Chiuso per lutto

Chiuso per lutto

La forma è la sostanza. Chi dorme ha la creanza della natura, dei tuoi nervi e del flusso di sangue irrorato. Dovrei provare ad abbassare i toni quando mi parlo perché il tarlo dei desideri puzza di possibilità a portata di mano. L’attentato è posto. Il pasto è nudo e io, crudo, mi dono all’ingrasso. L’ingresso è sbarrato. Hanno sparato a San Pietro e le indagini faranno venire a galla gli stronzi che si sono permessi di sfidare Dio. Io non ci voglio avere a che fare con questa gente. Nulla osta la mia posizione. Niente che non sia fruibile si dipinge nel mio immaginario. Tengo un diario pieno di sputazza. La mia razza ha finto di volersi dividere unendosi in piccole comunità di piccole comunità. La lealtà ha lasciato il passo a ciò che non posso accettare. Un iperteso mi ha teso una trappola ma non si aspettava che in fila ci fosse un sordo, quale sono. Un sorso ed un morso. Un sorso ed un morso. Un sorso ed un morso. Sono finalmente in forza e cerco il colpevole. San Paolo è stato inchiodato sul banco di scuola con la penna multicolore che inietta nel suo sangue differenti tonalità di colpa. San Paolo è daltonico. Istrionico mi impongo il silenzio. L’essenza di ciò avrei detto è salva. La malva che spruzzo come diversivo per l’ambiente è il mio doppio che dormiente mi racconta di come stanno le cose quando mi affido al mondo dei sogni. Ogni volta la stessa storia. Ogni storia la stessa volta. La rivoluzione che incatena ogni dissidenza ha più pazienza di quanto io possa riconoscermene ma non ha ragione lei. Lei, io, l’altro. La trinità alla fine dei conti si lancia dal ponte senza elastico. Un plastico spiegherà come cazzo sia stato possibile e tu ci crederai. Hai mai pensato che le lettere non esistono? Un nugolo di miscredenti si è appoggiato ad una mia debolezza e rivendica il diritto ad esistere con moti di protesta nel mio giardino. Un gradino alla volta, mi rendo conto che firmare una tregua da ubriaco ti si può ritorcere contro. Eppure pensavo che il cartello con scritto “CHIUSO PER LUTTO” li avrebbe convinti a lasciar perdere. Ma questi, che si dicono vincenti, non mi hanno mai convinto. È gente irrispettosa.

In soffitta ho un dipinto in cui mio nonno ringiovanisce ad ogni mio sorriso. Nel sottoscala ho le manette che mi legano ai ritmi dei passi di chi sale in Paradiso e di chi decide di prendere la lunga strada per l’Inferno. Mi fermo a braccia conserte e se la sorte si farà i cazzi suoi, i calcoli che del mio progetto mi diranno come e quanto l’alfabeto Morse sia solo un’appendice del nostro moto. Passi anche questa, signor avvocato. Ché il significato di ciò che ho capito non sia mai un vincolo per te che ti danni dei perché che negli anni hanno tergiversato con la sommessa promessa di una soluzione a breve termine. Ma il termine non è breve. Il termine è la fine. Le praline al cioccolato con le quali provo ad edulcorare il saporaccio delle pillole che mi tocca prendere, sottendono la mia predisposizione al dolce. Salgo di livello e mi mordo il domani. Valgo ciò che valgo e rimando con ogni plausibile scusa ciò che ho pensato benissimo ma che ancora non so dire. L’ardore delle gesta degli eroi classici sentenzia l’impossibilità che possa essere altrimenti. I miei riferimenti affondano nel silenzio e spaccio per buono ciò che mi ricordo di quelle sere. Non era vero che mi trovassi lì per caso. La casa è la mia libertà solo se decido di vivere nel mondo che gli irresponsabili che furono i miei genitori mi hanno lasciato in eredità. La verità è che non hanno colpe, questo mi è chiaro da quella sera in cui un ciarlatano mi convinse che a tutto c’è un motivo, anche se non lo riesco a decifrare. Avere da fare non serve a niente se ciò che hai da fare è impalpabile. Avere da fare serve sempre se ciò che hai da fare è improbabile ma non impossibile. Impassibile mi diressi verso l’unica bottiglieria aperta. La sete di sapere andrebbe annaffiata per disposizione che invece la costituzione nebulizza indirizzandomi verso uffici di ufficiali in cui suono e non apre nessuno. Provo per vie ufficiose ma le frecce rimaste al mio arco sono oramai poche. Mi muovo sulla destra poi sulla sinistra. Resto immobile sul centro e mentre le cose accadono mi rendo conto di quando la barra va tenuta dritta. Una fitta nebbia sulla Bagnara-Palmi mi dice che Sant’Elia sta combattendo col Diavolo. Anche oggi. Mi appoggio alla balaustra mentre la serpe sfarfalla con la sua lingua biforcuta concetti così chiari da non doverne nemmeno parlare. Il mio rivale, in odore di morte, si è messo in testa che l’evoluzionismo sia una cazzata per tenerci buoni. Il suo rivale si nutre di rivalse che non aggiungono niente ciò che i cerchi di una pietra lanciata in mare non sappiano rilanciare all’infinito. Mi porto una mano alla fronte. La febbre è un ricordo di quando imbrogliavo per non andare a scuola piazzando il termometro sotto la luce a condensa della mia abat jour.

Al giorno d’oggi, ogni segno d’amore è un orecchino falso mollato sul banco dei pegni con la violenza della pioggia che sbatte alla mia finestra in un temporale di giugno. Due mosche di merda, spaventate, volano e litigano proprio davanti a me, rumoreggiano. Le scaccio con uno di quei libri che non leggerò mai ma che sapevo sarebbe tornato utile prima o poi. Penso che a loro possa interessare che a me interessi di quello che fanno, ma mi interessa solo che lo stiano facendo qui e ora. Mi distraggono, mi attirano. Mi parlano. È vita. Evviva. Le guardo volteggiare rapide. Così rapide che i miei occhi non riescono a capire, fin quando un raggio di sole dalla finestra non illumina al meglio la pista ballo.

L’occhio di bue che definisce i movimenti fa da mediatore culturale. zzzzzzh… Le vedo chiaramente. Nel volo si intrecciano e mi avvisano. Scrivono una A. zzzzzzh… una P. zzzzzzh… una E. zzzzzzh… una R. zzzzzzh… una T. zzzzzzh… una O. zzzzzzhzzzzzh… P. zzzzzzzh… una E. zzzzzzh… una R. zzzzzzh… una L. zzzzzzh… una U. zzzzzzh… una T. zzzzzzh… un’altra T. zzzzzzh… una O. Poi sbattono una, due, tre volte sul vetro della finestra affacciata sul mondo fuori. Ci perdiamo, velocissimi, nell’inconsapevolezza della relatività del tempo a nostra disposizione.

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