A vincimmu ‘a guerra!

A vincimmu ‘a guerra!

‘Sta cosa che quando si vince è merito di tutti e quando si perde non è colpa di nessuno deve finire. Quando si vince c’è il gioco di squadra blablabla, quando si perde il gioco di squadra non ha funzionato blablabla. Sta cosa di tutti che tutti non sono e di nessuno che poi è sempre qualcuno è una fumante stronzata. Possiamo dircelo, sì? Possiamo evitare l’ipocrisia di queste comode generalizzazioni oratorie che le generazioni meritorie a me precedenti, quelle a me contemporanee e quelle che vedo crescere usarono, usano e useranno per sentirsi in pace con le loro proprie singole coscienze e con le loro proprie appartenenti apparenti coscienze collettive.

E nella vita vera come funziona? Ci sono le tappe come al giro d’Italia in cui posso anche aver vinto 5 tappe da velocista e poi ritirarmi nell’ultima settimana, quella in cui si scalano le montagne e i distacchi si fanno improponibili per chi tutto sommato della montagna se ne sbatte bellamente il cazzo perché ha vinto 5 fottutissime e bellissime tappe allo sprint surclassando gli altri sprinter e conquistando con un colpo di reni la testa del gruppone? Bello! Funziona così, sì. Bello. Bello assai, sì sì.
E dimmi: quand’è che finiscono le partite? Quand’è che si festeggiano le vittorie e si decretano le sconfitte?
E nella vita vissuta come funziona? Aspettiamo una malattia che-ci-porti-via? Aspettiamo il momento propizio per mettercela senzasputtazzamente in culo a vicenda pentendoci, maledicendoci fino alla fine dei nostri giorni, di non essere stati più veloci di quel figlio di puttana che ci ha battuti sul tempo?
Funziona così? No, perché se funziona così mi fermo qui e possiamo dirci “bravo” e possiamo andare a casa e dentro le nostre macchine mentre torniamo a casa possiamo ragionare sul gusto del cornetto del Serpentone. Mi starebbe anche bene, eh? Io, per esempio, ultimamente prendo la girella con le gocce di cioccolato. È proprio buonissima. Poi prendo un caffè. Poi mi giro una sigaretta e me la fumo. Poi penso che mi verrà il cancro e dato che mi verrà il cancro assaggio pure una tartina con la crema e la frutta. E chiedo un altro caffè. Poi mi giro una sigaretta e me la fumo. Ammetto che possa sembra una procedura egoista, molto egoista. Ma la colpa non è la mia: è di quel posto tentatore che fa ‘ste cazzo di girelle proprio buonissime, è di quegli stronzi che hanno lavorato alla torrefazione del caffè ed è anche colpa delle multinazionali del fumo. Può mai essere colpa mia se ‘sti stronzi lavorano per distruggermi piano piano, colpendomi infami giorno dopo giorno? Può mai essere colpa mia se esco da una serata in cui si filosofeggia ma poi ‘o quagghiu non c’e nenti? NON C’È NENTI!

Certo, mi riconosco la leggerezza di non aver ascoltato le parole di quell’amico, di quel compagno che mi avvisò tempo addietro di questa possibilità, della possibilità che “non c’è nenti”. Ma io, che sono notoriamente testone, penso male, penso che qualcosa ci sia sempre. Fosse pure il cancro che mi ha ammazzato, chi mi sta mmazzandu e che mi ammazzerà. Non è che ci sia tutto sto tempo a disposizione, per questo lo declino al passato, al presente e al futuro. Gioco al gioco della confusione ma c’è un problema: il tempo non è come noi e se ne fotte. Il tempo fu, è e sarà più di noi e se ne fotte. E sai perché se ne fotte?

Eh?

Io? Io non lo so. Dimmelo tu, sono tutto orecchie.

Dimmi

Sì.

Giusto.

Sì.

No.

Certo.

Sì.

Sì.

Certo che sì.

Bravo.

Giusto.

E fu propriu i sta manera c’a vincimmu ‘a guerra.

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