Recovery fund. A che gioco giochiamo?

Recovery fund. A che gioco giochiamo?

Di Domenico Gattuso (Mov.10 Idee per la Calabria)

E’ rimasto meno di 1 un mese per finalizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in sigla breve Piano per Recovery Fund (RF). La scadenza è il 30 Aprile. Il ministro Franco è ripartito dalla bozza Conte, con «l’opportuno disegno delle misure di riforma più urgenti». In base agli ultimi dati del MEF ed al Regolamento europeo che prende a riferimento il PIL del 2019, l’ammontare complessivo delle risorse destinate all’Italia è leggermente inferiore rispetto alla stima di gennaio: 196,5 MD € (invece di 209), di cui 69,1 MD € sotto forma di trasferimenti e 127,4 MD € sotto forma di prestiti. La sfida è da brividi. Anche se Draghi afferma che il parlamento sarà coinvolto, in realtà non sembra proprio. La chiusura del PNRR sarà principalmente determinata dal Governo ed in particolare da un gruppo ristretto di ministri tecnici.

Va emergendo ormai chiara la struttura di governance di Draghi: il MEF aumenta in maniera significativa il suo potere, con la possibilità di intervenire dove e quando necessario, sia a livello centrale che locale. Una struttura studiata per blindare l’attuazione del Recovery Plan lungo tutto il periodo 2021-2026, anche se dovesse subentrare un nuovo governo.

La qualità del piano e la sua attuazione sono sfide molto difficili, E’ grave che si sia arrivati a chiudere la partita del RF in extremis. Fuori dal palazzo si moltiplicano le richieste, i dibattiti politici, le polemiche, ma qualcuno decide nelle segrete stanze. Molto probabilmente le scelte risponderanno ad una impostazione gradita ai grandi decisori (gruppi bancari, lobby industriali, multinazionali) maggiormente capaci di influenzare Draghi. Le forze politiche appaiono del tutto ininfluenti, perse nella nebbia.

Rispetto alla bozza Conte del 12 gennaio, con il Governo Draghi resta stabile l’impianto del PNRR articolato in 6 missioni:

· digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (46,3 MD €i),

· rivoluzione verde e transizione ecologica (69,8 MD €i),

· infrastrutture per una mobilità sostenibile (31,9 MD €),

· istruzione e ricerca (28,4 MD €),

· inclusione e sociale (27,6 MD €),

· salute (19,7 MD €).

Non si scorge alcuna modifica sostanziale rispetto alla base del Governo Conte. Nell’insieme risultano 223,7 MD €, suddivisi in 16 componenti funzionali per realizzare gli obiettivi economico-sociali e 48 linee di intervento. Si assume inoltre che gli investimenti debbano essere accompagnati da politiche di supporto, ad esempio sul fronte della PA, del sostegno alla ricerca, del mercato del lavoro, e da varie riforme (dal fisco alla giustizia). Il budget dovrebbe essere coperto per 196,5 MD dal Recovery Fund e la differenza da altri apporti governativi.

La distribuzione della spesa appare tuttavia discutibile sotto diversi punti di vista. Si possono osservare in particolare alcune incoerenze di fondo come la Missione 4 centrata su grandi opere infrastrutturali (alta velocità ferroviaria) e la Missione 6 da cui non traspare affatto una politica per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani (si ricorda che l’intero programma di finanziamento ha per titolo “Next Generation UE”. Non emergono neppure dei richiami significativi a due obiettivi intersettoriali: a) Green Deal europeo e raggiungimento della neutralità climatica dell’UE entro il 2050, b) riduzione del divario tra i paesi dell’Unione e all’interno dei paesi stessi; quest’ultimo si rivela una svista clamorosa, in rapporto al divario crescente fra Nord e Sud Italia.

Il buon senso e la responsabilità porterebbero a privilegiare interventi fattibili in tempi brevi, la cui progettazione sia già ad un livello avanzato, in grado di essere controllati nell’avanzamento e completati entro i prossimi 5 anni, distribuiti sul territorio, diretti a coprire i gap socio-economici del sistema paese (gap tra Nord e Sud, tra donne e uomini, tra aree interne e città, tra sanità privata e pubblica, tra ricchi e poveri, tra infrastrutture e servizi).

Si tratterebbe di delineare interventi mirati a superare le disuguaglianze, assumendo i criteri di riequilibrio e di equità nella distribuzione delle risorse:

· più risorse al Sud che non al Centro-Nord (50% almeno a favore delle regioni meridionali); la concessione delle rilevanti risorse da parte della UE è avvenuta grazie al peso di indicatori negativi relativi al Sud Italia, sarebbe scorretto non rispondere all’esigenza di rilanciare il Mezzogiorno; è noto come alcune forze, Confindustria in primo luogo, perseguano fortemente l’idea di sostenere la locomotiva industriale padana;

· più risorse a favore dell’occupazione femminile e giovanile, adeguando anche le retribuzioni in modo da superare il vergognoso differenziale di genere esistente;

· più fondi per le aree interne, dove la vita è più sana, ecologica, sostenibile; per invertire una deleteria tendenza all’abbandono di borghi e ampie fasce territoriali che hanno un incredibile potenziale di sviluppo in chiave agricola, forestale, turistica, culturale;

· fondi volti a rimettere in sesto un sistema sanitario pubblico al collasso, recuperando i presidi sanitari chiusi negli scorsi decenni fuori dalle grandi città, adeguando le dotazioni di attrezzature e personale qualificato, rilanciando servizi diffusi come consultori, pronto soccorso, assistenza e cure domiciliari, laboratori di analisi pubblici;

· fondi per una vera riforma del fisco che sia finalmente efficace e ponga fine all’enorme voragine rappresentata dall’evasione (stimata in 100 miliardi di euro l’anno), intaccando i tesori accumulati da una classe ristretta di super-ricchi a favore di interventi per cancellare le fasce di povertà;

· investimenti indirizzati più ai servizi che non alle infrastrutture nel campo dei trasporti: treni, autobus, trasporti collettivi, mezzi ecologici, smart working, spazi verdi sono assai meno onerosi rispetto alle grandi infrastrutture; 1 km di autostrada costa sui 25 Milioni di Euro, l’equivalente di 6 treni regionali, di 80 autobus, di 100 km di strada ordinaria, di 1.500 km di pista ciclabile, di 3.000 km di marciapiedi, di 1 milione di alberi piantumati; puntare sull’alta velocità significherebbe bruciare risorse ingentissime per una fascia limitata di persone a scapito di interventi distribuiti ed utili. Peraltro gli interventi per la TAV, i grandi porti, i tunnel alpini sarebbero tutti al Nord, essendo già in avanzato stadio di realizzazione o progettazione e senza alcuna efficacia sul Mezzogiorno;

· investimenti indirizzati in cultura, informazione pubblica, formazione e ricerca, più che mai necessari; si tratta di recuperare un vuoto enorme creato da governi scellerati negli ultimi 3 decenni; essi possono contribuire ad elevare straordinariamente la qualità della vita e la libertà individuale, ma forse proprio per questo sono stati ostacolati da chi preferisce manipolare l’opinione pubblica a vantaggio di interessi di casta.

Una nota importante: l’elenco dei progetti e delle riforme da finanziare dev’essere credibile e rispondere a tutte le richieste dell’UE, ma il calendario della spesa programmata dev’essere realistico perché se non si rispetta la tabella di marcia i fondi saranno interrotti. La prima tranche di RF (pari a circa 20 miliardi) verrà anticipata. Il problema sono le tranche successive fino a tutto il 2023. Si prevedono erogazioni semestrali e rendicontazioni della spesa in rapporto agli obiettivi. Se gli obiettivi scritti nel Piano non vengono raggiunti, le erogazioni semestrali saranno a rischio. C’è dunque un problema serio di fattibilità dei progetti e di governance. Di certo puntare su opere impegnative come la TAV o il ponte sullo Stretto sarebbe un suicidio.

E’ ora di cambiare rotta e di virare di 180 gradi. Ma viene il sospetto che la nomina di Draghi a timoniere della nave non sia stata casuale e sia stata imposta per garantire che tutto rimanga come prima, come

nel “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

1. Scheda tecnica su Recovery Fund

(RF) Luglio 2020: in seguito alla crisi generata dalla pandemia da Covid-19, l’UE stanzia per la ripresa dei 27 Paesi membri, il cosiddetto Recovery Fund (Fondo per la Ripresa). 750 MD € per l’intera Europa (390 di contributi a fondo perduto e 360 di prestiti). Il RF viene ribattezzato dalla Commissione Europea con il termine Next Generation EU.

Si chiede ai singoli Stati dell’UE di predisporre un Recovery Plan nazionale. In Italia tale piano viene denominato: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). 209 MD € (81,4 di sussidi e 127,4 in prestiti). L’UE individua 6 macro-obiettivi settoriali: – transizione verde; – trasformazione digitale; – crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; – cooperazione e coesione economica, sociale e territoriale tra i paesi dell’Unione; – salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, rafforzando la capacità di risposta alle crisi; – politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani (istruzione e competenze).

Ad essi si aggiungono 3 obiettivi intersettoriali: – conseguimento del Green Deal europeo e raggiungimento della neutralità climatica dell’UE entro il 2050; – riduzione del divario tra i paesi dell’Unione e all’interno dei paesi stessi; – uguaglianza di genere e pari opportunità. Qual è l’iter? 30 aprile 2021. Data ultima per inviare alla Commissione Europea i PNRR. Bruxelles avrà 2 mesi per esaminare e proporre all’ECOFIN l’approvazione dei singoli PNRR (30 giugno).

ECOFIN deve approvare entro 1 mese (31 luglio). Sarà quindi possibile accedere al 10% del finanziamento globale da Agosto 2021. Paletti per la definizione dei PNRR? – L’UE ha definito delle Linee guida per la stesura dei PNRR. Tra i criteri principali: – la sostenibilità ambientale (in linea con l’European Green Deal, non meno del 37% del RF va speso per interventi green); – la produttività, l’equità e la stabilità macro-economica; – almeno il 20% degli investimenti per finanziare la transizione digitale.

2. Cosa è avvenuto sin’ora sul Recovery Fund in Italia?

15 Settembre 2020 il presidente del Consiglio Conte ha inviato al Parlamento la prima bozza di PNRR. Obiettivo era giungere al più presto ad un documento condiviso per avviare l’interlocuzione con la Commissione Europea. A inizio dicembre 2020 Renzi attacca la maggioranza di Governo. E l’arma di ricatto è proprio il Recovery Plan che non va più bene. Iniziano lunghe e logoranti mediazioni.

Il 28 dicembre Renzi presenta il suo contro-piano, 30 pagine di critiche e 13 di proposte. Il 12 gennaio esce la nuova bozza del Recovery plan: più fondi per sanità, agricoltura, infrastrutture e turismo. Per i renziani non basta. Conte sale al Colle e tenta una mediazione chiedendo un patto di legislatura. Fine Gennaio si apre la crisi. Il 13 febbraio Conte lascia e subentra Draghi.

Si sono persi 2 mesi e mezzo preziosi. Quali progetti? Tutti gli enti si svegliano e corrono a candidare i propri progetti, come se ci fosse un pozzo di S.Patrizio; solo dai Ministeri si avanzano 558 proposte; Regioni, Città Metropolitane, Comuni, forze politiche si fanno avanti. E la fantasia si scatena soprattutto in materia di grandi opere infrastrutturali.

Tra gli interventi prioritari tuttavia, in prima battuta, le autorità di governo pongono l’attenzione su: – digitale (estensione reti di telecomunicazioni, 5G, gestione dati pubblica amministrazione); – sanità (costruzione e riqualificazione di ospedali; nuova dotazione tecnologica sia in termini di attrezzature di alta tecnologia sia di infrastrutture digitali; potenziamento dell’assistenza e delle cure domiciliari); – interventi green finalizzati a ridurre i fabbisogni energetici l’inquinamento da combustibili fossili; – misure per rilanciare i consumi (proroga di 3 anni per superbonus e sisma bonus; proroga di 5 anni per il Piano Industria 4.0; aumento buste paga dei lavoratori, stop all’uso del contante, riforma fiscale);

– riforme di apparato pubblico e del sistema giudiziario. Il PNRR di Conte (180 pagine) si discostava in parte dagli obiettivi UE, assumendo 3 priorità trasversali (donne, giovani, Mezzogiorno) e 3 assi strategici: – digitalizzazione e innovazione; – transizione ecologica; – inclusione sociale. Sono state individuate 6 missioni: – Digitalizzazione, innovazione, competitività; – Rivoluzione verde e transizione ecologica; – Salute; – Infrastrutture per la mobilità; – Istruzione, formazione, ricerca e cultura; – Equità sociale, di genere, territoriale.

Le 6 missioni si articolavano in 16 Componenti (funzionali al raggiungimento degli obiettivi economico-sociali) e 47 Linee di intervento per progetti omogenei e coerenti. I singoli Progetti di investimento sono stati selezionati secondo criteri volti a concentrare le risorse su interventi ritenuti a maggiore impatto sull’economia e sul lavoro. Sono state previste le seguenti 16 componenti e i corrispondenti impegni di spesa (per un totale di 222,9 miliardi di euro):

Missione 1. Digitalizzazione 1. digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella P.A.: 11,45 miliardi 2. digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo: 26,73 miliardi 3. cultura e turismo: 8 miliardi

Missione 2. Green 4. efficienza energetica e riqualificazione edilizia: 29,35 miliardi; 5. transizione energetica e mobilità: 18,22 miliardi; 6. tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica: 15,03 miliardi; 7. economia circolare: 6,3 miliardi

Missione 3. Salute 8. assistenza di prossimità e telemedicina: 7,9 miliardi 9. innovazione assistenza sanitaria: 11,82 miliardi

Missione 4. Infrastrutture per la mobilità 10. alta velocità e manutenzione stradale 4.0: 28,30 miliardi 11. intermodalità e logistica integrata: 3,68 miliardi

Missione 5. Istruzione, formazione e ricerca 12. potenziamento didattica e diritto allo studio: 16,72 miliardi 13. ricerca: 11,77 miliardi

Missione 6. Parità di genere e coesione 14. politiche per il lavoro: 12,62 miliardi 15. infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore: 10,83 miliardi 16. interventi speciali di coesione territoriale: 4,18 miliardi

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