Due uomini con la pistola in faccia

Due uomini con la pistola in faccia

Quel giorno mi ritrovai impantanato nel presente. Un lungodegente nei progetti dei giorni a venire, ha urlato qualcosa tipo “Crolla tutto!” ed eccomi sotto le macerie. Le miserie però sanno essere clementi e mentre pensavo che non ne potessi più uscirne, ecco una pozza d’acqua figlia un qualche reflusso fognario dal quale assieme alla puzza alita la giusta dose di ossigeno per tenermi in vita. Le meraviglie della geologia al mio servizio. L’asceta in ascensore è l’ultima persona che ho incontrato. Il caso non va a caso. E se per sbaglio mi convincessi che lo stia facendo alla faccia mia, userò una gamma di saponi inodori e insapori. Siamo capaci di azzerare ogni influenza. Chi pensa che siano favole ha perso per strada l’entusiasmo delle corse a tavola della domenica. Ha perso lo spunto e la spinta della competitività tra cugini in cerca del posto vicino allo zio ubriacone. Ha perso la fame che tutte le mamme, unite come uno di quei mega robot dei cartoni animati giapponesi, avrebbero saziato con i loro sorrisi grondanti calorie. Il segreto non l’ho mai saputo. Il discreto apprendimento è un circolo viziato dalla curiosità della crescita. Sin dalla nascita delle filosofie spicciole noi sbagliamo. Non avremmo mai dovuto badare a spese. Le prese di posizione, le trappole tese sulle nostre teste, le feste a sorpresa, la gioia, la resa. Un peso morto naviga nel pantano del presente in cui quel giorno mi ritrovai senza nemmeno saper come. E non voglio significare la mia mancanza di responsabilità. L’abilità di farmi trovare pronto l’ho allenata per amor proprio, proprio il mio. Provo a considerare le variabili. Mi trovo a desiderare l’alternativa all’alternativa. Da un rogo del quale avverto solo il calore, bisbigliano cose che non sento con le orecchio ma che credo di capire. Mi scaldo nella mia minestra mentre l’orchestra della nave continua a suonare un versione stravolta di un classico delle canzoni di lotta: “El pueblo umìdo, jamás será vencido”.

Dal pantano del presente in cui mi ritrovai da solo quel giorno, mi dissi di aver perso. Verso sera, il buio intermittente di una luce che sembrava stesse per tirare gli ultimi, crepitava di ricordi, di primordi, di bagordi e di accordi che il mordi e fuggi imposto dai miei ritmi, mi aveva fatto dimenticare. Cosa posso farci con tutto questo? Provo a muovere una gamba. Fatico a chiudere la mano destra. Maramaldo, mi ritrovo sopraffatto dai miei stessi pensieri. Qui non è il pozzo dei desideri. Qui è da un bel pezzo che abbiamo smesso di assecondare i reflussi gastrici e non ce ne pentiremo. Diremo che è una scelta ponderata e che accomodare per accomodare ci teniamo le cicatrici e te le mostriamo: eccole, puoi tranquillamente metterci il dito. Ma quando avrai finito, non permetterti una parola. Dai, succhia quel sangue! Dicono che stimoli l’emisfero destro, che controlla la metà sinistra da cui l’immaginazione puttana indossa una corona. Il bacio della spietata Signora del pantano è più umano degli umani. Lo sono stato anch’io. Nell’epoca antidiluviana in cui mi formai, le bolle di sapone sapevano di un milione di cose, nomi, città, animali e persone anche senza doverne conoscerne nessuna. Anche senza dovere sapere tutti i cazzi di tutti quei pazzi, Non mi negherei mai la sorpresa di vedere all’atto pratico se all’inizio delle piogge sarebbero davvero stati in grado di nuotare. Un vuoto e mi perdo. Mentre la foto in cui due stronzi con la mia faccia che si puntano reciprocamente contro una pistola riaffiora dall’acquitrino, faccio un lungo respiro che mi chiude gli occhi. Li riapro e tossico sangue. E ancora. Mi appoggio a quella che deve essere stata una trave. Mi ricopro di calcinacci. Ne tossisco a grumi. Sento lo scoppio provenire delle pistole nella foto. Se devo darmi da farmi vuol dire che il presente si è sbloccato. Sboccato come chiunque in punto di morte, mi maledico. Affondo una mano nel mio zaino. Cerco tra mille fogli sparsi il mio diario con gli appunti. Strappo le pagine scritte e le metto nelle bocche esplose dei cadaveri dei miei gemelli. E tossico sangue. Mi presento alle pagine bianche con l’ennesimo fiotto. Su ogni foglio, da qui in avanti, tossirò le mie giornate. Coagulerò il mio futuro nel rosso di un Test di Rorschach.

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