L’anima dell’animale

L’anima dell’animale

In tutti e tre i sogni di stanotte ero nudo.

Nel primo ero il benzinaio di una stazione di servizio cittadina in cui le macchine andavano a piscio, mi pagavano per bere tre birre medie alla volta, inframezzandole di mezzo litro d’acqua, pisciavo dentro le vostre carrette eco-sostenibili e se non era il turno di nessuno alimentavo il serbatoio generale della stazione di servizio. Ridurre al minimo gli sprechi, ottimizzare il potenziale e le risorse. Anche per questi motivi amo l’evoluzione dell’uomo.

Nel secondo sogno ero il secondo secondo di una segretissima cena. Quegli stronzi dei commensali si erano già abbuffati al corposo buffet di aperitivo in cui erano stati serviti tocchetti cuccioli d’uomo di ogni ceppo etnico, debitamente speziato per mantenere vivo nel palato il retrogusto tradizionale della provenienza. Erano tutti molto educati e ben istruiti sulle regole della cena: tutti avrebbero dovuto assaggiare tutto. Nella cena precedente io contravvenni a questa semplice regola e diventai il secondo secondo della cena successiva. Poche semplici regole a volte sono necessarie a non farsi nemmeno troppe domande sull’opportunità o meno di lamentarsi. Ero vivo, ero nudo, ero steso su un tavolone, ero guarnito con una serie di bontà che avrebbero dovuto accompagnare il boccone della mia carne tra le fauci degli ospiti. Ero stato sedato con delle anestesie locali, quando mi tagliavano per porzionarmi avvertivo quasi un solletico e se il mio sangue schizzava ovunque nessuno sembrava curarsene. Ricordo di aver detto qualcosa tipo “prendetemi e ingozzatevi tutti, figli di puttana!”, ma quando mi aprirono la bocca per strappare via i denti mi accorsi di non avere più la lingua quindi non avrei potuto dirlo. Avrò pensato di dirlo. Vuoi davvero biasimare le farneticazioni e i ricordi di un corpo dato in pasto per voi?

Il terzo sogno è decisamente confuso. Ero immerso in una qualche foresta, un fitto bosco o qualcosa del genere. Si era ai tempi in cui i Sapiens si accoppiavano con i Neanderthalensis, il Paleolitico o giù di lì. Quello dell’Homo Habilis era un capitolo chiuso, il Pleistocene era poco più che un ricordo che la mia linea di successione aveva inconsapevolmente abbandonato nel mio DNA. Non trovavo più le chiavi della mia macchina del tempo, vagavo completamente spaesato in un tempo che fu mio ma che non riuscivo a comprendere in nessuna delle sue dinamiche. L’aria sembrava più pulita, più bella da respirare di quella che avevo sempre respirato. Non so come si stato possibile ma mi ritrovo infrattato con una neandhertaliana. Non so bene in che lingua ma il neanderthaliano che ci ha beccato iniziò ad urlare richiamando l’attenzione degli altri neanderthaliani. Mi ritrovo in brave ad essere il corpo estraneo oggetto dello studio di sti tizi che, credetemi, sono molto più svegli di quanto facciamo finta di ricordare. Uno di loro mi si avvicina e mi punzona con una punta di selce. Sanguino e mi assaggia. Mi convinco di essere capitato nell’antica Transilvania. Mi assaggia anche un altro di loro. Mi assaggia anche la tipa. Stabiliscono che siamo consanguinei e mi accettano nel gruppo. La tipa mi prende per mano e mi porta da qualche qualche parte dentro il bosco, dentro una grotta. Ma dentro dentro, proprio. Non molla mai la mia mano e quando scivola la riprende subito, credo mi annusi e mi riconosca. Entriamo ancora e, non so come, ci ritroviamo abbagliati da una luce. Entriamo anche nella luce e man mano che metto a fuoco mi ritrovo nudo, tra le risa dei padri e lo sguardo delle madri di non curanti ragazzini, in fila davanti ad una famosa gelateria del centro di una modesta cittadina del Sud Italia. La neanderthaliana guida una pattuglia di sbirri in borghese che mi porta via. “Niente gelato?”, chiedo. “Vaffanculo, pervertito di merda”, chiosa l’infame. Mi ritrovo al gabbio, un gruppo di sbirri mi pesta a sangue, mi pesta fino alla morte. Lei punta un dito su una pozza di sangue, mi assaggia. Non ero dei loro.

In tutti e tre i sogni di stanotte ero nudo. Niente a che fare con il pudore. Niente a che fare con la morale. Senza il clamore abituale, senza prurito genitale. Ritto sulla mia colonna vertebrale guardo avanti senza dar retta agli specchi. L’animale che mi porto dentro vuole la mia anima. S’accomodasse.

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