L’esodo di massa dalla chiesa cattolica

L’esodo di massa dalla chiesa cattolica

notizia tratta da: UAAR

Stephen Bullivant è uno dei volti nuovi del cattolicesimo. Trentaseienne inglese, insegna teologia e sociologia alla St Mary’s University, dove dirige il Benedict XVI Centre for Religion and Society. Ci conosce bene, perché ci studia parecchio: è stato infatti il co-curatore di due autorevole volumi collettivi, The Oxford Dictionary of Atheism e The Oxford Handbook of Atheism. Ha ora pubblicato un libro che unisce i suoi due interessi: Mass Exodus. Catholic Disaffiliation in Britain and America since Vatican II. Eloquente fin dal titolo.

Un vero e proprio esodo di massa, senza precedenti nella storia

Le tabelle che corredano il volume confermano ulteriormente che, sì, quello che è avvenuto e che continua ad avvenire sotto gli occhi di tutti (anche di quelli che li vogliono tenere chiusi) è un vero e proprio esodo di massa, senza precedenti nella storia. E di difficile comprensione, se si cerca un solo motivo scatenante. Se se ne accettano diversi è invece più semplice, perché sono gli stessi ex-cattolici a fornire un caleidoscopio di motivazioni, talvolta persino incoerenti. Ragioni che si stratificano nel corso di un processo graduale e che a un certo punto, zac, trovano un trigger, qualcosa che spinge a non dichiararsi più cattolici – anche quando non è altro che la presa d’atto di una lunga riflessione.

E questo nonostante il concilio Vaticano II. Che, di fronte alle prime avvisaglie dei tempi nuovi, voleva connettere la chiesa a un mondo più urbanizzato, più prospero, più istruito. I dati mostrano che i risultati non sono stati quelli attesi: al massimo si sono limitati i danni, consolandosi con i dati (addirittura peggiori) di altre chiese cristiane. Anche se gli Stati Uniti vanno meno peggio del Regno Unito, anche se nei paesi in via di sviluppo la crescita cattolica continua (per puri effetti demografici), la trasmissione della fede è sempre meno automatica pressoché ovunque – persino in un paese ancora molto clericale come il nostro, come attestano i sondaggi.

La tendenza iniziata nel secondo dopoguerra è dunque continuata. Come se il concilio fosse stato ininfluente, come se il mondo fosse rimasto indifferente all’enorme sforzo compiuto. Chi vuole accontentarsi può sempre far notare che anche i precedenti concili non avevano risolto i problemi per cui erano stati indetti. Resta il fatto che la chiesa è ora più “nel mondo” di prima, ma al prezzo di essere meno visibile in quanto religione. Come nota Bullivant, «i cattolici sono ‘diventati come tutti gli altri’ precisamente nello stesso istante in cui ‘tutti gli altri’ hanno rapidamente cominciato a diventare fedeli meno ortodossi, praticanti meno regolari, e in ultima analisi a essere meno disponibili a identificarsi religiosamente».

Gli ex cattolici non frequentano più alcun servizio religioso

I cattolici discutono tuttora moltissimo dell’impatto della riforma liturgica promossa dal concilio. A conti fatti sembrerebbe però un falso problema, visto che gli ex cattolici non frequentano più alcun servizio religioso. L’aver ridimensionato l’importanza delle pratiche devozionali potrebbe semmai aver ridotto l’attaccamento alla fede: al confronto, i fondamentalisti protestanti hanno retto decisamente meglio. Al punto che negli Usa la frequenza settimanale dei protestanti (tutti) è rimasta percentualmente quasi stabile, mentre quella cattolica si è pressoché dimezzata ed è oggi di poco superiore a quella protestante – nonostante l’apporto consistente degli immigrati latinoamericani.

Vi sono stati sei papi negli ultimi sei decenni, con strategie e stili anche molto diversi. Tutti, da Giovanni XXIII a Francesco, hanno espresso auspici sul re-incantamento del mondo. E tutti hanno dovuto prendere atto di esiti deludenti. Difficile individuare nuove strade: lo stesso Bullivant non si sente di dare consigli, almeno per ora.

Le innovazioni religiose spesso favoriscono il disincanto

Il paradosso del credente progressista è che le innovazioni religiose spesso favoriscono il disincanto. Il paradosso di tanti attivisti atei è che impiegano le loro forze nel proselitismo, senza rendersi conto che il disincanto (oggi) procede quasi sempre spontaneamente. I credenti integralisti hanno invece capito benissimo come far funzionare al meglio il meccanismo: massima coesione interna, richiamo continuo alla tradizione, denuncia senza sosta della modernità. È una strategia che non attira molti convertiti: con gli alti tassi di natalità che li contraddistinguono non ne hanno però nemmeno bisogno. Ciò che serve è semmai il sostegno del potere politico, che garantisce che la loro è una scelta giusta. È questo il terreno di scontro, ed è su questo che dobbiamo impegnarci di più.

Nessuno può prevedere il futuro: ma il tono non particolarmente ottimista di un sociologo cattolico, profondo conoscitore dell’ateismo, porta a pensare che quello della chiesa romana non sarà particolarmente roseo.

Raffaele Carcano

Photo by Simeon Muller on Unsplash

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