La narcolessia della ragione

La narcolessia della ragione

Rappresentazione statica di un ruvido avverbio. Dormo. Non me ne rendo conto. Il sensazionalismo dei sogni che non ricordiamo si illumina di una lucina rossa d’allarme. Le tarme delle terme si nutrono dentro gli armadi in cui riposano i nostri scheletri. Il ribollir delle carni ci acclimata nel sistema di pensiero in cui le armi a nostra disposizione vengono deposte come uova e le frittate sanno di merda espulsa da cervelli in diarrea. Mi piacerebbe pensare che non sia così. Mi piacerebbe prendere atto che gli apostati non abbiano deciso di pancia ma dopo appostamenti e valutazioni capaci di fortificare la propria posizione. La nostra nazione traballa e crolla e tra le macerie, credimi, sentire le urla di chi non ha intenzione di mollare è l’unica poesia che mi spinge a organizzare quel gruppo di pronto intervento che proverà a non darsi per vinto. Non ho venduto le mie mani, non ho venduto le mie orecchie, non ho venduto i miei occhi. Di trabocchetti è pieno ogni campo minato. Di buoni propositi è ricco ogni illusorio intendere poggiato sul sogno. A un passo da lì, il bisogno se la ride. Stride il pensiero della delega che frena gli istinti più cari.

Lecco l’amore che gocciola dalla bocca bavosa degli anaffettivi e glielo risputo dentro con un bacio. Oggi non capiranno ma ai loro figli piacerà sentirsi raccontare questa storia prima di addormentarsi. L’indizio è pur sempre un nuovo inizio e la disponibilità a dargli un’occasione devi annaffiarla anche in tempi grami. E se la musica finisce e gli amici rimarranno, saprai che è possibile farlo davvero. L’impero della luce se ne fotte delle bollette perché i conti si fanno alla fine e quando sarà mai la fine sarai tu a fottertene. Non ci sono motivi ostativi. Non ci sono motivi ostativi.

Il giorno che nasce è il giorno che muore solo nell’ordine delle idee che ti sei imposto per avere qualche possibilità di dirmi cosa hai capito. Si immolino le etichette sull’altare della definizione delle cose indefinibili. Adamo non sia domo. L’uomo che nasce su questa terra deve fare i conti con questa terra perché a questa terra ritornerà. Nessuna preghiera potrà alleviare il senso del nostro passaggio e se l’assaggio non è bastato è il segno buono che la fame è ancora tanta. Mi vanto del poco che mi concedo sorprendendomi sorridente. Del niente non se ne parla mai abbastanza. Nei patti di non belligeranza c’è scritto proprio che stiamo perdendo tempo mentre la sirena dell’ambulanza, da lontano, chiede strada. L’arroganza della sciarada va sedata dalla sete del sapere che s’impone tra i ghiacci dell’incoscienza scelti per allungare il sapore acre del sangue umano. Io, tu e i vampiri dobbiamo parlare. Dobbiamo mettere il sale sulla coda di Dio: deve confessare. Mi bloccherei con dei lucchetti alle porte del Paradiso in attesa di tendere la trappola. Una frottola per domarlo, una frottola per trovarlo, una frottola per ghermirlo e nel buio incatenarlo. Quando arriverà il momento di farlo, potrei sbagliare ma perdere vale più di ogni esitazione. M’importa ancora decidere con la mia testa. L’ora della siesta non è adesso. Confesso di aver avuto il tuo aiuto. Confesso di essere cresciuto. Ho riconosciuto le mie mani, le mie orecchie e i miei occhi e mi sono sfottuto per la poca cura che ho di me ma non è di me che si sta parlando. Quello dei detenuti è l’argomento. Quello dei prevenuti è l’argomento. Quello dei caduti è l’argomento. E buttaci dentro ogni possibilità e buttatici dentro anche tu.

Ti rendi conto che non siamo in grado di pensare più in grande di quanto la nostra piccola testa sia allenata a fare? Ed ecco la paura dei fantasmi, che nel marasma dell’uomo di carne fanno il fronte comune dell’ingerenza tra il caldo dei corpi. Siamo la loro peggiore paura, te lo hanno mai detto? Ti hanno mai detto quanto vali o ti hanno detto cosa devi fare per valere quel tanto che basta a far finta di essere felice? Tra la vita e la morte darsi manforte è un dovere inalienabile. Quale competizione? Quale competizione? Che la maledizione dei giorni che furono possa dissolversi nel concreto della consapevolezza delle cose. E vai fare in culo, se ogni anno esprimi lo stesso desiderio dell’anno precedente con l’aggravante di non aver fatto nulla perché si realizzasse nell’ennesimo anno buttato. Fuori dalla finestra è adesso. Sono sveglio. Me ne rendo conto.

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