Riflessione di un cauloniese sull’intervento di Feltri contro i meridionali

Riflessione di un cauloniese sull’intervento di Feltri contro i meridionali

di Avv. Domenico Albanese

Caro Direttore, una delle poche cose buone – non molte e per nulla comparabili alle negative che ne sono derivate – cui ci ha indotto l’attuale diffusione della pandemia da covid-19 è sicuramente la lettura.

Quanto tempo, ora. Per leggere cose nuove, ma soprattutto per rileggere libri che seppure non avevamo affatto dimenticato (impossibile), avevamo, però, riposto in un angolo, chiusi in un cassetto.

Libri che contengono molte verità che purtroppo hanno ceduto il passo – nella quotidiana e frenetica corsa della vita, in cui ci siamo persi dietro alle mille occupazioni, tutte egualmente necessarie (ma sarà vero?) – a vuote e futili considerazioni di massa, concretantesi in continui slogan proposti da chiunque abbia la possibilità di parlare ai più, sia attraverso l’utilizzo dei social (abusato pure dai politici dell’ultima moda) che attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali.

Accade così che chi scrive, indotto dall’imposta prigionia, quasi per incanto, si è imbattuto, nuovamente, nello stravolgente (per non dire scandaloso, ammesso che nell’arte possa parlarsi di scandalo) libro di Charles Baudelaire, Diari intimi.

Tanta arte! E quanta verità!

Su tutti una, terribilmente attuale, che recita così:

Non si deve credere che il diavolo tenti solo gli uomini di genio. Disprezza senza dubbio gli imbecilli, ma non disdegna il loro aiuto. Esattamente al contrario, egli fonda le sue grandi speranze su loro. Guardate George Sand. Lei è soprattutto, e più di ogni altra cosa, una emerita minchiona; ma è posseduta. È il Diavolo che l’ha persuasa ad affidarsi al suo buon cuore e al suo buon senso, affinché persuadesse tutti gli altri emeriti minchioni ad affidarsi al loro buon cuore e al loro buon senso. Non posso pensare a questa stupida creatura, senza un certo brivido d’orrore. Se la incontrassi, non potrei fare a meno di gettarle in testa un’acquasantiera. George Sand è una di quelle vecchie ingenue che non vogliono mai lasciare il palcoscenico”.

E d’un tratto la mente si è illuminata! Il pensiero è immediatamente corso al giornalista di Libero, Vittorio Feltri, che, di colpo, ha vestito i panni della drammaturga francese.

Con tutte le cautele del caso e col dovuto rispetto; verso la scrittrice francese, s’intende!

George Sand, comunque la pensasse il poeta maledetto (caro e amato), è pur sempre George Sand.

Ciò detto, però, per la posa che assume nelle interviste e per il contenuto delle stesse, l’esimio giornalista sembra francamente un minchione indemoniato.

Come altro giudicare, sennò uno che negli ultimi tempi ha rilasciato dichiarazioni oscillanti tra l’idiozia, la ridicolaggine e la cattiveria (prova dell’influenza del maligno)?

Sinceramente non comprendo la recondita ragione del perché si conceda a questo indemoniato – convinto di poter sconvolgere con il suo strafottente coraggio di dire oscene volgarità in faccia a tutti – l’opportunità di parlare a milioni di italiani pur non avendo nulla da dire e sicuramente potendo l’Italia intera fare comodamente a meno delle Sue stravaganti e, francamente, stucchevoli sciocchezze.

Negli ultimi tempi, Feltri si è reso protagonista di un’escalation di affermazioni, inopportune e fuori luogo, che, nei pochi casi in cui magari le stesse potevano recare un fondo di verità e perciò condividersi nel merito, venivano inficiate dalla supponenza e tracotanza con cui venivano espresse e dalla forma usata, troppo spesso brutale, se non triviale.

Verrebbe da chiedersi se lo stesso si rilegga, o riascolti mai qualche sua intervista registrata.

Come quando, per esempio, ha affermato (ai microfoni de I Lunatici su Rai Radio2,) Andrea Camilleri? Non l’ho mai conosciuto […]. Mi dispiace, quando un uomo vecchio muore c’è sempre un certo dolore. Però mi consolerò pensando che Montalbano non mi romperà più i coglioni”.

Il tutto, mentre lo scrittore Andrea Camilleri, lottava tra la vita e la morte.

Ma oggi, a distanza di qualche mese, risentendosi o rileggendosi, nell’intimo, non si è pentito? Potendo, non si rimangerebbe ciò che ha detto?

L’ultima genialata, dell’esimio giornalista italiano (rectius: padano) è quella avvenuta pochi giorni fa nella trasmissione “Fuori da Coro” su Rete Quattro, nella quale, intervistato da Mario Giordano, ha dichiarato: “Molta gente che è nutrita da un sentimento di invidia, rabbia nei nostri confronti perché subisce una sorta di complesso di inferiorità. Io non credo ai complessi di inferiorità ma credo che i meridionali, in molti casi, siano inferiori“.

La frase si commenta da sé ed entrare nel merito dell’affermazione, dunque, sarebbe stucchevole, specie in un momento in cui l’Italia non ha bisogno di faide corporativiste.

Nel Suo caso, poi, forse è l’età (che preclude molti dei piaceri di gioventù…) che induce a trovare sfogo in temi che aizzano gli animi e trovano terreno fertile nel nostro amato Paese (ecco dove si annida il Maligno).

Strumentalizzare, dunque, un’intervista per l’intimo piacere di fomentare odio nel popolo, appare inopportuno, anzi diabolico.

Di certo l’affermazione mi ha riportato al poeta Pier Paolo Pasolini, e precisamente alla sua partecipazione alla trasmissione di Enzo Biagi (III B, facciamo l’appello) del 1971, nella quale l’intellettuale (lui sì), incalzato da Biagi, affermava: “ D. Ma questo mezzo che porta i formaggini in casa come lei una volta ha scritto, adesso nelle case porta le sue parole. Stiamo discutendo con grande libertà, senza alcuna inibizione. R. No, non è vero. D. Sì, è vero, lei può dire tutto quello che vuole.R.No, non posso dire tutto quello che voglio. D. Lo dica… R. No, no, […] non posso dire tutto […] di fronte all’ingenuità e alla sprovvedutezza di certi ascoltatori io stesso non vorrei dire certe cose. Quindi, mi autocensuro. Ma non è tanto questo, è il medium di massa in sé. Dal momento in cui qualcuno ci ascolta dal video ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore che è un rapporto spaventosamente antidemocratico.

Ecco. Forse la frustrazione ed il complesso di inferiorità di cui parla il giornalista di Libero sono quelli che provano coloro che lo ascoltano, i quali non possono far altro che prendere atto dell’insana abitudine di consentirgli l’uso di un mezzo spaventosamente antidemocratico (e che lo pone in una posizione di superiorità) di cui lo stesso si serve, per seminare veleno, non certo per contribuire al Pil (tema tanto caro al Nostro settentrionalista) del Paese.

Invero, non andrebbe sottovalutata, affatto, la forza prorompente di un pensiero espresso attraverso i mass-media, proprio per la ragione di cui parlava il Poeta friulano, ovvero per la posizione da piedistallo che assume l’autore, nei confronti di chi lo ascolta (forzatamente passivo), per il solo fatto di potersi servire del mezzo di comunicazione.

Poiché, par di capire, il caro Feltri si sente orgoglioso di appartenere a quell’Italia (settentrionale) che produce e alla quale tutto il meridione (scroccone) dovrebbe essere grato, sennò morirebbe di fame (recenti parole Sue), occorrerebbe chiedergli: ma Lei, personalmente, in che modo si sente produttivo? A che titolo si riterrebbe il rappresentante di tutti i settentrionali che producono? Non sarà, per caso, che Lei si crede una personalità che tutto il mondo ci invidia? O che comunque ha dato, in qualche misura, lustro al nostro Paese e che risulta degna di essere inserita nei libri di scuola? Come Ettore Maiorana? Come Luigi Pirandello? Come Giovanni Verga? Come Tommaso Campanella? Come Gorgia? Come Bernardino Telesio? Come Giordano Bruno? (per tacere di tanti altri terroni che lungi dall’essere animati da un complesso di inferiorità, sono dotati, invece, di un’essenza di superiorità! …d’animo, s’intende). Di che cosa dovrebbe ringraziarla l’Italia? Dell’odio che semina e che disunisce? Dell’arroganza e della tracotanza che sparge qua e là? La prego, faccia un passo indietro finché ne ha la possibilità, anzi immediatamente, così che, per dirla con le Sue parole, non dovremo aspettare la Sua morte, tra cent’anni, per poter dire che “l’unica consolazione è che finalmente Lei non romperà più i coglioni”.

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