Suore a ore

Suore a ore

Nel mondo fatato in cui vivo hanno fatto a fette il mio futuro. Lo hanno cucinato. Lo hanno sintetizzato. Suor Diocanaglia me lo ripropone, ogni mattina alle sette e venticinque, omogeneizzato dentro una delle 11 pillole che mi tocca prendere ogni giorno. Torno in istituto ogni volta che ne ho voglia. Sulla soglia della porta di ingresso rimango ingessato, saluto tutti. Non mi risponde nessuno. Centomila migliaia di pensieri, parole, opere e omissioni votano per me e mi tocca governarli. Saperli comprendere sarebbe la più radicale delle posizioni da prendere ma io non ho pretese e ora stendo i miei propri panni sporchi che ora sanno di ammorbidente alla gardenia. Una degna rappresentante delle istituzioni mi convince che il mio supporto al luogo si è fatto indispensabile. Non ci avevo mai pensato e sorrido a quel tizio che dietro di lei si mette le mani nel naso, ne tira fuori una ragione e se ne alimenta. Rasenta lo schifo ma qui siamo di casa. Lamentarti da irriso, se hai passato i quattordici anni, lascia il tempo che trova peggiore di quanto non lo abbia trovato. Mi hanno rubato il cuore, una penna che scriveva benissimo e l’anello mancante della piramide in cui l’evoluzione avrebbe rivelato ai presenti le giuste mosse per far fronte a quella stronzata delle frontiere. Abbasso la cerniera e piscio dal balcone. Un milione di anni fa un mio antenato lo ha fatto dalla grotta, con le blatte lì a guardarlo. Non parlo più da quando mi hanno detto che ho ragione. La pigione la pago quando posso. L’abitudine del fosso mi converte all’isolazionismo e solo quando mi sento davvero di doverlo fare spacco lo specchio perché non ho abbastanza spazio per gli ospiti. Sono un cospicuo ereditiere con il vizio del gioco. Gioco poco ma gioco. Ho un mio lume ma è fioco.

Qualche tempo addietro, davanti a me si parò di fronte la possibilità di cancellare dai vocabolari delle più grandi culture occidentali il dubbio ed i “però”. Fu quel giorno in cui avevo voglia di broccoli e salsicce ma avevo finito l’aglio. Non voglio dire che sia fondamentale ma fondamentalmente chi cazzo mi credo di essere per tarpare le voglie dei commensali che, affamati, han deciso di auto invitarsi? Può darsi che “improvvido” e “sconsiderato” abbiano fatto il palo ai criminali durante la rapina alla Banca del Seme, in quel pomeriggio di pioggia in cui la logica aveva dato loro ragione. L’essere e il non essere, nella stessa frase non possono starci. Agito la lancetta e faccio un salto avanti nel tempo. Ho finito l’aglio e ne ho voglia. Busso alla vicina del mio pianerottolo. Racconto una frottola dal sapore di broccoli e salsicce e la convinco che senza l’aglio non posso pretendere di essere credibile agli occhi dei miei ospiti. Mi siedo sulle scale ed aspetto che lei rientri per esaudirmi. Mentre socchiude la porta le guardo il culo. Non l’avevo mai vista una settantenne così in forma. TestadidragodiKomodo riapre la porta e con voce gentile mi porge una testa d’aglio.
“Strano che non ci siamo mai visti, noi due…”
“Ce ne saremmo ricordati, in effetti…”
“Se posso permettermi: lei ha le labbra che ogni donna desidererebbe avere”
“Definisca desidererebbe.”
“Buon appetito!”
“Buon appetito.”

Non ho ancora finto di capire ma ho già finito le parole. Con due passi all’indietro mi allontano e piroetto per rientrare in casa da me. In piedi, davanti ai fornelli della mia cucina c’è Suor Diocanaglia che sputa su ciò che sarà il mio pasto. Alla sua destra l’alambicco ribolle. Devo prendere altre 10 pillole oggi. Le sorrido pensando al culo del varano di Komodo. Dovrei chiedere rinforzi ma gli sforzi che posso mettere sul piatto dell’autodeterminazione mi convincono di non avere sprecato il mio tempo negli anni dell’antagonismo militante. Mi pianto davanti a lei e il mio piagnisteo la irretisce. Gradisce le mie attenzioni ed elargisco in piccole dosi mitosi e meiosi delle quali non posso non dire se ci troviamo a parlare del più e del meno. La matematica non è due coglioni. La biologia me l’hanno rimandata a settembre e preferisco glissare. Sasso. Carta. Forcipe. Nacqui con l’acquolina in bocca mordendo l’aria per ossigenarmi. Se non hai niente da darmi non farmi dire “grazie” solo per educazione. Se non hai niente da dirmi non farmi dire “ti prego” solo per esercitare il tuo diritto al silenzio. L’essenza dell’assenso è che quando ci penso mi impietrisco. Suor Diocanaglia mi ha sgamato e sorride sotto i baffi. Il traffico degli animali esotici è una piaga da tempi antichi. In città è pieno di pervertiti. Ricordati di quella volta in cui spuntò un serpente dalla tazza del cesso del nostro condominio e morse il culo a quel ragazzino.

🎶 Dlin Dlon! 🎶
È la mia porta. Lascio la cucina. È la mia vicina, quella col bel culo.
“Noi ci conosciamo!”
“Sì che ci conosciamo!”

Mi salta addosso, mi bacia e con la lingua mi strappa via il cuore che risucchia rosso sangue. La concubina di Suor Diocanaglia me l’ha fatta. Ed io avevo ancora una decina di pillole da prendere.

(Il perché delle cose verrà svelato nella prossima puntata.)

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