Da queste parti

Da queste parti

Mi piace svegliarmi alle 5 del mattino, mentre l’orizzonte si rischiara, e uscire sul balcone ad ascoltare l’apparente silenzio della città che apparentemente dorme. Mi piace essere io quello che rompe il silenzio. La luce cambia il giorno, la voce cambia il silenzio. Veloce cambiamo noi. Abbiamo moti, abbiamo esempi. E si fottano gli irreprensibili dello scempio, chè a quanto ne so io siamo ancora in pieno strappo.

La trappola è tesa, prendo caffè e lexotan. La trappola è attesa, accendo una sigaretta e sbocco. La trappola è lesa maestà, sul regno del buongiorno a cui il volgo della stipsi disconosce potere rivendicando autonomia. Mandiamoci via, lasciamoci andare. Il reale rischia di affogarsi ad ogni mia battuta scema. Dozzinale come l’uomo solo sa essere, si piega in avanti e ghigna. Delle posizioni. Dalle posizioni. L’ermeneutica della postura: dal libro sacro i disegnini che furono Kamasutra. Crepitano le bocche dei forni. Dei giorni a seguire mi sono fatto un’idea solo perché sento il tuo fiato sul collo. Controllo la temperatura: la febbre del sabato mattina non esiste. Il fine settimana non esiste. La settimana non esiste. I mesi non esistono. Esistono le vite e l’equilibrio sta a chi le riveste con la propria faccia di cazzo. Ma è una posa dalla quale prendere una pausa, è concesso ma non ce ne ricordiamo. Abbiamo un sacco di cose da fare. Da fare. Da fare. Sterminare ogni pensiero pare male se non hai mai letto zio Bill. Brilla il mio zaino di verderame, spruzzo parole senza pretendere niente. Si salvi chi può. Non saprei come spiegarmi meglio il senso delle cose che son Cose fioriranno. È lì che c’è da lavorare. Altro che storie. È lì il campo di battaglia ed è lì che sta bene annaffiare del nostro sangue ciò che diversamente è destinato ad appassire. Sudo. Mi passo una mano sulla fronte. Il conto mi rovescia sul tavolo la lista dei bagordi che ho dimenticato. L’enfasi si infratta con la tratta degli schiavi che ci piace esser diventati. Lo rimetto in piedi, da bravo ragno, tessendo di plausibilità le nubi di ricordi. Concordo un piano di rientro pensando alla smania di volerne uscire pulito. Contrito e possibilista, evidenzio in giallo le linee da non oltrepassare. Quasi per magia mi ritrovo a delimitare, ad alzare muri, a confinarmi. Quasi per magia mi ritrovo a studiare i composti delle bombe fai da te. Mi espongo al malaffare di una schiera di personaggi incapaci di intendere il mio volere. Il valore della civiltà che calpesto nel mio cammino si misura in passi in avanti. Riposizionare gli specchietti retrovisori è imprescindibile. Lo scibile mi abbraccia caldo nel dualismo della rivalità tra l’essere e il può essere. Allento la presa e prendo fiato. L’elegia del commiato ha cinto di filo spinato i propri possedimenti ed è pronta alla strenua difesa. Come mi sia presa la voglia di farlo ancora è tutto un mistero. Fetori di resti di carni umane, fiumi di lacrime, convogli di smaltimento organico. La parte dell’esecuzione è la parte più complicata. Dei deboli di cuore non ne faremmo a meno, ma tant’è. La guerra è guerra e la pace non ci piace altrimenti non ci faremmo vermi per rapaci famelici. Eravamo felici senza rendercene conto, il trucco era quello.

Il succo della questione è un distillato di idiozie e sperimentazioni in cui non spariscono le certezze ma si alza l’asticella. Sempre quella. Sempre bella. Nella notte che è andata è impossibile il ritorno ma lo stabile è ancora agibile. E se ci sarà da rinfrescare con una mano di bianco, ci faremo trovare pronti. Chi parla poco e chi parla troppo. Chi pensa poco e chi pensa a vanvera. Chi vive poco e chi vive a vanvera. Gli invincibili fanno la fila alla Caritas. Gli impassibili fanno un altro caffè. Gli impossibili pascolano liberi sbeccheggiando il sostentamento di tutti. Deturpano la specie che vista dall’alto sembra la discarica di entità superiori. Ma i dettagli! I dettagli sono lucciole, sono stelle cadenti. Li bacio e mi ossigenano. Le ischemie, da queste parte parti, le combattiamo così. Mi piace svegliarmi alle 5 del mattino, mentre l’orizzonte si rischiara, e scrivere stronzate sul fatto che mi piaccia svegliarmi.

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