U shock nto lenzolu

U shock nto lenzolu

“Vuoi perdere 12 chili senza diete o esercizio fisico?”. Le domande del nuovo anno ripercorrono i sentieri delle domande dell’anno vecchio. La rete di solchi tracciati non porta da nessuna parte se l’insieme è capace di comportarsi da tale. E conosco il mio ruolo, capisco cosa e perché mi tocca fare ogni giorno e ogni notte. Fare il proprio: fosse anche fare niente, fosse anche fare bene, fosse anche schifo. Un uomo chiamato Sisifo da genitori che, seppur non si amassero, si convinsero che la soluzione dei loro singoli drammi personali risiedesse nell’atto di unire le loro furbizie per il raggiungimento di una furbizia più grande, mi disse che il mio tempo non sarebbe durato per sempre e che preferibilmente avrei dovuto iniziare a pensare senza “sempre” e senza “mai”. Chiesi a Sisifo, all’apparenza di qualche anno più giovane di me, che scuola avesse frequentato. Io lo ricordavo bene quell’anno 1997, mi ricordavo del bagno e delle canne in bagno, delle liti in bagno, dei tribunali in bagno e dei diplomi rilasciati in bagno. Mi ricordavo anche delle scritte sui muri e dell’odio diciassettenne che nutrivo nei confronti di gente come i genitori di Sisifo. Gli sbruffoni e gli arraffoni hanno rotto gli argini della sopportazione da almeno un millennio. Ho licenziato i possibilisti e cancellato dalla lista degli acquisti tutto quanto non contenne sangue, clorofilla o una qualche linfa vitale. Nutrimento a sbarramento, lo chiamo.

Lo sbattimento è prendersi la questione con il senso di colpa di chi teme di avere davvero ragione e dovermi spiegare la ragione della sua ragione. Più che gente, è cibo avariato per la mente che sfotte il contingente con il proprio coefficiente di difficoltà. La mia facoltà di non confonderli con ciò che mi interessa mi tiene alla larga dai loro avvocati, una pletora di avvocati pronti a farmi pentire di essere nato. Gne gne gne. La mia lungimiranza mi ammonisce ogni minimo ritardo sulle opere di manutenzione. Gne gne gne. La mia assenza di contegno nei momenti dell’ubriacatura ammonisce la loro mancanza di tolleranza. Gne gne gne. Le virgole e la punteggiatura tutta sono vittime del sogno di essere Saramago. Gne gne gne. Sei mai stata marcata dal segno dei sogni? Avevo sognato tutto per come lo stavo vivendo. Non era un deja vù. Non era preveggenza. Benchè mi sia chiaro che se solo i deja vù durassero qualche altro secondo potremmo parlare di preveggenza, certo. Avevo sognato tutto per come lo stavo vivendo. E nei miei sogni non c’è la polvere. Nei miei sogni, dico. Non c’è tempo per la polvere. Polvere ero e polvere ritornerò, fin qui ci arrivo. Ma nei miei sogni non c’è tempo, non c’è voglia, non c’è spazio per la polvere. In culo a Mr. Swiffer che vuole vendermi a poco prezzo una vita se non proprio agiata, quantomeno passibile di poche accortezze. Le certezze che hanno abbuffato i coglioni sono i milioni di posti di lavoro promessi per scardinare le porte delle abitazioni degli occupanti che, distratti dall’incombenza dell’affitto mensile, ringraziano e offrono da bere. Di male in peggio. Un paggetto si gratta la testa e si chiede perché sia stato assoggettato a trucco e parrucco che non può comprendere. La principessina al suo fianco, bellissima e infima nel suo sorrisetto ebete, si chiede se sia normale festeggiare sotto lo sguardo a occhi chiusi di un tizio che è stato crocifisso sopra le teste dei personaggi principali di questa rappresentazione del mondo che si evolve e va avanti nonostante tutto. Tutto è niente. Controllo con lo sguardo che nessuno abbia nulla da ridire e procedo con la funzione. La scena è mia. Non esiste polvere. Prima il dovere e poi il piacere di aver fatto il proprio dovere. L’alfiere si muove in diagonale e si pappa un parente invitato con poca voglia. Staziona sulla casella del delitto e studia la prossima mossa. La massa critica. La massa critica si fa di ansiolitici. La massa critica si scopre apartitica. La massa critica, nuda adamitica, si infila in discorsi per i quali ogni stitico ringrazierà in eterno.

Piovono disdette sui cieli del domani. Chiamami ancora, amore. Calmiamoci. Caliamoci nei panni di chi non sa di cosa parla, prima di chiamarci ancora, amore. L’ora è tarda e l’ardua sentenza tarda ad arrivare avvolta in un mantello di assoluzione. Non è così semplice come la poniamo. Nei miei sogni la polvere non c’è ancora o sono io a non avere il tempo di vederla? Un profeta mi pone un quesito al quale non riuscirei a rispondere nemmeno se avessi le sue conoscenze. Mi incazzerei con lui se solo mi andasse di chiedere se lui sogna con la polvere. Ma io ho urgenza di evolvere. Ho urgenza di risolvere. Voglio perdere 12 chili senza fare diete e senza esercizio fisico. Il metodo del nervosismo l’ho provato due anni fa e le escrescenze sul mio petto sono una geografia del male che non voglio mappare mai più come cielo stellato se io rappresento il buio in cui brillano. Mi ammaliano le sirene ma sono sbirri in assetto da isola del mistero.

Mi ammalo per mano di chi ha deciso che il mezzo gaudio debba passare dal male comune. L’immunità non semplifica un cazzo di niente. La mente conosce le dinamiche e non perdona. E fa bene. Cedo alla meraviglia ogni bene in me esistente e anche tutto ciò che potenzialmente potrebbe esistere. La famiglia è in guerriglia dalla morte dei nonni. Prendo una pastiglia ogni sera, prima di dormire, per non pensare a niente e sognare senza polvere. Mi addormento naufragando nelle lontananze in miglia marine di un materasso che fa acqua da tutte le parti. Ho una mano sulla maniglia della porta del Paradiso. Mi ripeto imperterrito che Dio non mi somiglia per niente. Busso. Non aspetto la risposta. Apro. Entro. Se sarò il benvenuto sarà perché l’ho deciso io.

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