

di Danila Panajia

Una notizia che pare non abbia fatto scalpore, seppure abbia a che fare con i diritti degli ultimi. Difatti, la 328 del 2000 – Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali – ha lo scopo principale di promuovere gli interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a garantire un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. La qualità della vita, la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione delle disabilità, il disagio personale e familiare e il diritto alle prestazioni sono tutti obiettivi del dettato di legge. Per la prima volta è stato istituito un fondo nazionale per le politiche e gli interventi sociali (FNPS), aggregando e ampliando i finanziamenti settoriali esistenti e destinandoli alla programmazione regionale, degli enti locali e del no profit sociale.

La legge, inoltre, stabilisce il diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali ai cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche ai cittadini di Stati appartenenti all’Unione Europea e ai loro familiari, nonché agli stranieri, individuati ai sensi dell’articolo 41 del Testo Unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. La legge 328 intende superare ulteriormente il concetto assistenzialistico dell’intervento sociale poiché considera il cittadino non come passivo fruitore, ma come soggetto attivo portatore di diritti, a cui devono essere destinati interventi mirati alla rimozione di situazioni di disagio psico-sociale e di marginalità.

Prevede, inoltre, servizi quali: i progetti individuali per le persone disabili; i comuni, d’intesa con le aziende sanitarie locali, predispongono – su richiesta dell’interessato – un progetto individuale il quale comprende la valutazione diagnostico-funzionale; le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale; i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale; le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare. È previsto, poi, il sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti, volto a sostenere e a favorire l’autonomia e la loro permanenza nell’ambiente familiare. La valorizzazione e il sostegno delle responsabilità familiari rappresenta un ulteriore elemento attraverso cui il sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie e valorizza i molteplici compiti che le stesse svolgono sia nei momenti critici e di disagio, che nello sviluppo della vita quotidiana tramite il coinvolgimento diretto e la responsabilizzazione. Nell’ambito del sistema integrato di interventi e servizi sociali sono, altresì, previsti i seguenti servizi: l’erogazione di assegni di cura e altri interventi a sostegno della maternità e della paternità responsabile, da realizzare in collaborazione con i servizi sanitari e con i servizi socio-educativi della prima infanzia; le politiche di conciliazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura, promosse anche dagli enti locali ai sensi della legislazione vigente; i servizi formativi e informativi di sostegno alla genitorialità, anche attraverso la promozione del mutuo aiuto tra le famiglie; le prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, con benefici di carattere economico, in particolare per le famiglie che assumono compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani; i servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia e in particolare i componenti più impegnati nell’accudimento quotidiano delle persone bisognose di assistenza; i servizi per l’affido familiare, per supportare, con qualificati interventi e percorsi formativi, i compiti educativi delle famiglie interessate; per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l’autonomia finanziaria di nuclei monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in difficoltà, di famiglie che hanno a carico soggetti non autosufficienti con problemi di grave e temporanea difficoltà economica, di famiglie di recente immigrazione che presentino gravi difficoltà di inserimento sociale.

Affinché la realizzazione dei servizi sociali avvenga in modo unitario e integrato gli enti locali, le Regioni e lo Stato, ognuno nell’ambito delle proprie competenze, provvedono alla programmazione degli interventi e delle risorse. Nel farlo è importante che vengano seguiti i principi di coordinamento e di integrazione tra gli interventi sanitari e dell’istruzione e le politiche attive del lavoro; tuttavia la legge sottolinea con forza che tale programmazione deve essere garantita attraverso il coinvolgimento del Terzo settore. La 328 del 2000, riformando l’assistenza, ha dunque tra i suoi punti di forza il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati nell’erogazione dei servizi sociali. Per poter trovare applicazione il dettato di legge stabilisce che i privati devono essere prima autorizzati, e poi eventualmente accreditati, affinché possano partecipare alla rete dei servizi sociali territoriali. Ai Comuni è assegnato il compito di autorizzare e di accreditare le organizzazioni del no profit sociale sulla base di un insieme di requisiti stabiliti dalle leggi regionali. Le Regioni definiscono poi tali requisiti raccogliendo, ed eventualmente integrando, i requisiti minimi fissati dallo Stato con decreto ministeriale del ministro della Solidarietà sociale.

Una legge che, nonostante abbia a che fare con i diritti degli ultimi, non trova applicazione all’interno di un territorio, come quello calabrese, il quale risulta essere il più povero d’Italia. L’Istat registra, infatti, che il 35,3% delle famiglie residenti in Calabria si colloca al di sotto della soglia di povertà relativa, oltre una famiglia su tre (2018). E ancora, più di 65.000 famiglie della provincia di Reggio Calabria possiedono un reddito inferiore alla soglia di povertà (CCIAA RC, 2019). Inoltre, nel 2019 i cosiddetti NEET – giovani definiti da una triplice negazione: Not in education, employment or training, ovvero non più a scuola, non ancora al lavoro, né in formazione – sono cresciuti a valanga in Calabria (+7,9%), registrando il numero percentuale più elevato, secondo i dati del 10° Atlante dell’Infanzia (a rischio) di Save the Children. Nella regione, neanche in seguito al conseguimento di una laurea si aprirebbe la strada del lavoro: in Calabria solo il 29,1% dei laureati trova un’occupazione entro tre anni dalla fine degli studi, questa risulta essere la percentuale peggiore tra le regioni dell’Unione Europea (Eurostat, 2018). Tuttavia, la Locride vanta un ricco tessuto associativo; si tratta di associazioni, cooperative e consorzi sui quali poter fare affidamento, in termini di politiche di welfare. L’Istat registra nel 2019, la presenza nella regione di 9.370 enti no profit; un dato rilevante che attesta l’esistenza di un tipo di sussidiarietà orizzontale circa la progettazione e l’implementazione degli interventi sul territorio, volto a sopperire lo scarso sviluppo della sussidiarietà verticale, colmando i gap istituzionali. Difatti, nella Locride, l’esigenza di rivitalizzare i territori spenti dall’emigrazione, effetto principale degli alti livelli di disoccupazione, ha spinto diversi comuni a sviluppare sistemi più partecipati che, facendo leva su concetti come quelli di reciprocità, eticità e solidarietà, affidano ai cittadini privati la speranza di promuovere lo sviluppo economico endogeno delle aree interne. Malgrado le positive esperienze conseguite in questa direzione resta, però, ancora molto da fare a livello istituzionale per garantire la piena applicazione degli strumenti esistenti in materia di assistenza e per superare le criticità collegate all’attuale fase emergenziale in tema di disoccupazione: la Calabria risulta essere tra le regioni con la percentuale più alta – 21,6% – fra i territori europei, interessando anche la popolazione fra i 15 e i 74 anni (Eurostat, 2019). Si è, dunque, sempre più difronte a un vero e proprio localismo dei diritti, testimoniato dal divario che intercorre fra le regioni del Nord e del Sud in termini di reddito pro capite per interventi e servizi sociali da parte dei comuni; un esempio della cosiddetta “autonomia differenziata” è rappresentato dai 22 euro – per cittadino – della Calabria, a fronte dei 160 euro dell’Emilia Romagna (Istat, 2019). Nella provincia di Reggio Calabria, si registrano, inoltre, più di 65 mila famiglie che vivono con un reddito al di sotto della soglia di povertà (CCIAA RC, 2019). Dalla consapevolezza che la povertà in Calabria – e soprattutto nel territorio della Locride – costituisce tutt’oggi un dato allarmante e considerato l’attuale momento di crisi economica che stiamo attraversando a causa del Covis-19 – chiediamo con forza alla presidentessa della regione Calabria di recepire al più presto l’importante dettato di legge.

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