Lo Stato italiano dovrebbe smetterla di accettare le ingerenze della chiesa

Lo Stato italiano dovrebbe smetterla di accettare le ingerenze della chiesa

Il comunicato ufficiale con cui la Cei si scaglia contro la proposta di legge anti omofobia non lo dice chiaramente, farlo sarebbe controproducente. Anzi, premette che le discriminazioni sono sempre una violazione della dignità e vanno dunque contrastate. Ma lo sanno tutti che per la Chiesa le discriminazioni non sono tutte uguali e non sono nemmeno tutte tali, visto che parliamo di una realtà sociale che fa della discriminazione una virtù, a cominciare da quella verso il genere femminile. Per quanto riguarda nello specifico l’omosessualità, il pensiero cattolico si concretizza oltre che nelle scritture, dove viene sentenziata la pena di morte, anche nel Catechismo che la definisce “grave depravazione” e “inclinazione oggettivamente disordinata”.

Alla luce di ciò non può quindi sorprendere che la Chiesa cattolica abbia espresso preoccupazione nei confronti della pdl Zan, al punto di paventare derive liberticide qualora venisse approvata. “Si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione”, dicono, che tradotto si legge “non ci si privi del diritto di dire che l’omosessualità è depravazione”. Potrebbe al limite sorprendere che proprio la Chiesa invochi strumentalmente protezione per la libertà di pensiero e d’espressione, ma visti i trascorsi non sorprende nemmeno quello. Per poter dirsi sorpresi occorrerebbe averli sentiti dire che per loro tutte le concezioni del mondo hanno pari diritti, quando invece hanno sempre avversato ogni ipotesi di legge sulla parità religiosa. Bisognerebbe averli visti battersi per l’abolizione di tutte le leggi che tutelano il sacro contro la libera espressione, dalle bestemmie al vilipendio, ma ne sono sempre stati i principali sponsor. Il che rende la loro pretesa attuale tanto incoerente quanto surreale.

L’opinione e l’odio manifestato non sono in nessun caso la stessa cosa. La prima è pienamente legittima, il secondo invece no e va sempre contrastato. Per intenderci, un conto è esprimere la malsana idea che l’omosessualità sarebbe moralmente deprecabile, tutt’altra storia è dare fuoco a una bandiera sotto l’abitazione di una coppia gay come avvenuto recentemente a Pisa. Per la Corte Europea dei Diritti Umani anche manifestare per chiedere il boicottaggio di Israele rientra nell’ambito della libera espressione, non in quello della discriminazione su base etnica, figuriamoci quindi se non si possa dire peste e corna dell’omosessualità; non si correrà di sicuro il rischio di passare per delinquenti, al massimo si passerà per deficienti.

L’attuale impianto legislativo italiano prevede già forme di tutela contro le discriminazioni “per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Sono le tutele introdotte dalla legge Reale/Mancino e sono proprio gli articoli del codice che la pdl in questione mira ad ampliare. Tuttavia non risulta che i razzisti non abbiano potuto esprimere opinioni razziste o che ad alcuno venga impedito di esternare idee contro una religione, o contro le religioni in generale. Semmai è accaduto proprio il contrario: all’Uaar i religiosi hanno impedito perfino di manifestare la libera incredulità e, giustamente, la Corte di Cassazione ha stabilito che ciò viola nientemeno che la Costituzione laddove tutela la libertà di coscienza (art. 19). Peraltro la stessa propaganda d’odio è considerata reato solo per motivi razziali o etnici: non lo è stato finora per motivi religiosi e non lo sarà nemmeno per quelli legati a orientamento sessuale e identità di genere, come ha spiegato lo stesso relatore Zan.

Per la Cei però le leggi attuali sono sufficienti, non ci sarebbe ragione di introdurne di nuove. Ma allora, visto che l’omofobia sarebbe già adeguatamente contrastata al punto che non si ravvede la necessità di introdurre una specifica salvaguardia, tanto varrebbe eliminare del tutto le tutele speciali anche per le altre forme di discriminazione contemplate dagli articoli 604 bis e ter del codice penale. Una simile richiesta avrebbe anche più senso, visto che all’atto pratico poi queste norme enunciano principi tutt’altro che facili da tradurre in pratica. La libertà d’espressione è tutelata a livello costituzionale: già solo per questo è difficilissimo applicare le attuali norme, se poi aggiungiamo anche che, giustamente, la valutazione dei singoli episodi è rimessa alla discrezionalità del giudice ne consegue che è possibile procedere solo nei casi più lampanti. Che effettivamente sarebbero già tutelati da altre specifiche norme, come per esempio verso il reato di diffamazione.

Affermare un principio però non è mai del tutto inutile, per quanto difficile possa essere il farlo valere, altrimenti un mucchio di norme andrebbero espunte dall’ordinamento per la sola difficoltà a farle rispettare. Semmai il quadro attuale andrebbe ampliato ad altre forme di discriminazione parimenti odiose perché aventi a oggetto quello che le persone sono, non quello che dicono. Perciò ben venga il contrasto contro l’omofobia e ben venga l’approvazione della pdl Zan, che non si limita alla semplice introduzione del reato e dell’aggravante di omofobia, ma aggiunge anche norme di prevenzione e di contrasto dell’omofobia e istituzionalizza la Giornata nazionale contro l’omo/lesbo/bi/transfobia. In un mondo perfetto sarebbero tutte cose inutili, ma questo mondo e questo Paese sono ben lungi dall’essere perfetti. Come testimoniato dall’Agenzia Ue per i diritti fondamentali nel suo rapporto, secondo il quale in Italia le persone Lgbt che si manifestano liberamente sono appena il 39%, molto meno della media europea che si attesta sul 47%, quasi due terzi di loro vive la sua vita affettiva nell’ombra e quasi un terzo si tiene alla larga da luoghi ritenuti ostili.

Adesso lo stesso direttore di Avvenire arriva a invocare un atteggiamento “laico” (sue le virgolette) nella lettura della proposta di legge, come addirittura la Chiesa avrebbe sempre insegnato. Lo ha fatto contestualmente alla pubblicazione di alcune lettere di cattolici che non capiscono la presa di posizione della Cei. Che sia un cattolico a esprimere riserve è più che legittimo, tutti i cittadini hanno il diritto di dire la propria opinione sia sulle leggi che su omosessualità, transessualità e religione, come abbiamo visto. La Chiesa invece dovrebbe astenersene, poiché oltre a tutelare la libera espressione delle idee la Costituzione stabilisce anche che, sempre in nome della laicità di cui sopra, Stato e Chiesa non devono sconfinare l’uno nell’ordine dell’altro. E certamente le leggi ricadono nell’ordine dello Stato.

C’è da chiedersi cosa succederebbe se a parti invertite fosse lo Stato a esprimere preoccupazione per l’introduzione di un nuovo reato nel Codice di diritto canonico. Quali e quante vesti verrebbero stracciate. Immagino tante, visto che già solo in occasione del divieto di apertura delle chiese nella fase due del lockdown erano in tanti a sostenere, in quel caso erroneamente, che si trattava di una ingerenza dello Stato nell’ordine della Chiesa in violazione delle norme concordatarie. Erroneamente perché la circolazione dei cittadini è competenza dello Stato a prescindere dalle ragioni, giusto nella Città del Vaticano quella competenza appartiene all’ordine ecclesiastico. E allora si sia coerenti e si lasci che lo Stato sia libero di tutelare i più deboli; la Chiesa potrà farlo o non farlo al suo interno, rispondendo eventualmente ai suoi fedeli più attenti.

Massimo Maiurana

Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti

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