Una storiaccia brutta

Una storiaccia brutta

Quella sera l’assassino non si presentò a lavoro e mi toccò vivere. Il sindacato degli assassini riuscì a trovare il cavillo burocratico giusto per far uscire puliti da quella storiaccia brutta sia il datore di lavoro che l’operaio. Nessuno pensa mai al beneficiario del servizio finale, ma questa è una cosa sappiamo tutti e da sempre. Non serve nascondersi dietro le “precisazioni del governo in materia legislativa [blablabla]”, “in applicazione del regolamento numero [blablabla], comma [blablabla]”. Il committente avrà il suo rimborso. Il lavoratore avrà le sue tutele. Io avrò un sacco di tempo del quale non ho idea di cosa farmene. Mi toccherà lavorare di fantasia, potrei addirittura cercarmi una lavoro in concreto e firmare un contratto di categoria brindando al successo che l’evoluzione di un pollice opponibile mi ha messo in mano. Il successo ha la forma di una penna a sfera. Dentro alcune di quelle sfere ci sono oracoli. L’inganno si traveste da accenno di normalità e al cenno stabilito scatenerà l’inferno. Ci passeremmo tutti se abitassimo nei quartieri alti di una società civile davvero civile. Da sotto i ponti c’è tutt’altra prospettiva e guardare in faccia Sua Signora la Fortuna è da considerarsi una meta turistica riservata, e non a chi si può permettere il biglietto ma a chi si accolla il viaggio.

Mi chiesero di candidarmi una volta, pensavo fosse una cosa legata alle malattia detta “Democrazia”. Al mio primo calar della testa, all’imbarazzo del timido “sì?”, imbastirono in fretta e furia un programma chiaro e decisamente efficace: avremmo vinto noi. Il giorno successivo mi esplose in petto uno sfogo fatto di bubboni pieni di pus. Ritrattai con le mani ancora piene di crema lenitiva. Non ricordo quanto tempo sia passato dall’epoca ma ho ancora il petto devastato da quella pessima, timida scelta. Non abbassare mai la testa ché poi con certi “SI” bisogna stare attenti. Per certi “NO” non bastano i rimpianti. Patteggio per la dimenticanza ma c’è una grossa fregatura: l’ho dimenticato solo io. Ed eccomi, sconosciuto, che voglio sapere tutto di me. A chi posso chiedere chi sono? “A Stocazzo!”, disse un diavoletto sulla mia spalla sinistra, spuntato da uno sbuffo di zolfo. Un piccoletto dai boccoli d’oro e dalla tunica bianca sull’altra spalla si leccava le piume. Ho detto basta ai discorsi fiume da quando ho trovato nella poesie delle parole la luce sufficiente per illuminare i passaggi fondamentali.

Piangano pure le madri dei criminali. La manna dal cielo è l’amore incondizionato. Se non sai di cosa parlo non hai mai avuto un animale in casa. Se sai di cosa parlo dovresti ringraziare la nostra natura animale. Il messale lo lasciamo a chi non si ricorda un cazzo nonostante ci dica di aver studiato tutta la vita. Nonostante ci dica di aver visto la luce. Vedere ma non toccare. Parlare senza dir niente. Nel silenzio eloquente in cui tra la gente mi raccolgo nel pentimento ho trovato anche le risposte a domande che non mi ero ancora posto. A costo di esser blasfemo, so distinguere le bollette da pagare da quelle ricevute per servizi non richiesti.

Il contesto ci fa attori, ti capita mai di sentirti dentro una montatura? Hai studiato la tua parte o improvvisi? L’espressione del viso, nota quella. Che bella che eri la sera in cui ti sorpresi senza volerlo! Dovremmo sapere bene che nella più ottimistica delle previsioni “U malutempu ndi leva a tutti, prima o poi”. Ricordati dei tuoi e dei loro sacrifici. Detesto essere il saccente. Detesto l’eccellenza per manifesta mediocrità. La verità sta nel mezzo. In mezzo ai coglioni, per essere precisi. E, per inciso, so che che l’indecisione gioca un ruolo fondamentale proprio nei frangenti in cui tra i flutti proviamo in ogni modo a stare a galla. L’altare che brucia è l’atto di fiducia massima sin dal tempo in cui scoprimmo il fuoco. Se il gioco vale la candela, la candela definisce il campo di azione. Si illumina di intenti. Tra i partenti, i favoriti si fanno i cazzi propri e pensano a vincere mentre i perdenti si stringono la mano e si augurano buona fortuna. Qualcuna di quelle mani verrà mozzata strada facendo. Ai piedi della montagna da scalare sembra sempre tutto più complicato di quanto non lo sia veramente. La stella cadente è un mio desiderio solo nel caso in cui sia di quelle abbastanza grandi da caderci addosso e frantumarci. Mi taccio sul perché di cotanta tracotanza. L’ora è tarda. L’ora è bugiarda. L’ora è beffarda. Per quanto mi riguarda, il potenziale inespressibile è la peggiore condanna che ci potesse capitare.

Preferirei differenziare ma non è ancora ben capito cosa vada dove. Dei cumuli sono pieni le strade, gli androni, le case. Le scuse si infiltrano come topi e smanghiucchiano tra i rifiuti dei sogni di cui ci costringiamo a vergognarci. Getto la spugna ed impugno il provvedimento isolazionista che il ministero dell’igiene ha imposto con l’obbligo. L’obbligo. L’obbligo. L’applicazione. L’accettazione. La consuetudine. La normalità. I modelli di vita sono quei cazzo di manichini nudi rinchiusi dentro le vetrine durante il cambio stagione. Alla ragione sorgono dubbi. Delle certezze ne lucido una: abbiamo un sacco di tempo da perdere perché qualcuno, quella sera, non si è presentato al lavoro.

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