L’abbiamo fatto

L’abbiamo fatto

Il patto era questo: “Costruiamo una casa”. L’abbiamo fatto. Abbiamo raccolto tutti sugheri delle bottiglie di vino che abbiamo bevuto mentre pensavamo a come farlo e l’abbiamo fatto. Ci abitiamo tutti e tre. Io, Super Io e Stagrancoppoladiminchia. Non ci abbiamo nemmeno messo tantissimo, sai. Niente a che vedere con tipo quella cosa di un programma TV dei primi anni del nuovo millennio, noi ci odiavamo veramente. Era questa la nostra forza. Tutti e tre stretti nella morsa egocentrica della nostra propria natura, della nostra propria essenza. Della nostra conflittualità ne usciva un quadro disumano di straordinaria potenza collaborativa. Ogni lite, un passo avanti.

Ogni scontro, un miglioramento. I dettagli, come cicatrici, abbellivano ciò che difficilmente un documentario postumo sarebbe riuscito a cogliere. Niente a che vedere con quella cosa del vaso giapponese che seppur rotto porta con orgoglio i segni del proprio ricomporsi. Qui si parla di dettagli di una struttura forte e salda. L’impasto di vomito e bile con i quali abbiamo accuratamente unito un miliardo di tappi, resisterebbe alle intemperie di ogni lupo di ogni favola di ogni porco che si rispetti. Che poi, ci si chiedeva: rispettare cosa? L’effetto stroboscopico delle luci delle finestre non era voluto ma era. L’infezione della presenza di tre presenze si evolveva negli spazi in cui l’assenza brillava di possibilità.

Il minimo comun denominatore che abbraccia l’abitazione si esponeva costantemente alla furia che all’alba bussava ai miei occhi. Super Io non ha mai voglia di cucinare ma ha una sete orrenda. Stagrancoppoladimichia ha ancora sonno. Una trinità in cui fare i conti significa guardarsi negli occhi perchè gli occhi non mentono. Le proposte sul come vivere l’oggi affondavano gli artigli nelle nostre carni, eravamo uguali, siamo uguali. I regali tremavano nelle mani di ognuno al proprio festeggiamento. Scartarli è sempre stato un verbo. La superbia era stata bandita per accordo tacito. Eravamo acerbi ma non così acerbi. Eravamo disperati, non stupidi. L’insipido delle ferite lo curavamo con del sale marino e rimarginare equivaleva a far sparire il rimuginare sulla causa delle ferite. Io, Super Io e Stagrancoppoladimichia non eravamo perfetti ma non abbiamo mai provato astio, mai provato astio nei confronti dell’altro e dell’altro. Il benaltrismo lo avevamo crocifisso con grosse spalle di vetro in ricordo delle bottiglie. La poltiglia verminosa risultava un ricco banchetto per insetti attratti dalle esalazioni. Era tutto calcolato, era il nostro nutrimento: srotolavamo le nostre lingue biforcute e ce ne cibavamo. Gli insetti sono molto più nutrienti di quanto le scuole di cucina dell’occidente conosciuto vogliano ammettere. L’idea di ammattire non hai rovinato nemmeno una delle nostre giornate. Nessuno dei tre ha mai amato lavarsi, ci si riconosceva attraverso le stratificazioni di ciò che ci era sedimentato addosso dopo quella giornata. Il cambiamento di ogni vita è quotidiano e chi non lo ammette pecca di poca curiosità. Le calamità naturali calamitavano l’attenzione dei previdenti, che del sociale hanno sempre avuto un’ipotesi parecchio confusa. Io davo uno schiaffo a Super Io che dava uno schiaffo a Stagrancoppoladiminchia che dava uno schiaffo a me. Non ho mai avuto un esempio così concreto della compartecipazione ad una comunità. Essere parte, non farsi da parte.

L’arte oratoria spartiva i patti alle nostre storie personali ed i percorsi che ci avevano condotti fino a quel momento erano ciò che ci ricordavamo del percorso che ci aveva portato fino a quel momento. Memento mori. Il riconoscimento delle leggi auree pitagoriche passava e spassava dall’incrocio in cui si ergeva una grande targa con scritto “Buono o cattivo può essere il parlare degli uomini; che esso non ti turbi, non permettere che ti distolga”. Nei primi sei giorni di permanenza nella casa di sughero avevamo stabilito un turno di scalpello a testa. Il settimo giorno un colpo solo per tutti.
Dopo una settimana la targa recitava: “BU I O P O ES I A RE DEGLI UOMINI; CHE ESSO NON TI TURBI, NON PERMETTERE CHE TI DISTOLGA”. Dopo una settimana la consapevolezza che distruggere ci aveva aiutato a costruire era consolidata e andava abbattuta senza pause di riflessione. Morsi e rimorsi storici ci proiettano dentro grotte che in quanto tali, in quanto tane, prevedono che il metodo di fare a botte sia solo uno dei passatempi capaci di aiutarti ad addormentarti meglio. E questa cosa da solo non la puoi fare. Erano queste le condizioni, senza accezioni, senza abduzioni. L’abbiamo fatto. Ciò che deve accadere, accade. La furia dell’alba continuava a bussare ai miei occhi. Super Io non avrebbe mai cucinato. Stagrancoppoladimichia ha sempre avuto ragione.

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