I missionari ultra-talebani

I missionari ultra-talebani

di Raffaele Carcano – UAAR

Intervistato da Umberto De Giovannangeli per il Riformista, il noto ex ambasciatore Sergio Romano ha sostenuto che i talebani «non sono una formazione politica. Sono dei “missionari”. E ragionare con i missionari non è mai facile, e qualche volta è addirittura inutile».

La dichiarazione ha provocato le dure critiche del quotidiano dei vescovi Avvenire. Gerolamo Fazzini ha infatti additato come «grave» «l’assurdo paragone», la «tacita equivalenza» compiuta da Romano, negandola drasticamente. A suo dire, «tanto i seguaci di Cristo si spendono ai confini del mondo in modo pacifico, a tal punto disarmati da diventare essi stessi, talora, martiri, tanto i taleban utilizzano la violenza, verbale e fisica, quale strumento principe per l’affermazione del loro credo».

C’è del vero in questa considerazione, al netto dell’apologia dei propri beniamini. Il problema vero è però che Fazzini, nella sua analisi del passato cristiano, si è rivelato incapace di andare al di là dell’affermazione che «nei secoli scorsi taluni missionari cristiani si sono macchiati di eurocentrismo e razzismo, facendo mostra non solo di una grave incapacità di dialogare quanto di un sentimento totalmente ingiustificato (figlio del tempo) di pretesa superiorità dell’uomo bianco». Ci sarebbero invece stati tanti «luminosi esempi» quali Las Casas e Ricci, e «la lista sarebbe lunga». E comunque, «la missione cristiana, specie dopo il Vaticano II, si è purificata dei peccati di un tempo», per cui nessuno si deve azzardare a metterla in discussione.

La storia delle missioni cristiane non è molto dissimile da quella dei talebani

Ma con quale coraggio si può ancora scrivere di «taluni missionari» – peraltro nemmeno citati per nome, a differenza dei «luminosi esempi»? La storia delle missioni cristiane non è molto dissimile da quella dei talebani, una volta che il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’impero romano: già nel IV secolo Martino di Tours ricorreva alle maniere forti e innalzava chiese cristiane sui templi “pagani” appena distrutti, eppure è venerato ancora oggi come santo, e non soltanto dalla chiesa cattolica. Quando il mondo antico fu definitivamente cancellato e venne l’epoca dei regni germanici, alla conversione dei regnanti e a quella (chissà quanto spontanea) dei loro sudditi non si accompagnò una corrispondente accoglienza di massa nei ranghi del clero e dell’episcopato: il pregiudizio cristiano assimilava infatti i “barbari” ai “pagani”.

Il razzismo istituzionale cattolico nella conquista spirituale dei continenti extraeuropei ha lasciato tracce addirittura enormi. I sinodi dei vescovi messicani ci hanno tramandato documenti in cui i nativi sono definiti esseri «deboli e ignoranti», «di scarse capacità, intellettuali e morali», caratteristiche che ne impedivano l’accesso al sacerdozio. Un rapido ripasso della storia ecclesiastica basta e avanza a demolire le tesi di Avvenire: per avere un vescovo africano si dovette aspettare il 1939, mentre il primo cardinale fu nominato nel 1960. Caro Fazzini, ci può cortesemente spiegare perché i papi attesero così tanto tempo?

Perché non riuscite proprio a riconoscere i crimini commessi dalla chiesa istituzionale?

E già che c’è: perché non riuscite proprio a riconoscere i crimini commessi dalla chiesa istituzionale? Non lo fece nemmeno Giovanni Paolo II, che nelle sue scuse molto mediatizzate si limitò a chiedere perdono a dio (non alle vittime) per gli errori dei «figli della chiesa» (e non della chiesa stessa), senza peraltro fare a sua volta alcun nome. Come è possibile giustificare l’assimilazione forzata dei nativi attuata dalle scuole missionarie – un delitto che sta finalmente emergendo soltanto ora, in seguito alla scoperta di fosse comuni contenenti i corpi di migliaia di bambini nel solo Canada? Scuole che funzionavano a pieno regime ancora pochi decenni fa?

Se è vero che i missionari cristiani non ricorsero direttamente all’uso delle armi, è però innegabile che per diffondere il loro Verbo si affidarono agli eserciti più potenti del mondo: come l’inquisizione, che per difendere la fede esternalizzava il lavoro sporchissimo sul braccio secolare. La storia delle missioni cristiane mostra che, se proprio si vuole giocare alle differenze con i talebani, alla fine sono questi ultimi a farci una figura meno terrificante: legati come sono all’etnia pashtun, non sembrano granché interessati all’imperialismo religioso, anche se accolgono i foreign fighters. In ogni caso, la loro teocrazia armata non fa altro che replicare ciò che ha rappresentato per oltre un millennio lo Stato pontificio.

Se i missionari sono cambiati (e nemmeno tutti) è soltanto grazie all’illuminismo e al conseguente diffondersi di una cultura dei diritti umani. La chiesa, anche nell’epoca del presunto rivoluzionario Bergoglio, sembra molto più attenta a riscrivere la storia che a fare i conti con essa. Se queste sono le premesse, è probabile che non li farà mai.

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