Come lasciarsi andare

Come lasciarsi andare

Non è mai stato un problema di tempo. Non è mai stato un problema di spazio. Quando decisi di dare fuoco alle mie ali fu solo perché la consapevolezza di volare cenere mi alleggeriva dalla responsabilità del timone. Come lasciarsi andare. Eccomi frantumato per aria, sempre più piccolo e sempre più piccolo fino a diventare aria io stesso. Respiro bene. Non è vero che possiamo sentire tutto, non mi chiederesti niente se potessimo sentire tutto. Non è vero che è tutto chiaro, non tossiresti nervosismo se fosse tutto così chiaro. Le ambizioni dell’alfabetizzazione si schiantano contro la realtà dei fatti e la realtà dei fatti è che non sappiamo cosa stia accadendo. E non farti fregare da quelli che ne sono convinti. E non farti tentare dai mangiafuoco a cui brillano gli occhi e suda la lingua. E non farti ammaliare dalle fusa dei gatti, dai sorrisi dei matti, dai volponi ritratti nel corridoio in cui le luci sono posizionate alla perfezione. L’allaccio è abusivo. Non mastico da quando ho venduto la mia fame in cambio di una sete infinita in cui filtro i liquidi e li trasformo in pioggia dorata. L’armata delle arti mi ha lasciato in mutande, bianche, ed eccomi spalle al muro e palle al culo. Dopo aver trasformato la tua ipocrisia in complimenti, te ne sei accorta?, le cose vanno molto meglio. Gli scatti e l’anzianità mi garantiscono un marmo pesante e costosissimo quale cornice alla mia foto, mi raccomando quella in cui sorrido scemo. Se tanto mi dà tanto, non avremo bisogno di annaffiare nessun altro pensiero. La coda si taglia e ricresce. La coda si taglia e ricresce. L’uomo del cimitero delle code ha un programma per la notte: nel suo piccolo mondo fatto di appendici si farà ancora festa. Non era questa la finalità ultima? E tu, da consumatore finale, che genere di rimostranza potresti muovere all’organizzazione? Ligio alle letture classiche, si è affacciato alle luci delle lapidi che, come le lucciole, si muovono ad ogni soffio di vita. Un altro anno, le cui abitudini non cambieranno per mera convenienza. Un altro anno in cui approfitterò delle sue mani di fata per ogni puntura necessaria alla mia schiena dritta e spaccata. Una boccata d’aria in memoria dei tempi buoni. Un’aggiustata al colletto della camicia prima dell’ammutinamento. Per voglia o per necessità, l’intersezione dei futuri possibili amplifica il canto degli animali notturni. Alza il volume, ti prego. Non nego di aver fatto gli sbagli giusti.

Non giustifico niente che non abbia bisogno di giustificazioni, e solo se mi andrà di farlo quando accadrà. Le aberrazioni dell’incomprensione tra esseri umani si stagliano tra le correnti di un mare di idee già messe in opera dai pionieri, mai prigionieri degli applausi. Qualsiasi siano i motivi, poco importa. E se spingere con tutta la forza che hai in corpo non basta, raccoglieremo la forza fuori. L’enormità è una condizione. L’eremitaggio è una devozione. L’abrasione della pelle si rimargina ad ogni sguardo, ad ogni distrazione. L’evoluzione è un gioco che non fermeremo con le nostre stronzate. Tra le mille risate degli ebeti, la gioia esploderà incontenibile. Non facciamo confusione solo per confonderci. Da quando abbandonare Alcatraz al proprio destino non è più deplorevole, l’idealismo delle mura ha assunto nuovi cecchini. Per i sudditi, con i sudditi e nei sudditi è ogni onore, è ogni gloria. L’onnipotenza è stata bandita dalla conviviale banalità di essere chi ci va di essere ad ogni replica della domanda. Mi dico di non aver tempo ma non è mai stato un problema di tempo. Non è mai stato un problema di spazio. Ci saziamo con poco: questo è il problema di noi vermi. E le contrazioni degli infermi si fingono guarigioni. Ed i guaritori si fingono divinità senza preghiere. E le preghiere si dissolvono in consuetudini che nemmeno ricordiamo più, tra gli automatismi delle imposizioni e le virgole lette male. Un factotum ripulirà tutto ad ogni richiesta degli investigatori. Il sentore della giustizia per i giusti tiene in mano una frusta e delle manette per del sesso facile e insoddisfacente. Quanta gente dobbiamo imbarcare sul vascello fantasma della nostra solitudine? Non mi ricordo nemmeno più del perché ho iniziato a parlare con me stesso di cose che non posso non sapere.

Metto a dieta l’artiglieria pesante per ottimizzare le risorse. Morsi e rimorsi storici mi ricordano di lavarmi bene la faccia prima di guardarmi allo specchio. Forse i concorsi li avrei dovuti assecondare, ma ero troppo piccolo e stronzo e in forza. Ora che sono troppo grande e stronzo e in forza, li lascio dormire soffici tra i sogni dei candidati. In quanti affogheranno non è affar mio. In quanti vinceranno non è affar mio. Ai quanti mi imporranno la vista del loro premio ricorderò di essere un discreto fumatore a cui un posacenere serve sempre. Con la tempra di un templare impostore, mi assumerò il rischio di un confronto tra pari a cui la dispersione non potrà che giovare. Nel gioco delle parti non voglio consolare nessuno. Voglio ammirarti, voglio calmarti, voglio allontanarti, voglio dimenticarti. Non è mai stato un problema di tempo. Non è mai stato un problema di spazio. Voglio svegliarti. Voglio raccontarti. Voglio ricordarti. Voglio liberati. Non è mai stato un problema di tempo. Non è mai stato un problema di spazio. Dio mio, quanto sarà mai questo “abbastanza”?

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