Mea maxima culpa

Mea maxima culpa

Quella sera, il silenzio della luna ha pensato bene di soprassedere sui posti di blocco che il coprifuoco aveva dipinto come necessari. Ad ogni angolo, di ogni strada, indiscreti operatori maschi, al servizio del cittadino, pattugliavano mettendosi il cuore in mano. Gli infarti da dispiacere non li avrebbero inferti loro. L’assicurazione era stata rinnovata, la revisione era scaduta, avevo delle coperte in macchina. Le avrei usate per avvolgerci il mio corpo e tenerlo caldo per almeno un’altra notte. Alla prossima ci avremmo pensato domani. Il conto della revisione scaduta superava i trecento euro.

Quella sera, il silenzio dei posti di blocco ha pensato bene di lasciarsi consigliare dal silenzio della luna. Ciò che ci accomuna è una mano sul cuore e l’altra sui coglioni, le femministe potranno soprassedere a questa immagine poco elegante in cui la scaramanzia si prende la responsabilità di escludere le non posseditrici mettendo sul conto delle cattive usanze l’eredità il cui costo supera i mille anni. Fossimo tutti negli stessi panni staremmo strettissimi e ne andrebbe dell’evoluzione. L’adulazione non paga. L’affiliazione è una piaga. L’allucinazione si piega come un cucchiaino ai miei occhi che sboccano, tanto hanno visto. Depisto le indagini e mi indigno perché non si arriva mai a un dunque. Chiunque ne è testimone ma per deformazione professionista non si accorgerà di niente. La mente che gioca brutti scherzi è l’unica che si diverte e si dimentica di renderci partecipi. I principi di base sono medici condotti sul lastrico dal mercato nero dell’omeopatia che andrebbe decapitato in pubblica piazza. I palliativi hanno rotto i coglioni. I coglioni spezzati si interrogano con domande semplici alle quali non trovano risposta e guardano meravigliati la luna. Quella sera, la luna in silenzio ha pensato bene di soprassedere ai quesiti dei coglioni. Ho visto anche dei dormiglioni felici. Ho visto genitrici non dormire fino al mio rientro a casa. Ho visto intasarsi la mia capacità di reagire, un gorgo e poi l’embolo socialmente futile del rimanere fermi. Alla festa dei vermi io sarò il piatto principale, ho lasciato scritto di seppellirmi senza preservativi. Dentro una cassa non aiuterei nessuno e non mi piace pensare di essere improduttivo anche da morto. Anche se noi ci crediamo assorti siamo lo stesso ‘na massa ‘i storti.

Vorrei porgerti le mie scuse ma mi hai detto che hai messo in conto che lo avrei fatto. Un conto che supra di molto i trecento euro. Sfreccia un centauro e forza il posto di blocco, non lo troveranno mai. Non capirai e lo capirei. Non capirei ma capirai bene che non possiamo essere tutti uguali. Il dramma del potenziale inespresso si accoccola sotto una delle mie coperte, stanotte avrò il mio bel daffare. I danni reali saranno ingenti. Gli abbinamenti scelti tra il vestito per la sepoltura e le gardenie che mi copriranno non mi soddisfano, avevo detto nudo e crudo. Se non sapete essere vermi non potete capire. Capire, dormire. Capire, forse sognare. La coscienza ci rende tutti codardi, non è mai troppo presto per ammetterlo. Non mi lusingano le proposte di matrimonio. Mi iscrissi al gruppo antagonista femminista proprio per discutere e risolvere la questione tra matrimonio e patrimonio.

Che il demonio mi sia testimone se non dico la verità quando affermo che nessuno dei presenti riuscì a sconvolgere il crescendo di un ragionamento scardinato dalla semplificazione che solo le lettere sanno regalarci a difesa dei significati. I significanti, avvinti come l’edera alla resistenza concettuale del volo di un vocabolario scagliato addosso a una zanzara, si battono il petto: “Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa”. I tulpa che vivono nel piano astrale stanno pensando di costruire abusivamente altri due piani. Il piano etico tarpa le ali alla creatività, non credo ce ne sia bisogno. Il piano epico esagera e rigonfia i suoi pettorali solo per ringalluzzirsi agli sguardi delle galline. Una volta cacarono fuori un uovo d’oro dalle dimensioni di un coglione, non me lo feci impiantare solo per non trovarmi in difetto con i vermi ai quali dono e donerò ciò che resta di me. Perché mai parlare di cannibalismo è ancor oggi un tabù? Perché mai parlare? Ho nel cuore quella sera in cui il silenzio della luna ha pensato bene di soprassedere.

A noi che siamo gente di paura, del male abbiamo le profondità. A noi che abbiamo costruito il nostro linguaggio con il piccolo Palazzi, rimane in mano uno scantinato di vocaboli e la voglia di giocarci ancora. Alla Luna e a noi che siamo solo di passaggio resta il grato compito di accorgerci in età giovane che di quei posti di blocco che il coprifuoco aveva dipinto come necessari possiamo farne a meno. Alla Luna e a noi che abbiamo puntato sul non essere gli idioti che siamo, appare dolce il sapore consapevole della sconfitta quando, mentendoci sotto i baffi, ci convinciamo che vivere la vita è una vittoria senza portafoglio. Alla Luna e a noi, che siamo voi; a voi che siete loro; a loro che sono fessi: lunga felicissima vita.

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