Se “Andrà tutto bene” lo decidi tu

Se “Andrà tutto bene” lo decidi tu

Mi piacciono quelli che partono dall’inizio. Mi piacciono pure quelli che partono dalla fine. La minoranza da salvaguardare è fatta da quelli che partono dal centro. Esplodono dal nulla puntando dritto il cuore del discorso che, colto di sorpresa, irradia di sensazioni incomprensibili depositando sulla tua lingua, in pochi attimi, le polveri farinose del discorso e ne insabbiano il contesto. In quelle polveri cresce il concetto, serve concimare il terreno. Sementi, cementi, dementi. Abbiamo la possibilità di prendere posizione. Possiamo star fermi e sbuffare. Possiamo dimenarci come un lupo che ha azzannato la sua preda e sente colare il calore della vita tra i suoi denti inflessibili. Possiamo quasi tutto. Possiamo perdere e possiamo vincere. Possiamo essere Vercingetorige e studiare l’assedio. Possiamo passare a quell’altro argomento meno impegnativo che è la resa.

La prosa è una pastiglia che farà la sua parte se e solo se avremo di che dirne. Cosa farcene del vuoto se non riciclare il vetro che lo contiene? Mi conviene stare attento a ciò che sto per dire se non voglio passare guai. Mi conviene salutare tutti con le dovute attenzioni e le pasciute reverenze, se non voglio passare guai. Ciò che attiene ai convenevoli è cherosene, infiammabile, mentre sospiro comburente e mi dico che andrà tutto bene. Non gliene frega niente a nessuno? A me sì. Le piene dell’inverno scorso si sciolgono ora che tra gli sbalzi d’umore avverto la sensazione della stagione in arrivo. Mi privo di ogni tracotanza e assaggio l’aria, ha il sapore di un domani in anticipo. Provo ancora e sa di altro. Il disastro preannunciato non vale come attenuate. Nessuna scusa. L’accusa non potrà contraddirci. Non possiamo capirci sempre. Mi ci attacco, sì. Mi ci attacco. A mia difesa non schiero nemmeno uno di quegli accendini che, distensivi, potrebbero dar illuminare la mia sigaretta o che, distruttivi, potrebbero dar fuoco a tutto. Un lutto ogni ora nella mia dimora; un lutto al minuto per ciò che è dovuto; un lutto al secondo, perciò furibondo mi abbandono agli occhi della ruota del pavone che mi ritrovo ad essere dentro quello specchio e non mi vedo più.

Tu puoi pure non credermi. Tu puoi tutto, ricordi? Ti tocca cercarmi per dirmelo in faccia. Non mi riallaccerò al discorso di quei tizi che quando ero ragazzino, piccolino, parcheggiarono il loro camper nella piazza sotto casa mia spiegandomi nella loro lingua il concetto di casa e di mondo. Fanculo il girotondo e fanculo chi casca. Il monumento ai caduti non piace a nessuno che non debba sentirsi responsabile a tutti i costi di una tragedia che ha ereditato e che lui manco voleva, e che lui manco capisce. Siamo colpevoli fin quando non riusciamo a dimostrare il contrario. Il tondo capovolto è l’altra minaccia della medaglia di una Terra il cui piattume intelligibile si sposa perfettamente con quel sibilo che sento all’orecchio destro, costante, mentre mi guardo attorno e faccio le corna a uno che ha appena rischiato di investirmi (ha la stessa macchina del padre della mia fidanzatina delle medie). Lo storno delle fatture non esiste, gli abbuoni hanno un nome delicatamente ammiccante ma il passato non fa sconti e rompere i ponti non servirà a bloccare l’armata dei pensieri. I frangiflutti per un mare di lacrime non distinguono la gioia dalla di pena, mi tuffo sempre. Trattengo il fiato, mi tuffo sempre, tengo la testa tra le mie braccia, eccomi dentro, sempre più in fondo, senza poter vedere gli schizzi che appartengono alla vita sopra, libero la testa, libero le braccia, apro gli occhi e nuoto. Ero devoto, una volta, ma solo perché mi piaceva la ragazza che ci faceva catechismo e che poi scoprii essere la sorella maggiore di una ragazza per la quale avevo perso interesse (il padre di entrambe non aveva la patente). Un piccolo pazzo coi desideri adolescenti accompagnati dalla voglia di scoprire le regole del proprio corpo.

Crebbi coprofago per necessità (non darmi addosso, pensaci, lo siamo tutti), crebbi. Ho visto le cose peggiori che io abbia mai visto infilzate dai rebbi della mia forchetta, zio Guglielmo mi disse di assaggiare sempre e sempre assaggiai. Illuso ed illeso continuo a nutrir le bestie, hanno una fame terribile e un giardino troppo piccolo per sedarla, per assecondarla, per sfogarla. Mi parlano. Ascolto. Mi ascoltano. Parlo. Mi parlano. Ascolto. Ad ogni recluso regalo un refuso. Mi scuso con chi punta alla perfezione. Sia chiaro che mi piacciono quelli che partono dall’inizio, che mi piacciono quelli che partono dalla fine e che ho iniziato ad apprezzare anche la minoranza di quelli che partono dal centro ma ho dovuto sventrare alcune delle bestie del mio pascolo, quella notte. Fu la notte in cui guardando le mie mani insanguinate decisi di accettare la decisione: non mi occuperò mai più di cose che non conosco.

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