Era spaziale

Era spaziale

Buio. Un po’ sfocato. Un po’ meglio definito. Definizione dell’uomo nel tempo moderno, nello spazio moderno.
“ERA SPAZIALE” come rappresentazione messa in moto da esigenze cognitive. Il punto di partenza resta quello di capire il posto in cui si È, in termini di spazio. La definizione di “essere” in quanto “appartenente a” o la totale spersonalizzazione del “non essere” in quanto “non appartenente a”?
In quest’ultimo caso, a parlare non è altro che un fantasma in un posto indefinito, ma allo stesso tempo è un fantasma in uno spazio riconoscibile e quindi esistente.

Le forme espressive possono solo definire l’emozione, segno tangibile della vita, nel momento stesso in cui vengono adottate. Ad esempio: la parola vale solo nel momento stesso della sua pronuncia, con tutte i colori delle sfumature della dizione adottate. In tutti gli altri casi non ci esprimiamo: recitiamo.

La circostanza ci fa dunque partecipi di essa solo se ci esprimiamo. E anche se passarci a fianco risulta simile al concetto di espressione, il punto di vista espresso diventa lo schermo dal “di dentro” e l’espressione è composta da qualsiasi cosa accada all’interno del visibile. Oltre, succede tutto ciò che non viviamo ma sarà soltanto raccontato. Non espresso. Non vissuto, ma raccontato: recitato.

Il passaparola diventa la catena interpretativa secondo la quale la frase “IL VASO SI È ROTTO” diventa in breve tempo una storia con dei personaggi definiti e dettagli impressionanti seppur verosimili.
Ecco perché “IL” “VASO” “SI” “È” “ROTTO” non sono altro che incisioni, simboli, tracce valide come spunto di riflessione, al massimo uno spauracchio al quale affidare il totale abbandono alla libertà di parola, una delle forme d’espressione adottabile.

PAROLE / SILENZIO

GESTO / STASI

ESPRESSIONE / COMPORTAMENTO

PRESENZA / ASSENZA

Confluisce tutto in un sistema concentrico ad espansione, sufficientemente enorme da poter essere codificato attraverso il “SILENZIO”. Tutto ciò che ne è parte nel momento dell’interpretazione stessa rende impossibile l’adozione di una corretta procedura: l’influenza esterna si confronta con l’adulterante varietà delle discriminati.

Non riusciamo quasi più a comunicare data la presenza di quel sibilo fastidioso dal frigorifero, impegnato nel regolare svolgimento preimpostato della sua prerogativa refrigerante

È dunque impossibile esprimersi se non in silenzio? È dunque impossibile comprendere se non in silenzio? Una corretta, pura, evoluzione all’interno di un collettivo, di una società, è ora vincolata dalla totale rinuncia dei sensi dei facenti parte. In tutti gli altri casi il “contesto” diventa parte centrale imprescindibile. La parte centrale diviene “contorno” e viene snaturata fino al punto di essere ininfluente al significato di base.

CHIUDI GLI OCCHI.
IN SILENZIO.
TAPPATI IL NASO.
IMMERGITI NELL’ACQUA.
SDRAIATI A TERRA.
A BOCCA ASCIUTTA.

È ora dolce la sensazione di ricredersi del proprio stato di comprensione con influenze esterne? “W il dubbio” è il vero dubbio? Gli innumerevoli ricettori sparsi per il nostro organismo ci vengono in aiuto alla comprensione del mondo esterno. Per la comprensione di se stessi i sensi sono inutili.

Non si possono comprendere, meno che mani assecondare, le proprie necessità o le proprie voglie (e le proprie voglie) se non si ha una lucida conoscenza di se stessi. La lucida conoscenza degli altri è un palliativo attraverso il quale si può arrivare al dominio dell’altro con margini di soddisfazione (seppur nascosta da smorfie contrariato, di circostanza) del sottomesso. La parte dominante, nel fittizio, si ritrova totalmente priva di effettivi benefici. Si presenta evidente l’inutilità del confronto tra persone e il ritorno allo stato primario. La definizione della persona in quanto società. E in quanto tale prende corpo l’ipotesi di essere così altamente consapevoli (se si considera il punto di arrivo) o così dolcemente inconsapevoli (se si considera il punto di partenza), da non aver non aver bisogno di niente se non di SILENZIO.
Silenzio vincolato dall’inutilità dei sensi.

Il riconoscimento della comprensione attraverso l’eliminazione dell’uomo-corpo in quanto superfluo. Affidare a fattori captati dai sensi rende gli stessi inadatti alla comprensione. Ad esempio: affidarsi a divinità solo per trascorrere il tempo in maniera “corporalmente” soddisfacente, risulta TOTALMENTE stupido da parte di chi sarebbe in grado di agire da “divinità di se stesso” se solo ne avesse il coraggio. L’annullamento equivale al coraggio. La rinuncia è l’atto di coraggio massimo.

È preoccupante l’incoscienza secondo la quale le “cose” vengono affrontate e mai “risolte” o pienamente e correttamente comprese.
È così semplice, così ovvio che dovrebbe essere praticamente inutile doverne parlare.
E invece, praticamente, è “INUTILE” “DOVERNE” “PARLARE”.

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