Che cosa succede al processo contro Mimmo Lucano? Le forzature di un’accusa che si scopre debole

Che cosa succede al processo contro Mimmo Lucano? Le forzature di un’accusa che si scopre debole

di Giovanna Procacci – Comitato Undici Giugno-Milano – pressenza

Dal processo di Locri contro Lucano e Riace arriva una notizia eclatante: nell’udienza di lunedì 26 aprile il Pm Michele Permunian ha chiesto l’acquisizione agli atti di un documento. Si tratta di un’intervista che Lucano ha rilasciato il 18 aprile scorso all’agenzia AGI, in cui spiega la sua decisione di candidarsi alle elezioni regionali del prossimo ottobre insieme a De Magistris. La difesa di Lucano ha contestato questa richiesta, definendola “tendenziosa”. Alla fine, il Presidente del collegio giudicante, Accurso, l’ha respinta, in quanto i fatti sono estranei al processo.

Allora, tutto bene? Tutto rientrato? Non direi. Perché per noi che osserviamo il processo da semplici cittadini e non da tecnici del diritto e nemmeno da esperti di cronaca giudiziaria e che quindi guardiamo il processo dal punto di vista del senso che vi si produce, la domanda sul perché la Procura di Locri abbia presentato una tale richiesta rimane intatta.

Certo, potremmo rispondere che si tratta di accanimento, come lo stesso Pm aveva dimostrato tentando di avviare un secondo processo contro Lucano. Ma non basta. Perché il tema Lucano-elezioni era già stato al centro dell’attenzione della Procura. Nell’ottobre 2019 il colonnello Sportelli, in mancanza di qualsiasi prova che Lucano avesse perseguito scopi di lucro personale sui fondi pubblici destinati ai migranti, aveva avanzato l’ipotesi che ci fosse comunque un dolo, un movente illegittimo di vantaggio personale: era l’ipotesi del movente politico-elettorale. Certo, è normale che un sindaco cerchi di corrispondere alle attese dei suoi concittadini. Ma Lucano faceva di più: progettava di candidarsi alle politiche del marzo 2018 e per questo aveva bisogno di continuare ad assicurarsi i voti. Cosicché, pur essendo perfettamente consapevole che i laboratori non funzionavano, che le associazioni facevano soldi indebitamente, che c’erano molte irregolarità, non denunciava nulla, perché non voleva perdere i voti che gli portavano le varie associazioni. Lucano cercava un vantaggio elettorale; Sportelli citava i voti dei Tornese, di Riace Accoglie, di Girasole.

Ma dove erano le prove del movente politico-elettorale? In un’intercettazione di fine 2017 in cui in sostanza Lucano diceva a suo fratello: “Quasi quasi mi candido”. L’intenzione di Lucano di correre per l’elezione al Parlamento italiano rivelava, secondo l’accusa, il suo intento di sottrarsi alla giustizia, che sentiva ormai incombere su Riace, grazie all’immunità parlamentare; ecco la patata bollente dell’interesse personale, pur nell’assenza di lucro. Tuttavia, quando il Presidente gli chiedeva se si fosse poi candidato effettivamente, Sportelli doveva ammettere di no. Cosicché anche il famoso movente politico finiva per sfocarsi e perdere di incisività, tanto che nel seguito dell’illustrazione dell’accusa non si parlava praticamente più del movente di Lucano.

Ora, ad un anno e mezzo da quelle udienze, il movente politico torna fuori. In zona Cesarini possiamo dire, all’ultima udienza dell’istruttoria. Succede che il Pm ha letto l’intervista rilasciata da Lucano una settimana fa, in cui parla della sua candidatura nella lista di De Magistris come capolista. E qualcosa ha fatto subito tilt nella sua mente: visto? L’avevo detto io che voleva candidarsi. Finalmente il piano è arrivato a compimento. Peccato che si tratti di quattro anni dopo, di quattro tornate elettorali dopo, di elezioni regionali e non politiche. Ma il suo piano è sempre quello. Anzi, il piano di oggi getta luce su quello di ieri: se non si era presentato allora, né alle politiche (2018), né alle europee (2019), né alle regionali (2020), è perché nessuno gli aveva voluto dare il posto di capolista. Ora finalmente, con de Magistris, il colpaccio gli è riuscito. E qui il Pm fa un volo pindarico: la candidatura di oggi confermerebbe la bontà delle intercettazioni di quattro anni prima…

Ovviamente Lucano ha il diritto di candidarsi quando vuole e con chi vuole, come ogni cittadino in pieno possesso dei suoi diritti politici. Ma l’imputato Lucano, secondo il Pm, è costretto dal suo “curriculum criminale”, come avrebbe detto Foucault; ogni sua azione prende un senso pregresso determinato dall’indagine che lo ha portato al processo e nello stesso tempo dà senso a quell’indagine quando incespica e si fa debole. Quell’intercettazione del 2017 che perdeva significato di fronte al dato di realtà che non si era poi candidato, per cui diventava difficile sostenere in modo convincente il suo interesse politico-elettorale, ritrova finalmente il suo senso predittivo in un’intervista di oggi.

Nel commentare questa singolare richiesta, Lucano mette il dito sui contenuti politici della sua candidatura, rivendicando giustamente la sua libertà di perseguire i suoi ideali di solidarietà, uguaglianza e umanità. E conclude: mi chiedo se il Pm avrebbe agito nello stesso modo se mi fossi candidato con la Lega. Certo, c’è sicuramente il contenuto politico nell’attacco del Pm, come hanno sottolineato altri commentatori. D’altronde, sin dall’inizio del mio monitoraggio sostengo che a Locri si sta celebrando un processo politico, dove si sono messi sotto processo non degli atti, ma delle idee. Nessuna sorpresa dunque nel constatare che le idee politiche di Lucano, che allora aveva messo in atto nel costruire il modello Riace e oggi mette al servizio di un progetto elettorale, sono al centro dell’accusa.

Ma a me preme portare l’attenzione anche su un altro aspetto: l’uso spregiudicato di un’intervista di oggi per dare senso a un’intercettazione di quattro anni fa, che non aveva retto alla prova dell’argomentazione dibattimentale. Quell’intercettazione non aveva retto perché l’azione che vi si annunciava non aveva avuto luogo; restava dunque una mera intenzione e le intenzioni non si processano, lo sanno anche i bambini. La candidatura di oggi invece viene letta come un passaggio all’atto che realizza finalmente quell’intenzione. Si avanza insomma l’ipotesi di un effetto retroattivo per cui l’azione dell’oggi illuminerebbe di senso un’intenzione espressa nel passato, la renderebbe “vera”. A tal punto che si può riattivare l’intento, allora fallito, di fondarci il movente.

Non c’è solo lo scontro con le idee politiche di Lucano, che abbiamo già visto mille volte nella presentazione delle ipotesi di accusa; c’è qualcosa di più e di diverso. C’è l’idea che gli atti non sono circoscritti nel tempo in cui si formano, non contengono il proprio significato, ma lo derivano dalla personalità dell’imputato, segnata senza soluzione di continuità dai reati che gli vengono attribuiti. L’indagine, conclusa a fine 2017, racchiuderebbe così tutto l’agire di Lucano, anche quello di oggi, anche quello futuro, che non potrebbe che esplicitarne meglio il senso, renderne più chiaro il carattere criminoso. C’è da credere che la Procura senta le sue ipotesi parecchio traballanti, per arrivare a proporre una tale forzatura!

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